Magazine Diario personale

Una mattina, tra delusioni.

Da Tuonolux

La strada era costeggiata da una lunga fila di platani i cui tronchi, bianchi e squamati, riflettevano la chiara luce del mattino. L'automobile correva veloce mentre io me ne stavo sprofondato sul sedile passeggero con le braccia conserte. Osservavo dal finestrino le chiome degli alberi da cui sfuggivano i raggi del sole intermittenti e mi godevo un piacevole calore. Luigi ci spingeva sempre forte sull'acceleratore, sembrava non gli fregasse un cazzo dei limiti o del pericolo, o forse non era abbastanza intelligente per valutarli, chissà. Solitamente evitavo di salire in auto con lui, e in quei rari casi in cui condividevamo un viaggio: o guidavo io, o passavo il tempo a bestemmiare e a pregarlo di andare più piano. Quella mattina però non dissi niente, l'idea di morire sfracellato contro un platano e diventare un ennesimo mazzo di fiori a lato strada non mi spaventava. Avevamo passato la notte per locali bevendo e cercando un qualsiasi pezzo di figa dall'area minimamente decente dove poter sistemare l'uccello e disperdere un po' di malumore. Come al solito io ero riuscito a collezionare una dozzina di rifiuti e qualche insulto mentre Luigi, per ben due volte riuscì a portarsi in bagno prima una rossa sui diciotto anni e poi una morettina punk sui venticinque, e naturalmente non mi risparmiò nessun dettaglio quando mi raccontò con aria da vincente le sue prestazioni.
  • il tuo problema mio caro è che sei sempre incazzato, le allontani tutte, e poi non sai controllarti col bere, e alle donne non piacciono gli alcolizzati – disse, con la solita aria di superiorità che aveva sin dal giorno che lo conobbi: circa sette anni prima.
  • oh... detto da uno che stasera si è tirato un Nürburgring di polvere bianca i tuoi consigli sono davvero credibili – risposi, poi mi accesi una sigaretta.
  • le donne non hanno problemi con la coca, a meno che tu non sia quello prescelto per diventare il loro marito -
Guardai Luigi con disapprovazione, poi gli mostrai un breve sorriso senza denti, un po' come si fa con i bambini piccoli piccoli.
  • loro sanno che la coca ti fa scopare come un treno, e se vogliono del sesso sanno che beccano bene con me, tu invece bevi e finisci per rimanere nel tuo pozzo nero esistenziale in compagnia del tuo cazzetto moscio capace solamente di urinare per il tempo di una scopata media – disse, e le ultime parole gli gracchiarono in gola nel tentativo non troppo riuscito di non ridermi in faccia -
  • da quando in qua sei capace di costruire una frase di senso compiuto mettendo in fila così tante parole? -
  • Ho un buon maestro – disse, poi mi strizzò l'occhio e mi diede una pacca sulla spalla facendo sbandare pericolosamente la vettura.
  • merda!
  • tranquillo Eric! La so tenere questa bimba! -
Ripresi a respirare e continuai a fumarmi la sigaretta. Passò qualche minuto, poi entrammo dentro un banco di nebbia densissimo. Improvvisamente non si vide più niente, ma nonostante ciò Luigi non decelerò.
  • non credi sia meglio rallentare? -
  • Naa... rilassati, ho fatto queste strade un milione di volte, le conosco a memoria -
  • ok, supponiamo che la tua memoria sia perfetta, non voglio discutere su questo, ma ci potrebbero essere degli ostacoli non credi? -
  • ostacoli!?
  • Sì, tipo un cane in mezzo alla strada, una macchina in panne, un CAZZO DI DINOSAURO!
  • Naaa... non c'è nessuno in mezzo alla strada. Fidati di me.
