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Un azzurro troppo persistente: L'immoralista di Andrè Gide

Creato il 02 agosto 2012 da Alessandro Manzetti @amanzetti
Un azzurro troppo persistente: L'immoralista di Andrè Gide

(...) Quando mi avete conosciuto avevo una grande rigidità di pensiero, e so che è questo a fare i veri uomini; non l'ho più. Ma questo clima, suppongo, ne è la causa. Nulla scoraggia tanto il pensiero, quanto questa persistenza d'azzurro.(...)
Queste righe del celebre romanzo L'immoralista (1909) di André Gide, che ho riletto per l'occasione (nella edizione Guaraldi del 1995 in mio possesso) sintetizzano lo stato d'animo del protagonista, Michel, alla fine di un lungo viaggio, geografico e esistenziale. Gide (1869-1951, premio Nobel per la letteratura nel 1947) con questo romanzo che all'epoca passò quasi inosservato, precorre largamente i tempi e propone un "eroe" scandaloso e stridente, non tanto per le vicende in cui l'autore lo proietterà, quanto per la natura del  suo pensiero, che lo trascina a una lenta, ma inarrestabile, trasformazione, in una dimensione nuova, e potente, all'interno della quale Michel (l'Io narrante) resterà immobile, incapace di reagire.
Un azzurro troppo persistente: L'immoralista di Andrè Gide
Lo scandalo che suscita L'immoralista è dunque segnato dal percorso che Gide decide per il suo protagonista, verso l'egoismo, l'affermazione di sè, l'invincibile edonismo che come un velo ricopre prima i pensieri e poi le azioni. Il critico e il lettore contemponaneo, che leggendo il romanzo hanno subito una specie di shock letterario e sociale, sono rappresentati con tratti ben delineati dall'autore stesso: hanno il viso e i pensieri del primo Michel, lo studioso puritano ricco delle sue convenzioni e abitudini, il borghese perfetto che  scoprirà lentamente la grande mutazione di se stesso, spinto dal vento sensuale dell'Africa, che raddoppierà, triplicherà,  il  vento interno, oscuro, dell'Io, spingendolo verso la bocca nera del nichilismo. Gide dipinge con una forza senza precedenti lo scontro tra l'etica e la morale sociale con i primitivi istinti dell'essere, adescati, lusingati, alla fine vinti  dal vizio, dal delitto (così lo definisce il protagonista del romanzo) della individualità più accesa, simile alle allucinazioni di una febbre malarica. Questo stato dell'essere, questo cielo che diventa troppo azzurro, è raccontato da Gide con una narrativa letteraria e elegante, ricca di volumi di poesia nonostante l'inevitabile approccio e contesto etico e morale.
Un azzurro troppo persistente: L'immoralista di Andrè Gide
Lo scandalo dell'Immoralista è duplice, non solo per la caratura estetica del protagonista, ma anche come confessione dell'autore. Gide svela molto di se stesso in questo romanzo (molti parleranno fin troppo della  sua omosessualità o dovremmo dire bisessualità, mentre sono ben altri i messaggi), proprio come Michel confesserà ai suoi tre amici il suo cambiamento, dall'inizio alla fine. Queste confessioni rappresentano l'abbandono di principi e convinzioni che fino a quel momento avevano fatto da fondamenta del cittadino perfetto, dell'essere socialmente coordinato. Mai la letteratura, fino al 1909, aveva osato disporre sotto la luce del sole, in  quel modo,  una visione individualista, edonista verso la realtà fino al parossismo. Il predominio dei sensi, la carne, la disperata ricerca del tempo perduto diventano nuovi protagonisti, non più relegati a stretti cunicoli del vizio e dell'errore, delle deformazioni umane; ora sono simboli di nuove domande e riflessioni, che non potranno più essere evitate. Se Michel è un protagonista "malato", forse, insieme all'autore, siamo tutti malati, oppure cerchiamo di diventare liberi? Lo scandalo è realizzato, la letteratura, grazie a Gide, si affranca e trova nuove strade, sotterraneamente già pronte a conquistare il mondo. Molti protagonisti, d'ora in poi, saranno "malati", e saranno splendidi protagonisti. Nello loro debolezze, negli errori e fallimenti, nelle catarsi, ritroveremo noi stessi, in questa nuova via impressionista che Gide riesce a aprire con questo imperdibile romanzo, offrendo alla letteratura una via diretta, meno epica e più efficace, verso il lettore. Una via letteraria che non giudica o nasconde ma racconta, proprio come Gide ha mostrato, senza difendere nè condannare la condotta e le evoluzioni del suo personaggio, nonostante i chiari elementi autobiografici che l'autore ha utilizzato per costruire il suo Michel.
