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un po’ di slow web nel far west della rete

Creato il 07 agosto 2011 da Giorgiofontana

un po’ di slow web nel far west della reteLa tecnologia crea divari tra chi ha la capacità culturale, economica e sociale di accoglierla, se non addirittura di precederla, e chi invece, per le ragioni opposte, è destinato a subirla o a non incontrarla mai. Ogni impatto tecnologico innovativo ha disseminato il terreno di vittime, consapevoli o meno. Le ragioni della tecnologia sono molte ma lo sono anche quelle della democrazia che si scontra con la creazione di aristocrazie tecnologiche che concorrono a formare i divari accelerando i processi per lasciare indietro  chi non mantiene il passo delle marce forzate.
La condizione di partenza è ciò che determina una democrazia compiuta o meno.Ed è anche ciò che determina la ricchezza e la qualità della vita.

Jeremy Rifkin già nel 2000 aveva colto la svolta dei paradigmi neocapitalistici con la ricchezza data dall’accesso alle informazioni ed alla cultura.
I Gatekeeper sono gli operatori che decidono le strategie di introduzioni degli strumenti di accesso nel mercato e decidono chi e come si accede alla neo-neweconomy. Sono coloro che decidono nel mercato cosa è di tendenza o meno e creano l’esercito dei propri evangelisti. L’esempio più clamoroso è la Apple.
Una delle declinazioni analitiche di Rifkin è stato il valore del tempo definito dalla velocizzazione di questi processi un far west-Fast web che corre nello spazio-tempo generando nuovi bisogni consumistici generati non più dalla propria necessità di far parte della comunità ma dalla paura di venire lasciati indietro dal valori tecnologici e da quella di essere, inevitabilmente, condannati all’obsolescenza.

Il nuovo modello economico è diverso dal consumismo della seconda metà del secolo scorso. Oggi il consumo è spesso basato sulla gratuità perchè i modelli di business sono cambiati radicalmente e decodificarli è diventato molto più difficile.Il consumatore non paga per consumare, e con questa modalità non si rende conto di consumare. Pensa di essere diventato utente. Invece gli si chiede di consumare il proprio tempo, come già ha fatto la televisione da decenni.
La gratuità è diventata quasi la modalità dell’introduzione delle dipendenze di massa dalla droga tecnologica.Come la distribuzione di stupefacenti per creare nuovo mercato. Quel Soma immaginato da Huxley, in qualche modo.

La gratuità, che spesso è mancanza di un onesto modello di business, crea un aggressività di processo che alla fine della catena significa non pagare il lavoro della prima parte della filiera produttiva, spesso quella più debole.
La gratuità, il free, il fremium, il premium sono termini che a volte nascondono il doping del mercato del virtuale.
E nascondono anche, con quella tipica ambiguità semantica presente nel social media (si pensi al termine friend in Facebook), la contraposizione con Open source, perchè spesso tutto ciò che è gratis non è di pubblico dominio, anzi più è free e più è blindato. Infine, il gratis non è pertinente all’economia del dono, perchè non espone nessun attore della dinamica alla restituzione ed alla reciprocità.

Vorrei chiamare Slow Web, mutuato dal paradigma tutto italiano di slow food, questo approccio un po’ dissacrante di accoglimento delle novità tecnologiche.
Accogliere in modo critico
, chiedendosi se siano necessarie o meno le proposte incalzanti della tecnologia, se siano veri o meno gli scenari che l’informazione hi-tech ci propone, la futuribilità, la conversione dell’innovazione in benessere e felicità.
Chiedersi se ogni volta che deleghiamo una parte delle nostre incombenze operative ad una tecnologia nuova, rinunciamo ad una parte emotiva del nostro Io.
Se il processo mentale che d’ora in avanti verrà svolto dalla macchina non faceva parte della nostra intimità e non era necessario alla nostra armonia.
Chiedersi perchè tante persone cercano di riappropriarsi della manualità, della lettura, del silenzio, dei sorrisi e delle carezze quando bastava non abbandonarli prima.
Se queste rinuncie sono giuste e se ne vale la pena. Se stiamo spostando i concetti di sostenibilità, ecologia, impatto al di fuori dell’umanità.Se c’è bisogno di più pensiero parallelo, piuttosto che di cloud computing o di multitasking.

La variante dello Slow web è spesso il pensiero al femminile, inteso come modo di pensare la tecnologia non come aggressione nerd ma come leggerezza, pensiero debole, postmodernismo ed ecologia, in tutte le sue forme, sostenibilità, etica, natura, armonizzazione e consapevolezza di limiti e accoglienza.
Lo slow web dovrebbe interrogarsi sul come non lasciare indietro nelle corsie veloci dell’innovazione, generazioni e condizioni umane, condizioni sociali, continenti e zone geografiche in quello che si chiama digital divide.

Queste considerazioni molto confuse vorrei condividerle e svilupparle nel gruppo de La scimmia nuda e Internet. Mi piacerebbe avere dei contributi pro o contro. Quella che ancora si chiama conversazione.

Concetti mutuabili e declinabili dalla filosofia Slow food:
Etica Piacere Biodiversità Dignità Territorio Sostenibilità democrazia


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