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[terzo tempo] Di editor, d’autori e di case editrici – Ultimo giorno in compagnia di Blonk

Creato il 11 gennaio 2014 da Camphora @StarbooksIt

blonk

(abbiamo già dato qui e qui)

Eccoci arrivati a sabato mattina. Pensate, questi tre loschi individui di Blonk  alla fine si sono rivelati così simpatici che gli abbiamo aperto il bar di sabato mattina. Oddio, Casu si è scolato la mia ultima bottiglia di Laphroaig, ed è un bel problema. Ma ci pensiamo più tardi.

Vi avevo promesso due cose: che oggi si parlerà di quella cosa orribile chiamata editing (sento già le urla di disperazione), e che vi avrei indicato dove trovare le modalità di invio dei vostri manoscritti a Blonk.

Siccome sono Acrimoniosa ma non Sadica Barista, qui potete farvi una cultura.

Però cercate di leggere prima l’ultima parte dell’intervista. Credo che vi sarà d’aiuto per quelle volte in cui vi troverete a che fare sul serio con un editor e sarete tentati di prenderlo a calci perché non capisce quella frase meravigliosa, quel periodo straordinario che nemmeno Manzoni (Manzoni chi?), quel personaggio così fondamentale che in effetti non si capisce bene cosa ce l’avete infilato a fare, ma era tanto bello da leggere…

-(domanda per l’editor)  Parlaci dell’editing operato sui due testi e delle reazioni degli autori. È stato difficile il rapporto degli autori con eventuali cambiamenti richiesti, ci sono stati conflitti, tentativi di difesa strenua dell’opera, oppure avete cooperato in modo ragionevole e proficuo tenendo sempre a mente che l’obbiettivo era ottenere un testo migliore?

 Lele Rozza – Come uso dire fare editing di un’opera letteraria è come mettere le mani sul cuore delle persone (di solito dico nelle mutande, ma nel caso di Emanuele e Fabrizio ho pensato fosse meglio di no). Scrivere un romanzo è un lavoro intenso, profondo, ci si mette il cuore, l’anima, la passione e tanto lavoro. Capisco perfettamente che ci si “innamori” del proprio testo; capisco perfettamente che ci siano resistenze a cambiare anche le virgole.

Il mio lavoro ingrato è prendere una specie di figlio e renderlo “vendibile”. Questo comporta metterci le mani, talvolta ripensarlo, ricostruirlo, riscriverne parti importanti.

Io dichiaro le regole del lavoro comune prima di cominciare e non riscrivo mai nemmeno un rigo di quello che hanno scritto gli autori. Mi limito a segnalare ciò che non va secondo il mio insindacabile parere, salvo che l’autore non mi convinca che ha ragione lui. In quel caso ritiro la mia eccezione.

E’ capitato spesso che gli autori mi abbiano convinto, è sempre una relazione bella ed intensa quella che si crea.

Ho avuto la fortuna di avere a che fare con dei professionisti, nel caso di tutti i nostri autori, persone che hanno discusso, in modo franco, a tratti virile sul testo, ma sempre nell’ottica del reciproco rispetto (che in tutti i casi è sfociato in reciproca stima, cosa non banale). Fabrizio ed Emanuele mi hanno presentato testi di valore, sono persone intelligenti, sensibili e capaci. Son state discussioni belle, divertenti ed intense. Tutti volevamo un libro un po’ migliore, lo abbiamo ottenuto.

Qualsiasi cattiveria vi diranno gli autori, li conosco, son carogne (qui un’altra faccina), il punto vero è che siamo tutti d’accordo nel trovare valore nel processo di editing, sia rispetto al testo che rispetto alla crescita delle mutue competenze. E’ un bel viaggio.

-(domanda per gli autori) Dal tuo punto di vista di autore, concordi con il tuo editor o hai rilevato problemi di tipo differente? Parlacene senza remore.

 Fabrizio Casu: posso dire che Lele ha un modo di porsi onesto e signorile, nel senso che dopo che ti ha demolito almeno non infierisce sul tuo cadavere. Detto ciò: è una persona capace di ascoltare le tue ragioni, anche riproportele sotto un altro punto di vista, facendoti vedere lati che non avevi percepito tu stesso. E ha l’onestà di dire “OK, allora facciamo come dici tu”, poi ci può essere il “ma però devi tenere conto di questa cosa” però lo fa sempre con un occhio al tuo lavoro e con un rispetto che, detta come va detta, è raro trovare nelle persone con cui si lavora. Poi possiamo lavorare sulla dialettica, ecco, ma del resto se non fosse così burbero non sarebbe lui.

Cambiare un libro non è mai facile. Ci sono parti che non si ha problemi a modificare, perché il loro impatto può essere minore sulla storia, ma quando si parla di toccare qualcosa di importante e fondamentale è più difficile. Ci si deve porre delle domande e la prima, credo, sia quanto l’ego di chi scrive viene colpito dal sentirsi dire “questo no” e quanto la storia, effettivamente, perda nel cambiare quel particolare. Sono cose che vanno a braccetto, in qualche modo, perché il primo influisce sul secondo e viceversa. L’onestà intellettuale di scrittore ed editor si vedono in quel momento e, credo, se c’è da entrambi i lati si cerca e si trova la soluzione migliore o, quanto meno, ci si prova fortemente.

 Emanuele Vannini: – Quelli lì, gli editor, fanno un mestiere difficilissimo. Come i chirurghi. Se non sono capaci, seminano lapidi ma, se invece lo sono, migliorano la vita della gente. Io son qui a raccontarla perché ho avuto culo che son finito sotto uno bravo per davvero.

Dopo aver letto la prima stesura de Il Tensore di Torperterra, Lele mi ha indicato cosa secondo lui andava cambiato e perché, cosa mancava, cosa era di troppo. E ci ha preso, per la quasi totalità. Così mi sono trovato a invertire le fisicità di personaggi o a regalare particolari tic a caratteri che potevano essere confondibili, a descrivere meglio luoghi che erano – fino a quel momento – ben delineati solamente dentro la mia testa, a giustificare svolte narrative che io sapevo che avrebbero retto, pur non sapendo il perché. Il giustificarle e spiegarle, per esempio, mi è servito per pensare a ciò che avevo scritto spesso di getto, a testarle avendo come sparring partner uno che sa il fatto suo ma che è così “piantato” da potersi permettere di essere flessibile, se la difesa della qualità del libro lo permette. Solo in un caso ho fatto di testa mia, su un personaggio che non era stato ritenuto necessario, ma che ho difeso. Ne ho smussato delle caratteristiche, ma l’ho mantenuto, e – col senno di poi – ho avuto ragione. E’ stata una notevole botta di culo.

Eccoci qui. Oh, un po’ mi dispiace, di non avere più questi tre al bar. Persino il Tarlo era così triste da aver quasi perso l’appetito. Poi gli ho confidato che nel catalogo di Blonk ci sono un sacco di altri autori a disposizione, e ha tirato fuori tovagliolo, coltello e forchetta.

Vi conviene leggerli, prima che li spazzoli (siamo gli unici ad avere un Tarlo in grado di divorare anche gli ebook, noi. Mica è da tutti).

Ci vediamo al prossimo post.

L’Acrimoniosa Barista


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