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The Vanishing of Ethan Carter – I misteri di Red Creek Valley

Da Videogiochi @ZGiochi
di Fabio Cecco D'Ortona

Dal piccolo team di Varsavia, The Astronauts, fondato nel 2012 da tre amici originariamente a capo di People Can Fly - che probabilmente ricorderete per Bulletstorm e Gears of War: Judgment – è giunto da poco su Steam The Vanishing of Ethan Carter, ispirato a racconti macabri e di fantascienza, che tenta di veicolare l’esperienza di gioco sfruttando un’atmosfera a tratti pesante e di stampo horror. Previsto entro il 2015 su PlayStation 4, abbiamo avuto modo di testare la versione PC del gioco, che nonostante la sua natura indipendente ci ha letteralmente stupito per la qualità grafica degli scenari dentro cui si svolgono le investigazioni, ma avremo modo di esporre dettagliatamente il nostro pensiero nel corpo della recensione. Per tale motivo, se le premesse hanno stuzzicato la vostra curiosità, continuate nella lettura.

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CHI HA DETTO TWIN PEAKS?

È stato forse Dear Esther a segnare un punto di evoluzione, o di rottura, a seconda di come la si guardi, nel genere esplorativo, che di lì a poco avrebbe avuto dalla sua una pletora di videogiochi indipendenti pronti a gettarsi in un settore spesso poco aperto al nuovo, o al diverso, e considerata la grossa fetta di pubblico che ne regola e influenza i mercati non è poi difficile capirne il motivo. Abbiamo vissuto le vicende del recente e tanto chiacchierato Gone Home, abbiamo assaporato titoli più particolari come Proteus o Bientôt l’été, esperienze a volte troppo soggettive e singolari da essere giudicate e “catalogate” ad un banale numero: la votazione finale. Altrettanto spesso siamo stati parte di produzioni che in un certo senso potremmo definire ibride, di titoli il cui scopo era quello di concedere al proprio acquirente un tipo di esperienza meno astratta e interpretativa di quella presentata negli ultimi due titoli succitati, ad esempio, affidandosi a percorsi già battuti, senza però rinunciare a feature o elementi di contorno, e non, di spicco. Come vedremo, The Vanishing of Ethan Carter è proprio uno di questi videogiochi, un’esperienza che al mistero, all’occulto e a tinte horror tutt’altro che velate, affianca paesaggi e scorci di location di rara bellezza, a patto ovviamente di avere un hardware in grado di gestire la quantità di dettagli restituita a schermo.

Partiamo dai riferimenti, dato che per stessa ammissione degli sviluppatori The Vanishing of Ethan Carter si ispira a svariati scrittori: dallo statunitense Raymond Chandler conosciuto per i suoi gialli-polizieschi ad Algernon Blackwood, autore di romanzi soprannaturali, per arrivare a Grabinski e Lovercraft, o lo stesso Poe, dai quali si è preso spunto per i riferimenti e le atmosfere horror che si respirano in tutto il gioco. Il titolo di The Astronauts trova però terreno fertile anche in Twin Peaks, serie televisiva trasmessa in Italia nel ’91 e di cui proprio recentemente è stata annunciata una nuova stagione, che presumibilmente verrà trasmessa nel 2016. Dal lavoro dei registi Lynch e Frost, il team di Varsavia ha provato a catturare le atmosfere un po’ creepy, proponendo svariati elementi sovrannaturali, che hanno dato vita ad un racconto sì interessante, ma che come vedremo perde forza e vigore nel tempo. Nei panni dell’investigatore privato Paul Prospero, esperto di occulto, ci troveremo a calcare il terreno di Red Creek Valley dopo aver ricevuto una lettera di aiuto da parte di un ragazzino: Ethan Carter, per l’appunto. Il detective, giunto nel luogo d’interesse, troverà dinnanzi a sé trappole, morti, lettere e tanti altri indizi, tramite i quali potrà arrivare alla conclusione del caso, facendo così chiarezza su quel fitto alone di mistero che regna in un luogo così desolato, immerso all’interno di una vegetazione rigogliosa, che fa da sfondo a vicende molto delicate per argomenti trattati. In breve, si tratta di un titolo esplorativo a tinte horror, tutto in prima persona, che tenta di giustificare gli spostamenti inserendo – all’interno del percorso prestabilito – l’analisi di una serie di indizi e di oggetti da raccogliere, per dar vita alla ricostruzione dei fatti tramite lo speciale potere di Paul: una ricostruzione reale dei fatti, un potere sovrannaturale che gli consentirà di avere un quadro chiaro ed esplicito di quanto avvenuto, senza bisogno di affidarsi a testimoni o testimonianze. La minaccia, come risulterà essere ben chiara fin dagli istanti iniziali di gioco, è rappresentata dal meglio definito “Sleeper”: un’entità oscura che vuole metter fine all’esistenza di Ethan, e che si impossesserà delle menti dei suoi famigliari per raggiungere il suo scopo ultimo.