Decisi di non continuare la conversazione, la sua sicurezza, il suo sorriso soddisfatto, la sua spavalderia erano diventati un peso soffocante. Lo odiavo. Odiavo lui, la deprimente pianura padana, la mia vita da sfigato. Gettai la sigaretta dal finestrino, chiusi gli occhi e ascoltai il rumore del motore su di giri. Quando riaprii gli occhi la nebbia era svanita. Eravamo in piena Modena, accanto a dei palazzi di vetro e altre mostruosità edilizie figlie degli anni settanta. Il cielo era grigio, il calcestruzzo era grigio, le macchine ferme al semaforo erano grigie. I suoi conducenti avevano facce grigie.
  • ti va di fare colazione? - chiese Luigi.
  • Perché no -
  • oh! Così ti voglio! - disse, poi guardò lo specchietto retrovisore e fece una mossa da vero mannaggia: sorpassò la fila di macchine ferme al semaforo e quest'ultimo divenne verde nell'esatto momento in cui ci trovammo di fianco alla prima macchina della fila.
Il tizio al suo interno ci guardò con stupore, aveva l'aspetto di un ragazzo molto giovane e appena si rese conto di quello che stava accadendo si accigliò e premette l'acceleratore facendo stridere le gomme sull'asfalto. L'adesivo dello scorpione appiccicato sul cofano sotto una presa d'aria modello F50 fu la testimonianza di un evento scontato: nacque una sfida automobilistica. Luigi rimase in testa, sbirciai il contachilometri e vidi la lancetta segnare i centocinquanta. Poi, proprio mentre guadagnavamo terreno Luigi decelerò di colpo dovendo prendere una via laterale che portava a un bar. Mentre svoltavamo vedemmo un carabiniere spuntare paletta alla mano e fermare il giovane sfidante.
  • sei proprio un coglione! - disse Luigi emettendo una risata di godimento.
Mi convinsi del fatto che l'esagerata spavalderia del mio tanto odiato e amato amico era nutrita da una dose infinita di fortuna. Mi scappò da ridere anche a me, in quel momento la sua influenza mi fece sentire, anche se solo per un attimo, un vincente. Luigi fermò l'auto davanti al bar. Scesi dall'auto e sentii la ventola di raffreddamento impazzita e numerosi scricchiolii provenire da sotto al cofano.
  • ti voglio presentare una mia amica che lavora qui – disse, sempre con la solita carica nel viso e nella voce.
  • non possiamo limitarci a fare colazione?
  • no, devi fare conoscenze!
  • ok
Il bar era un buco quasi vuoto con le pareti di un giallo sbiadito. C'era solo un cappello da pescatore sporco di calce che spuntava sopra la gazzetta dello sport, nessun altro. Dietro il bancone invece c'era una donna sui trentacinque, e appena ci vide mostrò un largo sorriso. Aveva capelli biondi lunghi, un viso tondo da bambolona e due tette enormi strizzate dentro una camicetta bianca. Era uno di quei classici donnoni emiliani in carne che facevano sempre venire il tirone.
  • oh cucciolotto! Allora? È una vita che non ti fai vedere da queste parti! Com'è che stai? - disse rivolta a luigi, mentre con le mani poggiate sui fianchi assumeva il tipico atteggiamento del dittatore.
  • Ma io sto bene, son sempre pieno di impegni, ma sto bene!
  • Lo so io che impegni c'hai te criminale!
Se la risero e si scambiarono un abbraccio amichevole.
  • Te come stai Marisa?
  • Lascia stare, son sempre piena di lavoro che non so dove sbattere la testa!
  • A m'l'imagin – disse Luigi, in un dialetto modenese che tradiva la sua meridionalità.
Mi voltai e osservai il bar. Sempre e solo il tale col cappello che leggeva il giornale.
  • ti volevo presentare un mio amico... - disse Luigi.
La donna mi diede attenzione.
  • Lui è Eric, è uno scrittore.
Nel sentirlo la donna si illuminò e portò le mani unite contro al petto, io invece provai un forte imbarazzo e mi limitai a sorridere pacatamente.
