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Una prima analisi caro PD: “non abbiamo certo stravinto”

Creato il 26 febbraio 2013 da Antonioriccipv @antonioricci

Come prima analisi del voto potremmo (ed è stato detto) dire che tutto sommato abbiamo vinto e alla Camera abbiamo anche il premio di maggioranza. 

Che la prima mossa tocca a noi.

Spingendosi al massimo potremmo dire che non abbiamo certo stravinto.

Sappiamo tutti che questo è politichese, quel politichese che chi ha votato Grillo o si è astenuto non sopporta più. E che fa venire anche un poco di vomito.

Abbiamo perso alla grande punto.

Abbiamo perso rispetto all’occasione e alle potenzialità che avremmo dovuto e potuto esprimere.

Una prima analisi caro PD: “non abbiamo certo stravinto”

Per una prima analisi le parole di Curzio Maltese su La Repubblica di oggi calzano a pennello:

“Tra i militanti venuti sotto la sede del Pirellone a festeggiare la presa del palazzo d’inverno, e tornati a casa mesti e pesti, tutto è perduto ma non il senso dell’umorismo. L’abitudine alla sconfitta allevia la delusione, comunque bruciante. La Lombardia sembrava l’Ohio e invece rimane il Texas d’Italia, l’inattaccabile roccaforte della destra. Berlusconi ha vinto ancora, nonostante gli scandali, gli arresti, la catastrofe finale del sistema formigoniano, e quindi non poteva perdere nel resto d’Italia. Per il risultato del voto regionale, bisognerà aspettare questa sera. Ma l’esito delle politiche lascia poche speranze all’avvocato Ambrosoli.

Forse si tornerà a votare presto. Ma un’occasione come quella appena persa, in Lombardia e quindi in Italia, è difficile che torni per Bersani e compagni. Perfino la Borsa aveva festeggiato sull’onda dei sondaggi la vittoria della sinistra. E da oggi è pronta invece a speculare, come tutte le altre piazze del mondo, sull’ingovernabilità del Paese.

Naturalmente non è soltanto questione di Milano o di Lombardia. Ma è sul voto del Nord, dove ancora una volta si è schiantata l’ennesima gloriosa macchina da guerra, che si misura il ritardo della sinistra. L’incapacità di intercettare i mutamenti culturali, politici, sociali nelle aree più ricche e avanzate del Paese.

È facile ora elencare gli errori di una campagna sottotono, ma visto che ne abbiamo scritto mentre si svolgeva, forse si può ripetere qualche banale concetto. Primo, non s’è mai vista una forza politica vincere le elezioni senza riuscire a occupare il centro della scena elettorale.

All’inizio la sinistra ha subito l’invasione mediatica di Berlusconi, alla fine quella di Grillo. In mezzo non ha saputo elaborare concetti forti, visioni chiare del Paese, parole d’ordine in grado di garantire visibilità. C’entra di sicuro l’antica diffidenza, mista a disprezzo, nei confronti del mezzo televisivo.

Da decenni i dirigenti della sinistra cullano l’idea bizzarra che la «televisione non conta» e considerano di conseguenza il carisma un vizio dell’anima. E invece l’Italia continua a essere un paese ipnotizzato dalla televisione e succube delle star televisive. Se poi uno davvero crede che le piazze contino più della televisione, almeno non dovrebbe cedere a Grillo le più simboliche d’Italia.

Un secondo errore, fatale al Nord, è stata la drammatica sottovalutazione della questione fiscale. Gli italiani sono stanchi di essere massacrati da aliquote scandinave e il Pd non ha offerto chiare soluzioni al problema. Paradossalmente, Berlusconi e Grillo, con le polemiche su Equitalia e l’Imu e le giustificazioni all’evasione, hanno fatto il pieno di voti in due campi teoricamente nemici: i tartassati e gli evasori fiscali. Ai messaggi furbi, cialtroneschi fin che si vuole, ma terribilmente efficaci dei demagoghi in campo, la coalizione di sinistra ha risposto con vaghe promesse di piccoli aggiustamenti tecnici, non del tutto comprensibili neppure ai commercialisti.

Il terzo errore, sempre più visibile al Nord, è stata la rapida archiviazione del rinnovamento delle classi dirigenti. Dopo la vittoria delle primarie, il gruppo dirigente intorno a Bersani ha pensato che la rottamazione fosse una moda passeggera. Nella campagna elettorale del Pd hanno ripreso voce e visibilità vecchi leader, dalla Bindi a D’Alema, in predicato di diventare ministro. Le liste erano piene di facce troppo note. Il tutto è stato interpretato da un bel pezzo di elettorato come una presa in giro.

Il risultato finale di una strategia grigia è stato altrettanto mediocre. Una mezza vittoria o una mezza sconfitta, dipende dai punti di vista. In ogni caso la conferma che questa guida del centrosinistra non è in grado di sfondare nelle aree decisive del Paese e non è capace d’intercettare un solo voto oltre i propri confini naturali, neppure quando tutto un sistema intorno sta crollando. Anzi, a fare bene i conti, non è più tanto in grado di mantenere integro il proprio zoccolo duro di elettori. Quelli che ieri erano andati a festeggiare e sono tornati a casa in silenzio, senza aver capito niente, ma con il sospetto che siano tutti morti”.



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