L’originalità non è proprio il termine giusto per descrivere e definire l’incipit del gioco, tanto meno lo sviluppo narrativo, ma complici i fantastici scenari di gioco l’immersione all’interno delle vicende si fa vera e reale, molto sentita, soprattutto nelle prime fasi di gioco, finché non emergono i primi scricchiolii nella struttura di gioco. Il team ha fatto della non-linearità della produzione un motivo di vanto, ciò è sicuramente un buon punto di partenza perché in tal modo si va a giustificare l’impianto esplorativo proposto, ma inevitabilmente ci si proietta dinnanzi ad altre problematiche, prima tra tutte la lentezza del ritmo del racconto, un effetto dispersione difficile da colmare qualora la vostra intenzione fosse quella di guardarvi attorno, senza risolvere e investigare ogni elemento dello scenario, o dedicandovi a quest’importante aspetto a modo vostro, senza seguire la linea chiaramente tracciata dai developer, che in ogni caso hanno lasciato libera interpretazione e libertà al giocatore. È così che The Vanishing of Ethan Carter appare un tentativo coraggioso ma non così riuscito di story-driven mistery game, suscitando ben presto noia ed evidenziando la pochezza di alcuni puzzle, a nostro avviso un difetto non così grave perché bilanciato da enigmi più ricercati, ma soprattutto perché ci si troverà immersi in un luogo unico e fantastico, dal level design raffinato, dove ogni singola struttura ed ogni singolo dettaglio danno vita ad una scena di rara bellezza, “appesantita” da una colonna sonora mai banale, che dà spesso vita ad un aumento delle palpitazioni. Per giunta, l’inserimento di questi piccoli rompicapo si rivelano semplici elementi di aggiunta ad una formula molto semplice, che invece avrebbe meritato una storia più appassionante in tutta la sua durata e di un finale tutt’altro che approssimativo, come quello che abbiamo vissuto dopo meno di quattro ore dall’inizio dei giochi.

Diventa, a conti fatti, proprio questo il più grande difetto di The Vanishing of Ethan Carter, che abbiamo avuto la pazienza di completare fino in fondo, concedendoci una ulteriore tornata per scoprire cos’altro si potesse fare negli stupendi paesaggi di Red Creek Valley, così da poter confermare senza esitazioni l’assenza di altre motivazioni idonee a spingervi nel rigiocarlo, se non per gustare le location di gioco. Motivo per cui, la conclusione delle vicende ci ha lasciato ancor più l’amaro in bocca, in quella che può essere riassunta come una produzione riuscita per atmosfere e per comparti tecnici, ma che ha pagato dazio a causa dell’estrema semplicità del copione e per l’assenza di rigiocabilità, più che brevità (soprattutto se rapportata al prezzo di lancio).

