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Tristan Tzara - Nota sulla poesia

Da Ellisse


Un testo di Tristan Tzara che trovo di grande interesse nonostantedada 4-5 i suoi 95 anni. Pubblicato per la prima volta nel numero 4-5 della rivista "Dada" del maggio 1919, presenta numerosi spunti di riflessione ancora attuali, alcuni dei quali rappresentano non solo una poetica di avanguardie storiche morte e irripetibili (e quindi un reperto archelogico), ma anche interessanti suggestioni sul fare e sul vivere la poesia, affinchè non sia "il battito di un cuore secco, sonagli di legno marcio e imbottito". Una poesia perciò risonante.
A seguire le istruzioni "Per fare una poesia dadaista", un testo tratto dal "Manifesto sull'amore debole e l'amore amaro" del 1921. Istruzioni che son sicuro potranno servire a qualcuno.
Nota sulla poesia
Il poeta dell'ultima stazione non piange inutilmente, il lamento rallenta il passo. Umidità delle età trascorse. Coloro che si nutrono di lacrime son contenti e pesanti, le infilano, per ingannare i serpenti, sotto le collane delle loro anime. Il poeta può dedicarsi ad esercizi di ginnastica svedese. Ma per l'abbondanza e l'esplosione, sa accendere la speranza OGGI. Tranquillo, ardente, furioso, intimo, patetico, lento, impetuoso, il suo desiderio ribolle per
l'entusiasmo, forma feconda dell'intensità.
Saper riconoscere e cogliere le tracce della forza che aspettiamo, che sono dovunque, espresse in una lingua essenziale
di cifre, incise sui cristalli, sulle conchiglie, sulle rotaie, nelle nuvole, nel vetro, nel cuore della neve, della luce, sul carbone, sulla mano, nei raggi che si concentrano attorno al polo magnetico, sulle ali.
La persistenza acuisce e fa saettare la gioia verso le campane astrali, distillazione delle onde di alimento impassibile, creatrice di una vita nuova. Scorrere in tutti i colori e sanguinare tra le foglie di tutti gli alberi. Vigore e sete, emozione dinanzi a questa formazione che non si vede né si spiega: la poesia.
Non cerchiamo analogie tra le forme con cui l'arte si manifesta; a ognuno la sua libertà e le sue frontiere. Non ci sono equivalenti in arte, ogni ramificazione della stella si sviluppa indipendentemente, si prolunga ed assorbe il mondo che le conviene. Ma il parallelismo che dimostra la direzione della nuova vita, priva di teoria, caratterizzerà la nostra epoca.

Dare ad ogni elemento la sua integrità, la sua autonomia; condizione necessaria alla creazione di nuove costellazioni; ognuna al suo posto nel gruppo. Volontà della parola: una persona in piedi, un'immagine, una costruzione
unica, fervida, di colore denso, intensità, comunione con la vita.
L'arte è una continua processione di differenze. Non è possibile misurare infatti la distanza tra il «come sta?», il livello a cui si fa crescere il proprio mondo, e le azioni umane viste nella prospettiva della purezza sottomarina. La forza di formulare nell'istante questa progressione variabile: ecco l'opera. Globo di durata, volume partorito sotto una pressione senza causa.
Lo spirito produce nuove possibili irradiazioni: centralizzarle, raccoglierle tutte sotto la lente né fisica né definita, - per il volgo: l'anima. La maniera di esprimerle, di trasformarle: i mezzi. Chiaro e dorato come l'esplosione - battito crescente d'ali che si gonfia.
Senza ambire a un romantico assoluto, vi presenterò ora alcune negazioni banali.
La poesia non è più soggetto, rima, ritmo, sonorità: azione formale. Proiettati sul quotidiano, questi possono essere mezzi senza impiego regolare né registrato, a cui io dò la stessa importanza che al coccodrillo, al minerale ardente, all'erba. Occhio, acqua, bilancia, sole, chilometro e tutto quel che posso concepire come un'unità e che rappresenta un valore suscettibile di diventare umano: la sensibilità. Gli elementi simpatizzano tra di loro, cosi intimamente stretti e davvero compenetrati come gli emisferi del cervello e gli scompartimenti di un transatlantico.
Il ritmo e il trotto delle intonazioni che si percepiscono; c'è un ritmo che non si vede né si sente: irradiazione di un gruppo interno verso la costellazione dell'ordine. Il ritmo, fino ad oggi, è stato il battito di un cuore secco: sonagli di legno marcio e imbottito. Non voglio rinchiudere in un rigido esclusivismo quel che si chiama principio, dove è questione solo di libertà. Ma il poeta sarà severo con la sua opera, per trovare la vera necessità; fiorirà da quest'ascetismo, puro ed essenziale, l'ordine. (Bontà senza echi sentimentali, il suo aspetto materiale).
Essere severi e crudeli, puri ed onesti con l'opera che si sta preparando e che verrà introdotta tra gli uomini, nuovi organismi, creazioni che vivono in ossa di luce e nella favolosa espressione dell'azione (REALTÀ).
Il resto, chiamato letteratura, è l'incartamento dell'imbecillità umana per l'informazione dei professori del futuro.
La poesia cresce o buca il cratere, tace, uccide o grida, lungo le gradazioni della velocità accelerata. Non sarà più un prodotto dell'ottica, né del significato né dell'intelligenza, impressione o facoltà di trasformare le impronte dei sentimenti.
Il paragone è un mezzo letterario che non ci soddisfa più. Ci sono mezzi che consentono di formulare un'immagine o di integrarla, ma gli elementi saranno presi da sfere diverse e lontane tra di loro.
La logica non ci guida più, e il suo uso, assai comodo, troppo impotente, luce ingannevole che sperpera le monete del relativismo sterile, è, per noi, estinto per sempre. Altre forze produttive gridano la loro libertà, fiammeggianti, indefinibili e gigantesche, sulle montagne di cristallo e di preghiera.
Libertà, libertà: non essendo vegetariano, non dò ricette.
L'oscurità è produttiva se è luce di tale biancore e purezza da accecare il nostro prossimo. Al di là della luce che egli emana, si trova l'inizio della nostra. La luce del prossimo è per noi, nella foschia, la danza, microscopica e infinitamente fitta, degli elementi dell'ombra in stato di fermentazione imprecisa. Non è forse sicura e densa la materia nella sua purezza?
Sotto la corteccia degli alberi abbattuti, cerco il ritratto delle cose future, del vigore, e forse, nei canali, la vita sta già inturgidendo l'oscurità del ferro e del carbone.
Per fare una poesia dadaista
Prendete un giornale.
Prendete le forbici.
Scegliete nel giornale un articolo della lunghezza che desiderate
per la vostra poesia.
Ritagliate l'articolo.
Ritagliate poi accuratamente ognuna delle parole che compongono
l'articolo e mettetele in un sacco.
Agitate delicatamente.
Tirate poi fuori un ritaglio dopo l'altro disponendoli nell'ordine
in cui sono usciti dal sacco.
Copiate scrupolosamente.
La poesia vi somiglierà.
Ed eccovi divenuto uno scrittore infinitamente originale
e di squisita sensibilità, benché incompresa dal volgo.
I brani sono tratti da "Tristan Tzara - Manifesti del dadaismo e Lampisterie - Einaudi, 1990"

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