  • Uno scrittore? Ma che bella cosa! È sempre stato il sogno della mia vita! Dimmi cos'è che scrivi? Dimmelo, guarda che io leggo molto sai? Magari ti ho anche già letto!
  • In realtà non ho mai pubblicato niente, forse tra qualche anno... chissà...
  • Ah... ecco. A mè i'm piesén le storie d'amore, ne prendo due al mese lì in edicola da Gianni.
Scossi la testa in segno affermativo come se conoscessi Gianni da una vita. Poi Luigi e Marisa ripresero a parlare e a ridere tagliandomi fuori dalla conversazione, tant'è che riuscii a prendere un caffè corretto grappa solo dopo dieci minuti. Luigi mangiò un paio di paste (quelle di pasticceria eh), a me invece mi si chiuse lo stomaco. Riuscii solo a prendere un altro paio di grappe dopo il caffè corretto, e quando mi decisi a prendere la terza Luigi mi fermò.
  • adesso basta, te non bevi più – disse.
  • Va bene, basta – risposi.
Luigi me lo aveva detto con un'espressione severa e dispiaciuta. Sembrava davvero essere preoccupato per me, per la mia salute, e questo suo atteggiamento mi procurò una sensazione di piacere. Quando salimmo in macchina si voltò verso di me e serio mi disse:
  • anche io ho sofferto per una ragazza, ma ne sono uscito, ricordi?
  • Sì, ricordo, hai passato davvero un brutto fine settimana quella volta
  • ed è stato più che sufficiente un fine settimana. Dopo si ricomincia. Abbiamo ventitré anni, abbiamo ancora tempo per costruirci una vita.
  • io in realtà ne ho ventiquattro
  • e fino adesso li hai sprecati piagnucolando e bevendo, fortuna che a volte sei anche simpatico, altrimenti ti avrei già riempito di botte – disse, e poi mi diede una pacca a mano aperta sul petto.
  • Tu credi davvero di avere la capacità di picchiarmi?
  • Come no!
  • Non pensavo fossi così stupido...
  • Vuoi che ci fermiamo da qualche parte a darcele?
  • Se poi ti rovino quel bel visino da terrone che ti ritrovi dopo non becchi più figa, questo lo sai vero?
  • Non ci avevo pensato, facciamo un'altra volta. Adesso sono troppo stanco per schivarti tutti i colpi.
Imitai il verso della gallina.
  • oh  adesso basta eh!
  • Ok
Mi accesi un'altra sigaretta e chiesi:
  • perché mi volevi presentare la tua amica?
  • Perché quella donna scopa come un'indemoniata!
  • Ti sei fatto anche lei lì?
  • Certo! E se ci lavori un po' su scommetto che riesci a sbattertela un po' anche tu!
  • Oh Cristo!
  • È quello che ho detto anche io quando mi sono ritrovato con la faccia schiacciata tra le sue tette.
  • Tornerò a trovarla allora.
  • Sì, ma vacci sul serio, non vergognarti a tirare fuori l'uccello. Quando lo tiri fuori ci pensa poi lei ad usarlo a modo.
  • Ah... è una vera mignottona allora!
  • Una santa mignottona.
  • Mi sta già venendo il tirone – dissi, sorridendo.
  • Ah sì!? Fa sentire!
Luigi mi mise una mano in mezzo alle gambe ed io gliela spostai violentemente. Ridemmo come due idioti e la macchina sbandò pericolosamente. Un auto che veniva dalla parte opposta si attaccò al clacson e noi sbiancammo dalla paura.
  • cazzo!
  • C'è mancato poco – dissi.
  • Già, comunque il mio uccello è più grosso – rispose.
  • L'unica cosa enorme che ho nei pantaloni adesso potrebbe essere un bello stronzo fumante.
Ridemmo ancora, come due stupidi, e poi incontrammo nuovamente la nebbia. Densa, bianca, claustrofobica.

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