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Trattativa Stato/Mafia: Spatuzza “Le bombe nelle piazze non erano tutte di Cosa nostra”

Creato il 14 marzo 2014 da Giornalesiracusa

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News Siracusa: ieri, nell’aula bunker del carcere romano di Rebibbia ha deposto come teste nel processo sulla Trattativa Stato-mafia Gaspare Spatuzza il quale, tramite un lungo e complesso percorso di conversione religiosa, dal 2008 è diventato un collaboratore di giustizia.

Il ‘soldato’ della mafia ha raccontato che durante una riunione mafiosa, avvenuta a Campofelice in Sicilia, in cui lui aveva esposto un disappunto sull’ordine di ‘uccidere un bel po’ di carabinieri’ perché  – dice – “i morti che ci stavamo portando dietro non ci riguardavano”, Giuseppe Graviano, parlando di alcuni importanti contatti che aveva per le mani, non usò mai il termine trattativa ma disse di “avere una cosa in piedi” che, qualora fosse andata a buon fine, avrebbe fatto ottenere benefici ai mafiosi e soprattutto a quelli in carcere.

Nel linguaggio mafioso “c’è una cosa in piedi” significa che “si sta trattando una situazione” –aggiunge dopo.

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Interrogato dal pm Antonino Di Matteo, il pentito ha confermato che nella stagione delle stragi, che va dal 1992 al 1994, Cosa nostra scelse una strategia mafiosa che non le apparteneva. Inoltre, ha pure precisato che questa faccenda non fu gestita esclusivamente da loro di Cosa nostra ma anche da altre organizzazioni criminali e, addirittura, da presenze esterne sullo sfondo, come l’uomo sconosciuto che a detta di Spatuzza “non era un ragazzo e non era un vecchio” che era presente nel magazzino in cui lui portò la 126 che sarebbe servita per la strage di via d’Amelio.

Ha continuato precisando che il gruppo di ‘manovali’ di Brancaccio, di cui egli stesso faceva parte, iniziò a reperire l’esplosivo fin dal marzo del 1992 senza nemmeno sapere bene che sarebbe stato utilizzato per le stragi. L’esplosivo veniva recuperato dai fondali marini di Porticello in cui si trovavano degli ordigni bellici, ed era quello solitamente utilizzato dai pescatori del luogo per fare la pesca di frodo. Fu proprio Spatuzza a prestare la sua manodopera macinando e preparando l’esplosivo in casa sua. In alcune occasioni – dichiara Spatuzza – oltre al tritolo derivato dalle bombe pescate in mare, si aggiungeva anche una sostanza esplosiva gelatinosa molto più potente ma difficilmente rintracciabile, che neanche lui sa esattamente da dove provenisse.

Per quanto riguarda le dinamiche logistiche degli attentati di Roma, Milano e Firenze, Spatuzza, che all’epoca non era mai andato fuori dalla Sicilia, ha detto che le indicazioni dei posti in cui piazzare le bombe non arrivarono come ordini precisi da parte dei fratelli Graviano, ma che la scelta dei luoghi fu il risultato di varie proposte provenienti anche da Lo Nigro.

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Durante l’interrogatorio, Spatuzza descrive anche l’incontro al bar Doney, avvenuto nel gennaio del 1994 in via Veneto a Roma, con il boss latitante Giuseppe Graviano il quale gli confidò che, grazie alla collaborazione dei loro nuovi interlocutori politici Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, Cosa nostra aveva ottenuto tutto quello che cercava e, quindi, si poteva chiudere tutto.

Spatuzza fa i nomi di questi referenti politici solo nel giugno del 2009; ieri ha spiegato che il fatto di ritrovarsi Berlusconi come presidente del Consiglio solo alcune settimane dopo aver scelto di collaborare con la giustizia aveva fatto crescere le sue preoccupazioni. In quel nuovo clima politico, aveva prima voluto assicurarsi che la Procura avesse dato parere favorevole alla sua ammissione all’interno del programma di protezione.

Oggi, dopo vent’anni dallatrattativa o dalla cosa in piedi’ che dir si voglia, il contro esame degli avvocati della difesa su Spatuzza concluderà le udienze all’aula bunker di Rebibbia del processo contro la mafia e alcuni pezzi dello Stato.


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