BELLA GRAFICA NON È SINONIMO DI GRANDE GIOCO

Dopo svariati e numerosi casi nei quali è stata la bontà grafica a concedere una ingiustificata sopravvalutazione (citare Crysis 2 potrebbe essere un buon punto di partenza per farvi intuire quello che diremo a breve, NdR), sembrerebbe che imparare dai propri errori nel mondo dei videogiochi non sia contemplato, che non si riesca a giudicare nella maniera quanto più oggettiva un titolo, almeno al giorno d’oggi, dove le rincorse a chi ha il “pixel più lungo”, la console o il PC più potente, o il maggior numero di fps, stanno impolverando anni di vero gaming, annate di grandi rilasci, di grande serie, di grandi videogiochi. The Vanishing of Ethan Carter rientra un po’ nella categoria di Crysis 2, non ce ne vogliano gli sviluppatori, ma visti i pareri a dir poco euforici ed estasiati della stampa mondiale il nostro approccio al gioco è stato dei più attenti, ritrovandoci poi a dover fare i conti con un pugno di ore di gameplay ed una trama priva di mordente. A tal punto riproponiamo un classico: può un comparto tecnico di pregio sopperire a mancanze strutturali?

A nostro avviso, dalla valutazione tutt’altro che insufficiente ma non così elevata, la nostra risposta si colloca tra il sì e il no. Perché, senz’ombra di dubbio, portare a schermo componenti tecniche di pregio possono aiutare l’immersione nel gioco, estasiare i puristi dei dettagli, delle texture di elevatissima qualità e così via, ma se un titolo presenta pecche evidenti non può essere considerato un capolavoro, almeno non in senso completo. Ecco, The Vanishing of Ethan Carter è un titolo appena discreto per quanto proposto in termini di trama e gameplay, che diventa un po’ più che modesto grazie ai comparti tecnici. Partiamo dal fatto che, trattandosi di un gioco indie, il risultato complessivo raggiunto è a tratti stupefacente, per arrivare ad elencare subito le prime problematiche che abbiamo notato nel codice: innanzitutto il gioco sfrutta appena un paio di core del processore, lasciando le incombenze più pesanti alla scheda video che dovrà gestire, più che la fisica molto semplice, gli orizzonti, gli effetti di luce, la fitta vegetazione e i dettagli del mondo di gioco. Altresì, l’interattività ambientale è molto limitata, ma i colori sono vari, realistici, accattivanti; i sentieri, le costruzioni diroccate, gli elementi di contorno ottimi. Per goderne appieno vi servirà una GPU piuttosto potente, visto che i frame per secondo – a risoluzione 1080p – scendono sensibilmente in base alla pletora di opzioni grafiche inserite, modificabili prima che si avvii il gioco vero e proprio. Parliamo di qualità dei dettagli, effetti di luce, occlusione ambientale, motion blur, bloom, effetti di distorsione, FOV, che faranno la felicità dei possessori di PC molto performanti. Dall’altra parte, nonostante i risultati in-game siano convincenti (molti nemmeno si accorgeranno di quanto stiamo per dire) il sistema di illuminazione non è dei più recenti, ed è possibile notare – esplorando a fondo Red Creek Valley – svariate texture a bassa risoluzione.

Piccolezze sorvolabili in un gioco indie, certo, anche perché gli ambienti di gioco nel complesso hanno fascino e stile, e sembrano veri, reali, non danno mai l’impressione di essere fuori posto, o di farvi sentire estraniati dall’esperienza che poi, di pari passo, vivrete su quelle terre. Oltretutto, a far girare tutto è l’Unreal Engine 3, e questo non può che essere una dimostrazione ulteriore che se usato da mani raffinate questo engine può dire ancora la sua in maniera più che egregia. Chiudiamo con due ultime considerazioni. Il comparto sonoro è perfetto, dai dialoghi doppiati in un ottimo inglese (presenti i sottotitoli in italiano) alle musiche, per un totale di 17 tracce musicali complessive e poco più di 45 minuti di durata, ma s’è rivelato inadatto il sistema di salvataggio inserito. Del tutto automatico, l’abbiamo trovato a dir poco azzardato in un titolo del genere, di fatto sarete costretti a risolvere almeno una investigazione ad ogni ingresso nel gioco, per poter ripartire dall’ultimo progresso compiuto: se non riuscirete in tale compito, beh, allora sarete catapultati all’ultimo avanzamento raggiunto, o all’inizio del gioco… Insomma, da dei veterani come quelli di The Astronauts, ci saremmo aspettati un miglior uso del cervello.


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