Qualche breve cenno sulla trama, nonostante il romanzo sia molto celebre: Il protagonista Michel convoca i suoi tre migliori amici per raccontare le ultime vicende della sua vita. Uomo di grande cultura, come il padre, Michel si sposa giovane con Marceline, scelta dalla famiglia e dalle opportunità, come una volta era abitudine, e intraprende con lei un viaggio in Africa, dove tra le pieghe di un rapporto assai complesso, si ammalerà di tubercolosi. Guarito dalla malattia Michel si recherà in Francia nella sua tenuta de La Marinière, che sarà lo scenario dei suoi primi cambiamenti, in contrasto con una ambientazione che risplende di infanzia e di ricordi, come se la guarigione avesse donato a Michel una nuova vista sul mondo, sempre più accecante. Seguono altri viaggi, anche in Italia, mentre Marceline si ammala di tubercolosi, fino al ritorno in Africa, a Biskra, tra le braccia metafisiche del deserto, sotto quell'azzurro troppo persistente, dove si completerà il percorso, oscuro e illuminato, di Michel.
Gide propone una narrativa poetica, letteraria, che riesce a raccontare con delicatezza i chiaroscuri delle grandi contraddizioni del rapporto tra Michel e Marceline, le maree dei pensieri del protagonista e degli impulsi e stimoli che continueranno ad avvolgerlo, fino a stringerlo tra potenti spire immaginarie. Impareggiabili alcune descrizioni delle ambientazioni africane, dell'Algeria coloniale, di Biskra e dei suoi bambini, dei giardini e delle oasi, del respiro invisibile del deserto. Michel, il cittadino francese che dovrebbe rappresentare la civiltà tra i "selvaggi", rimane coinvolto, piegato, infine trasportato dal vento africano e dai suoi variopinti messaggi di vita e di morte. Dopo poco più di cento anni dalla sua pubblicazione, L'immoralista, a mio avviso, resta un romanzo moderno, attuale, specchio di tante incertezze e inquietudini, che non può assolutamente mancare nella memoria dei lettori più esigenti.
L'articolo prosegue con la pubblicazione di alcuni estratti del romanzo che ho selezionato, insieme a alcune foto d'epoca di Biskra, una delle ambientazioni più rilevanti della storia; vi aspetto tra qualche giorno qui, su Mezzotins, per il prossimo articolo, che parlerà di dolore invisibile grazie a un fantastico racconto di John Fante.
Un azzurro troppo persistente: L'immoralista di Andrè Gide
L'immoralista di Andrè Gide traduzione di Maria Chiara Giovannini Estratti dal romanzo
(...) Un mattino, Marceline entra ridendo: - Ti porto un amico - mi dice; e vedo entrare dietro a lei un piccolo arabo dalla pelle scura. Si chiama Bachir, ha grandi occhi silenziosi che mi guardano. Sono piuttosto irritato, e questo fastidio già mi stanca. Non dico nulla, sembro arrabbiato. Il bambino, di fronte alla mia fredda accoglienza, è soncertato, si volta veso Marceline e con un movimento dalla grazia animale e carezzevole si stringe a lei, le prende la mano, l'abbraccia con un gesto che scopre le sue braccia nude. Noto che è completamente nudo sotto la sua sottile gandura e il burnus rammendato. - Andiamo! siediti là - gli dice Marceline che nota la mia irritazione. Divertiti e sta' tranquillo. Il piccolo si siede a  terra, estrae un coltello dal cappuccio del burnus, un pezzo di djerid e comincia a lavorarlo. Vuole fare un fischietto, credo. Dopo un pò la sua presenza non mi infastidisce più. Lo guardo; sembra aver dimenticato di essere lì. Ha i piedi nudi; le sue caviglie sono affascinanti, così come i suoi polsi. Manipola il suo coltellaccio con divertente destrezza...Veramente questo mi interesserà?...Ha i capelli rasati alla maniera araba; indossa un misero fez con un buco al posto del fiocchetto La gandura, un po' cascante, lascia scoperta la minuscola spalla. Ho bisogno di toccarla. Mi sporgo; lui si  volta e mi sorride. Gli faccio segno che deve passarmi il fischietto, lo prendo e fingo di apprezzarlo molto. In quel momento vuole andarsene. Marceline gli dà un dolcetto, io due soldi. (...)
