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The Italian Job: benvenuta nel mondo del lavoro!

Creato il 04 luglio 2011 da Abattoir

Lavorare con lentezza/senza fare alcuno sforzo/chi va veloce si fa male/e finisce in ospedale/in ospedale non c’è posto/e si può morire presto. *

“Benvenuta nel mondo del lavoro!”
The Italian Job: benvenuta nel mondo del lavoro!Questa maledetta frase da terrorismo psicologico me la sono sentita ripetere (e forse me la sono anche ripetuta da sola a mo’ di macumba calmante) mille volte da 2 mesi, ovvero da quanto ho un contratto che attesta che sono una lavoratrice.
Non so se questo voglia dire che chi me lo ripete così frequentemente è uno stronzo o che io sono una sprovveduta ingenuotta a scoprire solo ora tutto un nuovo mondo, in perfetto stile “Cristoforo Colombo scopre l’America”.
Sta di fatto che, per quanto ormai io odi questa frase, è pur vero che finché una cosa non la provi sulla tua pelle e sotto la tua responsabilità, per quanto tu possa essere empatica, perfezionista, e responsabile, finché quel cavolo di posto non è tuo e finché non subisci sulla tua pellaccia che cosa significa spaccarti il culo ogni giorno mentre attorno a te medici uccidono persone, impiegati della regione si limano le unghie, professori non vengono all’esame… No, finché non ti spacchi il culo anche tu attendendo chissà quanti mesi per un modesto stipendio non lo puoi capire appieno.
Prima, quantomeno ti veniva l’ulcera a fare un’immensa fila in una banca di quelle significative, ma con un solo sportellista e 4 posti vuoti accanto; forse ti veniva la gastrite a vedere gente lavorare in nero o con un contratto da 20 ore che ne lavora 40; forse ti spuntava un capello bianco a sentire discorsi di anziane che si rifiutano di mettere in regola una colf nera “picchì ora ci voli sulu paarici i contributi a sti nivuri!”.
Da quando, però, sono una lavoratrice anch’io, il sentimento che si insinua in me a sentire quanto non rispetto ci sia verso l’altro, verso l’idea che “come sei lavoratore tu, lo sono pure io e abbiamo gli stessi diritti e doveri” va oltre tutto questo: è una rabbia sottile, di quella puntuta, che ti entra tra le viscere e ti lacera piano piano.

Ecco un po’ di storie.
Mia zia. Mia zia ha lavorato per decenni in uno studio dentistico. A un certo punto l’aria attorno a lei si è fatta rarefatta, iniziavano a guardarla strano, a farle battutine fuori luogo. A un certo punto a un anno dalla pensione (anno indispensabile per ottenere la pensione stessa!), le arriva la bella botta: licenziata, giacché è una ladra approfittatrice. Diciamo che a un certo punto si scopre che la figlia del proprietario aveva appena preso una laurea triennale di ultima generazione in odontoiatria e che siccome mia zia aveva solo un attestato (eggià, trent’ anni fa queste lauree non esistevano!), andava licenziata per fare posto alla nuova virgulta. Ma siccome non si può licenziare una persona su due piedi – soprattutto dopo averla pagata una miseria per anni e anni, falsificando anche la busta paga – ecco qua la scusa bella e pronta: sei una ladra! Mia zia si distrugge psicologicamente e fisicamente, ma trova la forza andare da un avvocato e di iniziare la procedura per fare una vertenza; intanto si reca in via La Loggia e inizia una cura di ansiolitici. A breve, il miracolo: riceve delle scuse da gente che intanto si era cacata tutte le mutande che possedeva e torna al lavoro con un disturbo d’ansia.
Il primario & mia madre. Mia madre è stata dimessa da un notissimo ospedale italiano perché il primario sosteneva che stesse benissimo; il primario è stato pregato di non dimetterla giacché non lei si sentiva affatto bene; il primario l’ha cacciata; quattro ore dopo il primario si scusava con il vedovo (mio padre) e i figli (io e mio fratello). Oggi il primario è ancora primario.
La mia amica. Una mia cara amica lavora in una catena di supermercati particolarmente fiorenti in Sicilia. Questi famosi supermercati ovviamente assumono i propri dipendenti col tacito patto che si renderanno disponibili ogni volta che ci sarà bisogno di loro, nel senso che: non importa se hai una visita dentistica urgente, se hai la gastrite cronica, se sei mobbizzata, se devi fare degli esami del sangue e se avevi già preso le ferie-prenotatounvolo-iniziatounsecondolavoronelleorelibere. Se il principale chiama, il sottoposto deve rispondere! …Per poi ritrovarsi in busta paga un compenso per circa la metà delle ore svolte ed un calendario in cui a dicembre l’unico giorno libero era uno sparuto lunedì 6; e ritrovarti a capodanno a casa sola perché tuoi amici ovviamente alle 21 sono già tutti al cenone mentre tu devi ancora chiudere il supermercato; per ritrovarti il 24 dicembre con la lasagna fredda nel piatto mentre gli altri sono già al secondo perché arrivi a casa alle 21e30. E non osare iscriverti al sindacato, o t’ammazzo ’a famigghia!
Un collega. Un mio collega universitario mi narrava oggi del meraviglioso tirocinio che sta svolgendo in un noto ospedale palermitano, in cui la psicologia è un optional per gli stessi psicologi, in cui si somministrano ai pazienti test di personalità obsoleti perché solo quelli si conoscono, in cui si scambiano disturbi del pensiero per disturbi della percezione, in cui si avviano procedure specifiche non per il bene dei pazienti, ma per scrivere il secondo capitolo di un libro. Che orgoglio!

