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Tre bidoni a confronto (By Bruce Wayne)

Creato il 06 ottobre 2013 da Simo785

Tre bidoni a confronto (By Bruce  Wayne)

Pareva fosse l’oscuro oggetto del desiderio di mezza Europa. Si diceva che, se Ronaldo era “il Fenomeno”, lui senz’altro era “l’Uragano”. E così Franco Sensi, che certo non si può dire fosse un ingenuotto, si impegnò con tutte le sue forze per averlo alla Roma, finché non lo ottenne.

Il resto ce lo dicono i numeri. Perché Fabio Junior Pereira, meglio noto come Fabio Junior, è nato nel 1977, e dunque quando giunse nella rosa del club capitolino aveva appena ventidue anni. Era un calciatore che, se avesse mantenuto le promesse, avrebbe avuto di fronte a sé tutto il tempo per esplodere e diventare il nuovo super-campione della Serie A. Ed invece, da quando se n’è andato dalla Roma (cioè: un anno dopo essere stato ingaggiato), il grande pubblico ha perso le sue tracce.

Perché non era un erede di Luther Blisset. Però, insomma, quando perdeva palla da solo o mostrava di essere veloce più o meno quanto potrebbe esserlo, lanciato in corsa, un portiere di Serie B, era davvero difficile immaginare che fosse un bruco pronto a trasformarsi in una meravigliosa farfalla. Ed infatti così non è stato. Ha collezionato sedici presenze e realizzato quattro gol. Poi è tornato al Cruzeiro, dal quale non ha fatto più avere notizie di sé. E pensare che s’era presentato spacciandosi per ambidestro e promettendo che nulla lo avrebbe fermato…

Anche Franco Sensi ha commesso i suoi errori. E pensare che il tecnico di allora, Zdenek Zeman, avrebbe preferito di gran lunga un attaccante come Andrij Shevchenko…

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Dal canto suo, Rivaldo era una garanzia a partire dal nome. Aveva fatto faville in Brasile, col Palmeiras, ed una volta giunto in Europa – prima al Deportivo la Coruna e poi al Barcellona – aveva dimostrato di non essere un talento d’oltreoceano che si trasforma in un amatore se si fa sul serio. D’altro canto, a testimoniare per lui, c’erano pure le prestazioni che aveva messo in campo con la Nazionale brasiliana (con la quale ha vinto il Mondiale nel 2002) ed il Pallone d’oro ottenuto nel 1999.

Insomma: Rivaldo non era una scommessa al buio. Poteva, anzi, essere considerato un investimento sul sicuro. Ma – qui sta il “ma” – i campioni possono chiudere la propria carriera in bellezza o in bruttezza. E lui, non appena arrivò al Milan, fece capire chiaramente di aver optato con tutte le sue forze per la seconda opzione. In ventidue presenze realizzò cinque (cinque) reti. L’anno successivo arrivò Kakà, ed Ancelotti lo sbatté con decisione in panchina. Così se ne tornò al Cruzeiro, dove rimase per qualche mese (undici presenze, due gol) per poi partire l’anno successivo alla volta della Grecia.

Lì, sì, fece buone cose. Lì.

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Dennis Bergkamp è un altro caso ancora. Perché lui fu un ciclone all’Ajax e all’Arsenal, ma quando si trovò a Milano, sponda Inter, si trasformò in un venticello estivo.

La “Gazzetta dello Sport”, in più occasioni, parlò di lui come di un “ectoplasma”. Riuscì a sparare in fallo laterale un calcio di punizione dal limite dell’area. Nei contrasti con le difese avversarie sembrò più attento a preservare la sua salute che a lottare per il possesso della palla.

Nel complesso segnò otto gol (su trentuno presenze) nella prima stagione, e tre gol (su ventuno presenze) nella seconda. Doveroso cederlo all’Arsenal, nonostante avesse dato una gran mano ai nerazzurri in Coppa Uefa, quando segnò otto gol in undici partite. Forse l’Italia non era adatta al suo carattere timido e introverso.


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