Magazine Per Lei
Mi è piaciuto lo spirito, mi è piaciuta la riflessione finale. Sono felice per lei.
Condivido in pieno. Lo vedo e lo vivo sulla mia pelle.
Quando il posto di lavoro ti sta profondamente stretto e non perchè preferiresti startene in panciolle sul divano ma perchè l'ambiente è logorato, perchè ti sei trasformato in un robot nonostante la tua voglia di imparare, di fare, è dovuto tutto, perchè devi essere, visto quella che è la situazione, semplicemente grato e basta.Lavoro con persone arrabbiate, preoccupate, negative ma non è sempre stato così.
Quando ho cominciato a lavorare qui tre anni fa il clima era quasi idilliaco, si parlava, c'era uno scambio di idee, si cercavano soluzioni insieme, ci si sentiva partecipi di un tutto che si è sgretolato.
Vuoi perchè la situazione è complicata e ci capiamo poco, vuoi perchè un pò siamo abbandonati, un giorno è cassa integrazione e un giorno lavori fino a tarda sera, vuoi perchè le difficoltà è molto facile che ammazzino l'entusiasmo, vuoi perchè non avere motivazione vuol dire disorganizzazione e disorganizzazione vuoi dire lavoro inutile, vuoi perchè la paura tende a farti aggrappare alla tua sedia, perchè ti serve quella sedia, e preferiresti che fosse tolta all'altro piuttosto che a te.
E allora un pò ti spegni dentro. Molto lentamente, giorno dopo giorno un pò di più.Cerchi altro ma è più facile mortificarsi che crederci ancora. Provo a convincermi che non è il MIO lavoro (proprio come scrive Marzia), ma solo quell'attività che mi permette tutto il resto. Ed è questo l'unico modo per sopravvivere, per non impazzire un pò.Per alzarsi tutte le mattine e indossare comunque un sorriso. La conciliazione è un argomento enorme. E' già stato detto forse tutto, fatto molto poco.Il tuo posto di lavoro deve essere un dovere oltre che un diritto in primis.
Ma il tuo essere forza lavoro dovrebbe avere un senso.Il posto di lavoro dovrebbe essere come l'essere madre.
Faticoso, complicato, e una cosa da cui fa sempre bene ogni tanto prendersi una pausa, un fare altro.
Ma soprattutto dovrebbe essere impegno, soddisfazione, crescita e miglioramento, felicità, voglia di fare perchè è una cosa che fa bene, fa bene come singolo, fa bene a ciò che ti circonda, al tuo gruppo, alla tua squadra.Dovrebbe essere fiducia nelle capacità e riconoscimento.
Dovrebbe essere organizzazione e rispetto.
Dovrebbe essere speranza e spinta al cambiamento.
Dovrebbe essere pianificazione e sogni.
Dovrebbe essere sfida e conquiste. O sconfitte, ma comunque sfide.
Se c'è una cosa che la maternità mi ha insegnato è che si può fallire, si sbaglia spesso, l'importante è mettersi in gioco e continuare, ci si rialza perchè devi ma soprattutto perchè vuoi, per lui, un bene più grande di te.
Tutte belle parole lo so. Anche banali. Banali perchè dette e risapute.
Poco però sembra andare in questa direzione. Molto è ancora sempre e solo parole.
Perchè quello che dice Barbara è la sacrosanta verità. Anch'io sono ricca.
Quello che non è il MIO lavoro mi permette di godere di molte cose. Quando riesco a staccare la spina nel week end, per esempio, ringrazio.
Il succo di tutto dovrebbe essere la qualità del tempo.
Qualità del tempo impiegato a lavorare. E del luogo, dell' ambiente, del clima che in quel tempo si respira.
E se la qualità va a braccetto con il sorriso più qualità vorrebbe dire più produttività. Nel senso più ampio che materiale. O magari la stessa produttività, ma qualitativamente migliore. Verso il futuro. In costruzione.
Sorridendo di più sapremmo dare di più.
Sapremmo fare meglio. Fare meglio sul lavoro fa stare meglio.
Stare meglio fa vivere tutto con un'altra anima.
Per crescere si deve dare la possibilità di lavorare bene, le condizioni (che vanno dai migliori trasporti, anche se forse basterebbero giusti e organizzati, fino ai modi di lavorare, per permettere di avere e dare flessibilità), supportando e migliorando la vita delle persone. In termini pratici, non per forza l'ufficio più bello ma il nido aziendale, solo per fare un esempio. Anche perchè non va mai dimenticato che quelle persone sono i tuoi compagni di strada. Siamo sulla stessa barca.
Il lavoro è un bisogno. Io ho bisogno di misurare e dimostrare di cosa sono capace.
Al lavoro si deve poter dare un senso, che va oltre il mero (ma ovviamente necessario) denaro.
Molte sono le colpe delle aziende, dei capi lontani e poco attenti. Moltissime sono le colpe delle politiche del lavoro degli ultimi anni (o da sempre?), degli errori di una politica ancora meno attenta dei gran capi, lontana e per niente empatica.
Molto posso io, lo so. Tutte le mie belle parole dovrei metterle in atto per prima.
La motivazione possiamo sempre cercarla e il fare meglio dipende principalmente da sè.
La mattina, quando sai che devi andare lì è semplicemente più faticoso del normale, di come dovrebbe essere. Perchè un senso non c'è.
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