E dulcis in fundo, io. Io ho lavorato come cameriera nel locale di famiglia, imparando che non bisogna mai lavorare coi partenti perché sul lavoro si diventa tutti non proprio serpenti ma quasi (senza contare che torni a casa dopo 6 ore rispetto all’orario stabilito, ma “per la famiglia si fa questo e altro!”).
Io ho lavorato in un call center in cui dopo 3 mesi di rispetto delle regole e dei colleghi ho capito quanto ero fessa a fare solo 15 minuti di pausa dopo 2 ore, a non assentarmi mai, a non rispondere male alla gente, a non falsificare le risposte ai questionari.
Io ho svolto un tirocinio in una casa famiglia in cui ho visto colleghe firmare ore mai fatte e in cui il mio (pseudo)supervisore non mi ha insegnato nulla e mi ha certificato un tirocinio svolto solo sulla base della mia buona volontà.
Io sono stata una volontaria felice e rispettata, ma dopo già due mesi che non lo ero più (perché ho avuto un regolare contratto di lavoro!) avevo già discusso con una collega che ad una mia critica costruttiva rispondeva che io non potevo sapere, perché ero l’ultima arrivata, che io forse volevo che lei andasse via, e tutta una serie di parole-resistenze al cambiamento che mi hanno lasciata basita. E per fortuna che so chiedere chiarimenti, per fortuna che in 28 anni a forza di prendere bastonate ho imparato come parlare a qualsiasi tipo di gente. Per fortuna che non sono ancora in burnout e riesco a capire che non tutti sono in grado di NON vedere il lavoro come una proprietà privata che devono tenersi stretta ad ogni costo, anche deformandolo nella sua essenza, ed anche se nessuno ti sta minacciando.

Morale della favola:
Se sei un utente ti tirano le pietre, se lavori e vuoi farlo bene ti tirano le pietre, se lavori con furbizia tendenziosa vai vascio, se non lavori non puoi pagare l’aria che respiri, e quindi muori.
L’uomo vuole essere servito e riverito in qualsiasi posizione si trovi.
E nel suo piccolo, vuole sempre essere un grande-capo-aug a cui tutto è dovuto.
Intanto, ci si livella tutti allegramente verso il basso, nessuno ti aiuta a fare bene le cose, ma ognuno le pretenderà se va a suo vantaggio, anche se va a svantaggio degli altri lavoratori (che comunque saranno sempre meno lavoratori e meno meritevoli di “Lui”).

Marx su questo la sapeva lunga, e oggi ne so qualcosa anch’io, che mi ritrovo a giungere a conclusioni tristi e ripetitive, del tipo: se ci fosse più rispetto tra gli esseri umani, nessuno ti metterebbe i bastoni tra le ruote mentre cerchi di far bene qualcosa, nessuno ti tratterebbe come un cane perché lui in quel caso è un lavoratore o un principale da rispettare mentre tu sei un solo un cliente o un sottoposto e o così o niente. Nessuno forse lavorerebbe per favoritismi, ma solo per reale meritocrazia, e nessuno potrebbe quindi appropriarsi di un lavoro, ma inizierebbe a considerarlo un servizio finalizzato NON SOLO a fare quattrini, bensì a fare qualcosa di buono per se stessi e per gli altri.
Ma siccome la felicità oggi è associata al Dio Picciolo, e il Dio Picciolo si ottiene solo lavorando, il lavoro viene guardato e modellato in funzione del denaro e va preservato ad ogni costo, anche scorrettamente, anche mettendola in c*** al prossimo. Allora fanculo al rispetto: guai a chi mi tocca il lavoro mio, guai a chi mi dice ‘A!’, guai a chi rompe le bolas ai miei figli bravissimi, guai a chi non assume mia nipote, guai ai miei dipendenti se non fanno subito come dico io e guai a quelli del supermercato se non mi portano la spesa posto casa alle 21.

(Benvenuti!)

* “Lavorare con lentezza“, di Enzo Del Re, noto “corpofonista” scomparso lo scorso giugno che cantava accompagnandosi con i suoni prodotti da una sedia e dalla bocca.


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