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The end of the tour

Creato il 14 febbraio 2016 da Jeanjacques
The end of the tour
Per quanto sia un accanito lettore, ci sono titoli e autori importanti, se non addirittura seminali, con cui non mi sono ancora cimentato. Un po' la colpevolezza è dovuta a un'adolescenza passata a leggere troppe saghe fantasy, che di tempo te ne portano via parecchio, molto alla mia pigrizia onnipresente e anche a un'eterna paura di sentirmi inadeguato, troppo poco intelligente per potermi cimentare con opere troppo complesse e che hanno fatto discutere molte persone decisamente più lungimiranti di me. C'è sempre questo timore di non comprendere appieno, di dover aspettare che la vita abbia qualcosa in più da insegnarmi prima di poter affrontare certe storie, perché è vero che se una persona intelligente può arrivare a capire molto, certe cose le senti veramente se hai vissuto situazioni analoghe a quelle che l'autore ha deciso di raccontare. Uno di questi autori che mi hanno sempre spaventato, insieme a Proust, è sicuramente David Foster Wallace, uno che è considerato come il più grande genio letterario del nostro secolo e su cui grava un peso pari a quello di un autore classico, nonostante la sua dipartita sia abbastanza recente. Quindi perché guardare un film che parla di lui? Beh, semplicemente perché mi ispirava e anche perché speravo potesse fare da apripista per poter iniziare a leggere i suoi romanzi in una maniera più chiara e 'guidata', sperando però di non farsi imbellettare dalla figura di culto che si è ricreata intorno a lui.

Il film parla di come David Lipsky, giornalista di Rolling Stones e aspirante romanziere, seguì lo scrittore David Foster Wallace nel 1996 nel tour promozionale di Infinite Jest, il suo capolavoro, e dell'intervista effettuata durante il lungo viaggio.

Come ho già detto, non ho mai letto nulla di Wallace, ma lui come 'personaggio' non mi era del tutto sconosciuto. Sapevo della sua maniera di portare sempre una bandana in testa, sapevo che soffriva di depressione, sapevo che aveva delle manie di stalkeraggio verso le studentesse del suo corso di scrittura, sapevo che aveva abusato di droghe pesanti e leggere, sapevo che si era fatto tatuare il nome di una donna che non l'ha mai ricambiato e, infine, sapevo che il suo mal di vivere lo aveva spinto a impiccarsi. Però di suo, nonostante tutto, non ho mai letto nulla, proprio perché a leggere di lui e delle citazioni delle cose che ha detto/scritto, mi è sempre sembrato una persona particolarmente brillante e che va al di là delle mie capacitò di lettore. Il film sembra quindi fatto apposta per un tipo come me, perché prende la figura di Wallaca e la ridimensiona. Nel corso della sua vita lui era stato definito come la 'rockstar della letteratura' e quindi l'opera di James Ponsold cerca di focalizzare l'uomo e non la leggenda che ha creato intorno a sé, cosa che sembra molto frequente negli ultimi biopic che sembrano andare molto di moda ad Hollywood. Qui però abbiamo a che fare con un prodotto che di certo non è destinato a fare la storia del cinema, ma che si fa ricordare bene grazie a una serie di fattori che non lo appesantiscono come avrebbe potuto - e con una figura come quella, il rischio era praticamente dietro l'angolo - e lo lasciano trascorrere con una inusuale fluidità. Tutto è abbastanza ovattato, tanto che sembra di essere quasi in una dimensione favolistica, cosa che è sia pregio che demerito della pellicola, perché forse per parlare di certi temi (droga, depressione, mal di vivere) una certa dose di cinismo è necessaria. Ma dall'altra parte, anche mettere tutto questo da parte e mostrare le fragilità di un uomo entrato nella storia moderna, senza compassione ma solo con una vaghezza che accentua ancora di più la piccolezza, perché tutti siamo piccoli quando siamo soli con noi stessi, sembra una scelta azzeccata. Una via di mezzo che finisce magari per non essere incisiva come avrebbe voluto ma che fa contenti un po' tutti ma che, soprattutto, introduce alla figura di Wallace. Quello che ne esce non è un ritratto positivissimo così come, a quanto pare, positivissimo non fu il viaggio che Lispky fece insieme all'autore. Il tutto partì come una sorta di strana e superficiale amicizia, fino a che invidie e incomprensioni non vennero a galla, senza mai esplodere in maniera particolarmente drammatica. Wallace appare come un depresso, ex drogato (sia di droghe vere che, come su sua ammissione, di televisione) e perennemente terrorizzato di diventare una parodia di se stesso, mentre Lipsky vede in lui quello che non potrà mai ambire ad essere. Sono entrambi due figure molto contraddittorie e a tratti anche odiose, ma proprio per questo stranamente umane. L'articolo alla fine non fu mai fatto e i nastri delle varie registrazioni furono ripresi da Lipsky solo dopo aver saputo, dodici anni dopo, della morte dello scrittore, quindi dell'autobiografia che realizzò Wallace non ebbe mai modo di supervisionare nulla e non si sa quali cose avrebbe voluto si sapessero o meno. Come si possono mettere dei dubbi sul libro realizzato da Lipsky, altrettanti possono essere messi sul film di Ponsold, che forse proprio per questo non entra mai troppo nello specifico. Alla fine è una strana storia d'amicizia e inimicizia, di due uomini a loro modo soli, perché è sempre in solitudine che tutto finisce. E quella scena di Wallace che balla, per l'appunto, da solo, fa percepire tutta la solitudine e incomprensibilità di questo grande personaggio. E proprio per questo, lo fa percepire ancora più vicino.

Davvero carino e, manco a dirlo, mi ha fatto trovare un po' di coraggio per leggere qualcosa di questo scrittore.Voto: 

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