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The wedding: 12° capitolo online

Creato il 10 agosto 2010 da Alessandraz @RedazioneDiario
THE WEDDING di Beth Fantaskey
CAPITOLO 12
Lucius si scosta da me, ma solo di un passo, continuando a tenere le mie mani nelle sue. I suoi occhi mi scavano dentro e, poco a poco, in essi intravedo un nuovo cambiamento. Per la prima volta riesco a vedere al di là di quello sguardo impenetrabile, sempre vigile, e ciò che vedo è lo stesso innocente bisogno di essere amato che io stessa non perdo occasione di comunicargli. Ora so che l’ultima barriera fra me e lui è crollata. Lucius mi ha detto molte volte che mi ama. E quell’amore l’ho visto nei suoi occhi. Ma mai così chiaramente. In quell’istante Lucius si stava rivelando a me volontariamente, mi mostrava la sua anima – la cosa più difficile per lui – e io non riuscivo a distogliere lo sguardo, tanto era il desiderio di imprimere indelebilmente quel momento nella memoria.
«Ti ho portato qui questa sera per chiederti di sposarmi, Antanasia» mi dice alla fine, impedendomi di precipitare nell’abisso di quegli occhi.
Quelle parole, quelle incredibili parole, fermano tutto.
Anche il tempo.
«Lucius…» mormoro, incapace di credere che tutto questo stia davvero accadendo. Sposarmi con Lucius era praticamente l’unica cosa a cui ero riuscita a pensare, tra timori e speranze, da quando l’avevo incontrato ed ero venuta a conoscenza del patto. Eppure in quell’istante non riuscivo a credere alle mie orecchie e continuavo a fissare l’indicibile profondità di quegli occhi, per riuscire a capire se stessi solo sognando. «Lucius…?»
Lui mi stringe le mani più forte, tenendole premute al petto. «Voglio chiederti di sposarmi – proprio nel luogo in cui siamo stati promessi – non perché il tuo ruolo lo esige, ma perché mi ami come ti amo io» dice. «Ti chiedo di scegliermi davvero, perché io ho scelto TE, Antanasia, non per onorare il patto, ma per seguire ciò che mi diceva il cuore, e il mio cuore non si accontenterebbe di nient’altro se non di un’esistenza al tuo fianco».
Vorrei urlare “sì” con quanto fiato ho in gola e abbandonarmi fra le sue braccia. Ma ho i piedi inchiodati a terra e la lingua chiusa a chiave nella bocca. Non riesco a far altro se non fissarlo, certa che anche questa volta saprà leggermi nel pensiero. Poi guardandomi negli occhi, come si fa fra vampiri reali, Lucius formula la fatidica domanda, quella che avrei voluto sentirgli pronunciare dal primo giorno in cui l’ho visto.
«Antanasia, vuoi sposarmi?» mi chiede accarezzandomi una guancia e spostando i riccioli che mi ricadono sul viso dietro l’orecchio, e la sua voce è ancora più dolce e soffice, quasi un sussurro, mentre dice: «Vuoi, Antanasia? Vuoi essere mia moglie?».
L’innocenza che ha dipinta in viso si riflette nella sua voce ed è proprio quella dolcezza – quella nuda richiesta, carica della speranza di avermi al suo fianco per sempre – a sciogliermi, permettendomi finalmente di parlare. Perché so che Lucius non ha mai implorato né mai implorerà nessuno come ora sta implorando me.
«Sì, Lucius!» esclamo. O almeno credo di farlo. In realtà la mia voce è sottile, quasi strozzata. «Sì!» ripeto allora, alzandomi in punta di piedi per gettargli le braccia al collo. «Sì, sì, sì» sussurro senza riuscire più a smettere.
Lui mi stringe a sua volta a sé e mi dice: «Grazie, Antanasia… grazie di amarmi…». Rimaniamo così per un lungo istante, per assaporare insieme ciò che ci sta accadendo. Ci sposiamo non per via del patto, ma perché non possiamo vivere l’una senza l’altro…
Poi Lucius mi passa una mano fra i capelli e io sollevo lo sguardo appena in tempo per vederlo chinarsi e baciarmi sulle labbra, dolcemente. Ci diamo baci dolci, innocenti. È come se entrambi riconoscessimo che questo momento merita tutto il nostro rispetto, proprio come il luogo in cui sta accadendo. Quando le sue labbra, solitamente avide, cercano le mie in maniera così gentile, è come se mi dicesse: «Mi prenderò per sempre cura di te…».
All’improvviso, mentre ci baciamo, Lucius mi prende la mano sinistra e m’infila un anello al dito. Non mi ero nemmeno accorta che avesse messo una mano in tasca.
So però che la maggior parte delle ragazze avrebbero emesso gridolini di gioia e si sarebbero messe a rimirare il diamante, ma io non ho nemmeno intenzione di aprire gli occhi. Riporto le braccia dove si trovavano, attorno al suo collo, perché non m’importa di sapere com’è il mio anello. Non m’importa di nient’altro… se non della sensazione che stiamo vivendo in quel preciso istante…
«Antanasia».
Una voce si fece largo nel sonno. Mi voltai dall’altra parte, scacciandola, perché non volevo lasciare Lucius. Ma quella voce, la voce di mia madre, irruppe di nuovo nel mio sogno, e una pressione sulla spalla mi fece sussultare. «Antanasia!»
«Mamma» borbottai sperando che mi concedesse solo cinque minuti ancora. «Ti prego…»
Ma lei riprese a scuotermi più forte e mentre, riluttante, aprivo gli occhi, la udii ridere. Strizzai gli occhi tre volte, perché il sole che illuminava la stanza e l’enorme brillante che avevo al dito mi accecava. Un cimelio della famiglia Vladescu sottratto e nascosto dalla madre di Lucius, Reveka, poco prima che venisse distrutta. Un antico tesoro che desiderava che Lucius desse a me.
Sollevai lo sguardo e vidi che la mamma aveva riacquistato la serenità che la contraddistingueva e, sebbene non avessi fatto altro che pensare a quel giorno per settimane, rimasi a bocca aperta quando la sentii dire: «Svegliati, dormigliona. Oggi è il giorno del tuo matrimonio!».

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