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Terrorismo. È ora di reagire, perché la guerra è guerra

Creato il 23 marzo 2016 da Leultime20 @patrizialadaga

Scrivevo lo scorso Natale, armata di un po’ di (vana) speranza, l’augurio che il 2016 cominciasse meglio di come era terminato il 2015.

Invece no, l’escalation di violenza e terrore non ha avuto fine, anzi. Ieri è toccato a Bruxelles con i suoi oltre 30 morti, vittime di un fanatismo brutale e sanguinario, di un’ideologia malata che punta ad annientare il mondo occidentale, colpevole di credere in una società democratica, libera e pacifica in cui non c’è posto per divinità crudeli e vendicative.

Davanti alle ennesime scene di terrore, ai volti spauriti e sanguinanti dei feriti, ai corpi esanimi distesi sui pavimenti di un aeroporto, lacrime e rabbia si fondono in un unico sentimento. La paura ci invade perché sappiamo di non essere sicuri in alcun luogo e perché quei poveri corpi straziati potrebbero essere i nostri o quelli dei nostri familiari e amici. Tutti abbiamo fatto la fila per imbarcarci su un volo con i nostri bambini per mano, tutti siamo saliti sul vagone di una metropolitana e fa lo stesso che la città degli attentati non sia la nostra. Siamo vulnerabili ovunque perché il virus dell’emulazione si diffonde alla velocità di un clic.

Ci aspetta un futuro da rinchiusi nelle nostre case, terrorizzati dall’idea di prendere un treno, andare al cinema o in un centro commerciale? Temo che se l’Occidente intero non apre gli occhi e la finisce di pensare agli interessi economici di pochi, questo sia il destino. Perché, diciamocelo, tutto questo parlare di intelligence per risolvere il problema è abbastanza ridicolo e superficiale. È come affrontare una sparatoria con le pistole ad acqua mentre il nemico usa un mitragliatore. L’intelligence non è la soluzione. Certo, la polizia di Bruxelles forse non è stata all’altezza del compito, forse dati e informazioni non sono circolati a sufficienza ma, diciamolo, per quanto gli addetti alla sicurezza lavorino giorno e notte, organizzino retate, sventino attentati e arrestino criminali, qualcuno di loro riuscirà sempre a farla franca e farci saltare per aria. I terroristi non hanno nulla da perdere, non hanno paura delle nostre armi e delle nostre pene, perché per questa gente è un privilegio servire il loro Dio con la morte.

Il terrorismo non si ferma con l’intelligence. Si ferma con la guerra. Mai avrei pensato di dover usare questa parola che per gli italiani della mia generazione appartiene ai racconti di nonni e bisnonni. Una parola odiosa che evoca orrore. Ma che cosa stiamo vivendo se non un orrore quotidiano?

Per sradicare l’erba malata occorre strapparne le radici. La guerra si fa nei paesi in cui gente fanatica gozzoviglia mentre impone leggi insane alle donne e ai seguaci dal cervello ormai lavato. Paesi dei quali troppi governi occidentali fingono di essere amici per pura convenienza. Interessi economici pagati col sangue della gente comune.

Finché ci saranno angoli mondo in cui si insegna l’odio saremo sempre in pericolo. La guerra va fatta alla base, radendo al suolo ogni casa che nasconda una scuola di fanatici. C’è chi obietta che i terroristi sono spesso immigrati di seconda o terza generazione, nati e vissuti in Europa. Sì, è vero, sono giovani nati e vissuti nei ghetti periferici di città come Parigi o Bruxelles nelle quali hanno studiato senza mai sentirsi integrati, privati di un’identità che, invece, qualcuno dai loro paesi di origine ha cominciato a promettere a gran voce. Un’identità, quella di jihadista, una causa, quella dell’Isis, che per la prima volta nella vita li fa sentire parte di qualcosa di grande e di importante.

Il terrorismo è guerra. E alla guerra non si può rispondere soltanto con parole, le scritte di pace sull’asfalto, le fiaccolate e gli arresti isolati quando si ha fortuna. No, alla guerra si risponde con la guerra. L’occidente unito è immensamente più ricco e più forte di questi criminali assassini. Ed è tempo che lo dimostri.

La pazienza è della gente comune è finita.

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