Un azzurro troppo persistente: L'immoralista di Andrè Gide
(...) Il nostro soggiorno a Biskra non sarebbe duranto ancora a lungo. Passate le piogge di febbraio, il caldo scoppiò con troppa violenza. Dopo vari penosi giorni, vissuti sotto la forza delle piogge, un mattino, all'improvviso, mi svegliai immerso nell'azzurro. Appena alzato, corsi sulla terazza più alta. Il cielo, da un orizzonte all'altro, era limpido. Sotto il sole già ardente, si alzavano vapori; tutta l'oasi fumava; si sentiva da lontano il rumore dell'Uad in piena. L'aria era così pura e bella che mi sentii meglio. Marceline mi raggiunse; avevamo voglia di uscire, ma il fango quel giorno ci trattenne. Qualche giorno dopo ritornammo al frutteto di Lassif; i fusti sembravano pesanti, molli e gonfi d'acqua. Quella terra africana, di cui non conoscevo l'attesa, sommersa per tanti giorni, in quel momento si risvegliava dopo l'inverno, ubriaca d'acqua, splendente di nuove linfe; rideva di una primavera forsennata che io sentivo ripercuotersi e raddoppiare dentro di me. (...)
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(...) Mènalque, che passeggiava su e giù per la stanza, accese distrattamente una sigaretta, poi la gettò subito. - In tutto questo c'è un "senso", come dicono gli altri, un "senso" che sembra mancarvi, caro Michel. - Il "senso morale", forse  - dissi sfonrzandomi di sorridere - Oh! Semplicemente quello della proprietà. - Non mi pare che ne abbiate molto neppure Voi. - Ne ho talmente poco che qui, come vedete, nulla è mio; nemmeno, o soprattutto, il letto in cui dormo. Ho il terrore del riposo; il possesso lo incoraggia e nella sicurezza ci si addormenta; amo abbastanza la vita per voler vivere sveglio e serbo quindi, in mezzo alle mie stesse ricchezze, questo sentimento d rpecarietà con il quale esaspero, o perlomeno esalto la mia vita. Non posso diere di amare il pericolo, ma amo la vita rischiosa e voglio che essa esiga da me, ogni istante, tutto il mio coraggio, tutta la mia felicità e tutta la mia salute... - Allora, cosa mi rimproverate?  - lo interruppi. - Oh! Come mi state fraintendendo, caro Michel; per una volta che faccio la sciocchezza di professare la mia fede!... Se mi preoccupo poco, Michel, dell'approvazione o della disapprovazione degli uomini, non è per approvare o disapprovare a mia volta; queste parole non hanno molto significato per me. Ho parlato troppo di me finora, l'ho fatto perchè credevo di essere capito... Volevo semplicemente dirvi che, per qualcuno che no ha il senso della proprietà, sembra che Voi possediate molto, è grave. - Che cosa possiedo di troppo? - Nulla, se la prendete du questo tono...Ma non avete iniziato un corso? Non siete forse proprietario in Normandia? Non vi siete appena sistemato, e lussuosamente, a Passy? Siete sposato. Non aspettate un bambino? - Ebbene? - dissi io spazientito, - tutto ciò prova semplicemente che ho saputo condurre una vita più "pericolosa" (come Voi dite) della vostra. - Si, semplicemente, - ripetè ironicamente Mènalque; poi voltandosi di scatto e tendendomi la mano: - Allora, addio; per questa sera basta, non diremmo nulla di meglio. Ma a presto (...)
Un azzurro troppo persistente: L'immoralista di Andrè Gide
(...) Mi sono liberato, è probabile, ma che importa? Soffro per questa libertà inutilizzata. Non è, credetemi, che io sia affaticato dal mio crimine, se vi va di chiamarlo così, ma devo provare a me stesso che non ho oltrepassato il mio diritto. Quando mi avete conosciuto avevo una grande rigidità di pensiero, e so che è questo a fare i veri uomini; non l'ho più. Ma questo clima, suppongo, ne è la causa. Nulla scoraggia tanto il pensiero, quanto questa persistenza d'azzurro. Qui è impossibile qualsiasi ricerca, tanto la voluttà segue da vicino il desiderio. Circondato di splendore e di morte, sento la felicità troppo presente e il mio abbandonarmi a essa, troppo uniforme. Vado a dormire in pieno giorno per spezzare la lunghezza tediosa delle giornate e il loro insopportabile ozio. Ho, vedete, dei sassolini bianchi che lascio a bagno, nell'ombra, e che poi tengo nel palmo della mano, fino a quando non si esaurisce la pacificante freschezza che offrono. Allora ricomincio, alternando i sassi, rimettendo a bagno quelli che hanno esaurito il potere rinfrescante. Il tempo passa, e arriva la sera...Portatemi via da qui; non riesco a andarmene da solo. Qualcosa si è spezzato nella mia volontà; non so neppure dove ho trovato la forza di allontanarmi da El Kantara. A volte ho paura che ciò che ho soppresso si vendichi. Vorrei ricominciare da capo. Vorrei liberarmi di ciò che resta dei miei averi; vedete, questi muri ne sono ancora coperti...Qui vivo quasi di nulla. (...)
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