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Un “gigante del mare” ad Andrano

Creato il 18 novembre 2011 da Cultura Salentina
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CAPODOGLIO, incisione 1894

Gli spiaggiamenti di animali lungo le coste sono eventi, per quanto dolorosi, frequentissimi. Le cronache riportano spesso episodi di tartarughe e delfini morenti oppure vicende di grossi cetacei che vagano disorientati nel mare alla ricerca del loro branco.

Tra le tante opere di Giuseppe Sanchez (1771- 1838), sacerdote molisano, giacobino e uomo di vastissima cultura, si ritrova un volumetto in ottava, edito nel 1827 a Napoli dal titolo Le avventure del Gigante del mare, nel quale l’autore racconta di una balena avvistata a poco più di nove miglia al largo di Otranto e ritrovata morta, in seguito ad incagliamento, il 5 maggio 1827 nei pressi di Andrano in località la Botte. In un primo momento, scrive il Sanchez, la sagoma del grosso cetaceo fu scambiata per i resti di una grande barca naufragata ma solo quando il fetore della carcassa in decomposizione cominciò ad appestare tutta la zona circostante si capì la vera natura. Fu proprio il cattivo odore che convinse gli amministratori del luogo a liberare dagli scogli e tirar fuori dall’acqua il corpo del cetaceo ma per procedere a tale operazione bisognò tagliarlo in pezzi. Dal suo grasso, continua l’autore, fu estratta una gran quantità di olio che lo stesso enumera in novecento cantaje, pari a circa ottanta tonnellate, mentre le sue gigantesche e pesantissime ossa furono raccolte e messe da parte. Il teschio, però, fu preso in custodia dal barone di Spongano don Gennaro Bacile e caricato su un grosso carro tirato da sei robusti buoi oltre a quaranta villani per poi poter essere consegnato al Museo di Zoologia di Napoli nella mani di Luigi Petagna che fu, come noto, il primo direttore di questa celebre istituzione partenopea.

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F. W. Kuhnert, BALENA FRANCA, 1927

La colossale grandezza del cetaceo attirò numerosi curiosi tra i quali diversi naturalisti interessati a identificare la sua specie di appartenenza. Dalle misurazioni effettuate sul luogo, anche se molto imprecise così come lamentò lo stesso Petagna che aveva ricevuto le relazioni e i disegni, l’animale si presentava effettivamente come un gigante dal corpo a forma di cilindro irregolare. Esso misurava, senza la coda, oltre ventisette metri per un’altezza di circa nove mentre spaventevole era la sua bocca che terminava leggermente in punta. Così come scriveva nel suo rapporto il sindaco di Andrano, Villani Domenico Maria, al posto dei denti aveva dei barbigli lunghi poco più di un metro legati alla base della mascella superiore e dentro il palato, mentre degli altri di color nero e all’incirca di due metri sporgevano fuori dalla bocca. Si trattava di un esemplare maschio la cui lunghezza del sesso oltrepassava i due metri e le gonadi, sempre secondo il rapporto del sindaco, corrispondevano a due barili della capacità di 240 litri l’uno. La pelle era liscia e di color bruno ad eccezione del ventre che appariva bianco e per tutta la lunghezza solcato da increspature profonde all’incirca trenta centimetri. In un primo momento si pensò che questo cetaceo fosse una balena franca e ciò sia per la gran quantità di olio ricavata dal suo grasso e sia perché di questa specie furono rinvenuti diversi esemplari nel Mediterraneo come quello di una femmina, nel 1620, rimasta incagliata nelle secche della Corsica e lunga ben trentatré metri. Altri studiosi, invece, sostennero che si trattava di un capodoglio sia perché i suoi barbigli non erano tutti della stessa lunghezza, sia per l’assenza della pinna caudale e sia perché sul ventre non presentava le tipiche macchie marmoree della balena franca. Il capidoglio, aggiungevano gli stessi studiosi, era un frequentatore abituale del Mediterraneo e non di rado erano stati avvistati esemplari di oltre ventisette metri come quello del 1787  rinvenuto sulla spiaggia di Forìa d’Ischia e morto dopo esser stato colpito da una palla di cannone sparata da un naviglio russo, o come quello del 1821 avvistato nel golfo di Napoli e poi dopo parecchi giorni ritrovato morto nelle acque della Sardegna. Anche da quest’ultimo, come per l’esemplare di Andrano, si ottenne una gran quantità di olio.

Non sappiamo se i resti della balena di Andrano furono mai consegnati al Museo zoologico di Napoli e se sia stata identificata la specie di appartenenza ma per certo, posso dire, il nostro cetaceo sino ad oggi non compare nelle vetrine dell’istituto partenopeo che doveva ospitarlo il quale, tra l’altro, custodisce l’unico esemplare al mondo musealizzato di uno scheletro di balena franca boreale catturata nel mar Grande di Taranto nel 1877 oltre a una balenottera minore spiaggiata nel 1846 a Maratea. Io intanto ho spedito, per pura curiosità, una lettera alla direzione del polo museale di Napoli per saperne qualcosa in più…

 

P.S. in data 11/11/2011 il gent.mo prof. Livio Ruggiero,direttore del Museo dell’Ambiente di Lecce, mi ha svelato il luogo dove il teschio del cetaceo è conservato oltre ad altre interessantissime notizie ma su questo scriverò prossimamente.

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