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The Grandmaster

Creato il 01 ottobre 2013 da Ildormiglione @ildormiglione

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Dopo anni di lavori Wong Kar wai offre agli spettatori una danza a suon di arti marziali percorrendo un trentennio di storia cinese. Il film sembra ruotare intorno alla figura di Ip Man di Foshan (Sud della Cina), insigne maestro di kung fu, che i più conoscono per via del suo discepolo più celebre, Bruce Lee. Da narratore iniziale ripercorre brevemente i suoi primi quarant’anni di vita, come tenutario ricco e padre di una bella famiglia. Nel 1936 viene scelto per affrontare la sfida con Gong Baosen, un nobile guerriero del Nord-Est. I preparativi al duello sono un’avvincente esplorazione tra un fiorire di scuole marziali e di pensieri, i cui maestri forniscono suggerimenti al loro duellante del Sud. Ottima la scelta di una sfida sull’arguzia, dove il giovane riesce a sconfiggere l’anziano, prospettando la possibilità di una nuova apertura e una diffusione della conoscenza cinese al di là dei confini della nazione.  Ma il vero duello d’azione è quello successivo con Gong Er, la figlia dell’anziano maestro, refrattaria ad accettare la sconfitta. I due danzano sulla scena a ritmo di colpi di wing chung e  bagua, e sotto la direzione coreografica di Yuen Wo Pin (Matrix, Kill Bill, ecc.) volteggiano corpi e sguardi in un agone anche amoroso. Ha la meglio la donna sull’uomo, e da lì inizia una telegrafica corrispondenza epistolare, interrotta dall’invasione giapponese. Ip Man cade in disgrazia economica, perde le figlie e si allontana dalla moglie per rifugiarsi ad Hong Kong. Nel frattempo seguiamo le alterne vicende degli altri maestri, il “Rasoio” che da nazionalista convinto si allontanerà dal partito comunista e creerà una sua scuola di baji, e Ma San, esperto di combattimenti xingyi, collaborazionista dei Giapponesi, tradirà il maestro e sarà a sua volta sconfitto da Gong Er. Quest’ultima rinuncia al matrimonio e decide di votare l’intera sua esistenza alle arti marziali e alla memoria del padre. Se fin qui vi siete smarriti tra personaggi e scuole di combattimento, non temete, accadrà anche nel corso del film, dove spesso i flashback si dilatano senza venir totalmente conclusi e dove ci si confonde tra i vari maestri, i cui profili sono spesso abbozzati. Quello che importa è non perdere il filo delle arti marziali, che da filosofia e modalità di gestione e organizzazione della società, si avviano progressivamente verso il declino, rischiando di essere relegate dalle successive vicende storiche a pura spettacolarizzazione. L’amore atteso e mai realizzato e per questo eterno, tema caro al regista, ritorna anche tra Ip Man e Gong Er che si rivedranno negli anni Cinquanta, e si corteggeranno solo con gli sguardi e con i rimpianti, considerati da quest’ultima non solo impossibili da evitare, ma addirittura deterrenti contro la noia. L’unico ad aver materializzato gli insegnamenti del maestro sembra proprio Ip Man, che nonostante le disgrazie, continua a procedere verticale con la fede del kung fu nel cuore: “kung fu è fatto di due sole parole, orizzontale e verticale, se vai giù perdi, se stai in piedi vinci”. Il film non è sicuramente un capolavoro, ma cattura lo spettatore con il dettaglio delicato dei primi piani, la potenza dei grandi paesaggi, e i combattimenti precisi e morbidi nell’interno di un lussuoso bordello e negli esterni imbevuti di pioggia e di neve. È un tributo rispettoso e commovente alle arti marziali, silenziosa disciplina che scava nell’animo umano, e la storia di un mondo che fu, dove la sobrietà, il codice d’onore, la dignità di farsi da parte rappresentavano le chiavi di lettura di una realtà fagocitata dalla Storia. Vien voglia di saperne di più del kung fu, delle vicende storiche, della Cina in generale. Il manierismo sensuale di Wong Kar wai sembra strizzare un occhio anche al cinema di Sergio Leone, nella scena dell’oppio e dal “Deborah’s theme”, e allo stile melodrammatico dell’opera, richiamato dal riferimento all’opera cinese e dalla “Casta Diva” di Bellini. Insomma una coccola per i sensi e una riflessione sulla necessità di “guardarsi indietro”.

Voto 7,3/10


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