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Una lettura ariosa come un peto

Creato il 20 agosto 2012 da Lucas
Esistono vari modi per essere critici o contrari, anche ferocemente contrari, al matrimonio omosessuale. Uno può impancare mille ragioni, esserne fiero, portarle avanti anche se palesemente esse non hanno alcun costrutto: opinioni, anche offensive, gettate là nel mucchio, livore e bava alla bocca inutili.Poi ci sono i modi più raffinati e speciosi, dove magari nemmeno si rammentano gli omosessuali, ma si sostiene con forza il ruolo cardine della famiglia fondata sull'incontro uomo-donna come fondamento della società umana. Modi in cui si arriva a sostenere, per vie traverse, tesi in cui la specificità del genere umano sarebbe stata già tracciata dallo scalpello di Dio, e guai a chi si rifiuta di aderirvi a calco.
È, quest'ultimo, il caso conclamato del professor Francesco D'Agostino che ieri, dalle pagine di Avvenire, affronta il tema della «complementarietà uomo-donna» a partire dalla recente disputa delle donne tunisine timorose di vedere recedere i loro diritti dal governo di matrice islamica che vorrebbe introdurre nella Costituzione
un nuovo articolo – il 28 – che dopo aver ribadito che lo Stato si fa carico della protezione dei diritti delle donne, ne individuerebbe il fondamento “nel principio di complementarietà [della donna] con l’uomo in seno alla famiglia”. Questo articolo, sostengono i suoi critici, farebbe fare un grosso passo indietro alla parità tra i sessi, perché non farebbe menzione del principio di eguaglianza e ricondurrebbe l’identità femminile a un esclusivo ruolo “familiare”.
Continua D'Agostino
Sono fondate queste critiche? Forse sì, ma solo se riferite a un contesto islamico oscurantista (che non sembrerebbe essere quello tunisino). Sappiamo, infatti, che lo statuto giuridico della donna in diversi Paesi a maggioranza musulmana è gravato di molte ambiguità, peraltro per la maggior parte di natura non religiosa, ma storico –culturale. Parlare di complementarietà uomo–donna merita indubbiamente un’esplicita condanna, se attraverso questa espressione si vuole subdolamente veicolare l’idea che la donna, nel contesto sociale e in quello familiare, è e deve essere subordinata all’uomo: un’idea non solo storicamente superata, ma antropologicamente indifendibile. Se però prendiamo le distanze da questo contesto e riflettiamo sulla valenza antropologica generale di questa contestata espressione “complementarietà”, vediamo come essa meriti una lettura più ariosa e molto più interessante. Basta infatti rilevare come la complementarietà, ogni complementarietà, sia sempre reciproca. Infatti, se la donna è complementare all’uomo, l’uomo non può che essere a sua volta complementare alla donna e ciò comporta che solo nel rapporto tra i due, e non nelle loro singole individualità sia pur coniugali, si rivela pienamente il significato e il valore della differenza sessuale.
A una prima lettura non sembrerebbero esserci problemi nell'accogliere e quasi condividere una simile posizione. Resta soltanto qualche dubbio sul termine complementare. Infatti, D'Agostino - forse lo sottintende, per carità - non precisa che la complementarietà non determina necessariamente l'eguaglianza di diritti tra i due sessi. Per capirlo, basta rammentare la definizione di angolo complementare.
In geometria, l'angolo complementare è un angolo di ampiezza tale che, sommato ad un angolo acuto dato, permette di ottenere un angolo retto, ovvero di 90 gradiGli angoli complementari quindi sono sempre acuti
Ora, da un punto di vista costituzionale. se non si precisa che nella coppia l'uomo e la donna devono avere la stessa ampiezza di diritti, la complementarietà resta, sì, ma l'uguaglianza va a farsi fottere, e storicamente sappiamo a favore di chi. Hai voglia a dare una lettura “ariosa”. Le donne tunisine temono, forse non a torto, che il principio di complementarietà proposto dal governo islamico le garantisca 1° di ampiezza a fronte degli 89° gradi garantiti agli uomini.
D'Agostino poi prosegue da provetto esegeta:
Nella tradizione ebraico-cristiana e nell’antropologia che su questa tradizione si fonda su questo punto non è possibile aver alcun dubbio: nella Genesi, 2.24, si allude alla complementarietà come a un vero e proprio mistero, attraverso la famosissima espressione: «L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne», espressione che è ripresa con forza da Gesù (Mt19,6)
Se invece di proporlo come una verità eterna, D'Agostino lo esaminasse un po' più affondo, si accorgerebbe che il passo della Genesi allude alla complementarietà a scapito dell'eguaglianza, giacché solo all'uomo è concesso di abbandonare il tetto dei genitori per unirsi a una sposa, la quale non potrà altro che seguire le indicazioni della sua famiglia.
Dopo questo, D'Agostino parte per la tangente delle sue accese convinzioni
Ma anche in una prospettiva di mera antropologia culturale l’unione coniugale uomo–donna appare imprescindibile, perché simbolicamente fondante l’ordine sociale, sia pure attraverso mille varianti. Il tentativo, tutto moderno, di ridurre ai minimi termini la valenza del rapporto coniugale (se non addirittura di rimuoverlo) è quindi un segnale antropologicamente preoccupante, perché è solo nella famiglia e grazie alla famiglia, in cui uomo e donna si realizzano come «complementari» (cioè alla famiglia fondata sul matrimonio), che si garantisce l’ordine delle generazioni, l’educazione e l’inserimento sociale dei giovani, la cura dei malati, l’assistenza agli anziani. Che l’uso dell’espressione «complementarietà» crei tanta irritazione nelle donne tunisine può quindi avere le sue ragioni, ma si tratta di ragioni per così dire “localizzate”, che non possono essere “esportate”. Meno che mai dovremmo prendere lo spunto dal dibattito tunisino sul ruolo della donna per rivendicare un’ottusa concezione individualistica dei suoi diritti e della sua dignità (e reciprocamente dei diritti e della dignità degli uomini).
Ora,  uno che considera l'unione coniugale uomo-donna come fondamento dell'ordine sociale non ha più bisogno di rammentare che gli omosessuali sono pregati di andare a farsi fottere se pretendono di avere gli stessi diritti delle coppie “normali”. E anche le donne tunisine, non abbiano tanto a rompere le palle coi loro richiami sui diritti, non abbiano a mettere l'uzzolo alle nostre donne di rivendicarne di maggiori e non solo loro, anche gli omosessuali appunto, non siano stuzzicati a pretendere cambiamenti costituzionali.
Dovremmo ormai aver definitivamente capito che i diritti umani non vanno mai rivendicati come individuali, ma sempre come relazionali. Dovremmo quindi convincerci che soprattutto nelle società occidentali avanzate il tema della complementarietà uomo–donna va rivitalizzato e riproposto come la chiave essenziale per tornare a tematizzare in modo sensato gli equilibri interni dell’esperienza familiare. In un momento storico come quello attuale in cui, quando si parla di famiglia, sembra che non si sappia più esattamente di cosa si parla, l’idea di complementarietà potrebbe tornare a rivelarsi particolarmente preziosa.
Ma una domanda, egregio professore: un uomo-uomo o donna-donna non potrebbero essere anche loro felicemente complementari, tanto da formare una famiglia?

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