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Valzer con Bashir: Ari Folman e David Polonsky e l’insensatezza della guerra

Creato il 03 maggio 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Valzer con Bashir: Ari Folman e David Polonsky e l’insensatezza della guerraStando alle notizie che inesorabilmente assorbiamo dai notiziari, sembra quasi una casualità che Valzer con Bashir, fumetto e film, arrivino in Italia in questo momento. Una coincidenza che è solo tale, purtroppo, dato che la scia di sangue che insensatamente si propaga dai territori occupati palestinesi e da Israele da decenni a questa parte non ha mai dato segni di venire interrotta. Inframmezzata da fragili e brevi tregue, da piccoli spiragli di pace immediatamente sconfessati, la storia di quella piccola porzione di mondo è fatta perlopiù di violenza, fame, miseria, guerra.
Guardando dal nostro privilegiato punto di osservazione sembra che lì, il mondo sia rovesciato e che la quotidianità, oramai, sia uno stato delle cose che mai noi potremmo né accettare né sopportare. La banalità della guerra, coi suoi lutti, è diventata per quelle persone (già, quelle che vediamo in TV sono persone) l’assurdo programma per ogni giorno che Dio – o Allah – manda in terra.

Tutto questo mi viene in mente leggendo il fumetto di Ari Folman e quando il protagonista, israeliano, dice :

Quando tornai dal Libano la prima volta dopo sei settimane la vita procedeva normalmente. Mi tornò in mente che quando ero bambino c’era la guerra e tutto si era fermato. I bambini stavano a casa con le madri in attesa che passasse un aereo a sganciare bombe sopra tutti quanti. Ora nessuno metteva in sospeso la propria vita a quanto pareva, e io facevo più o meno lo stesso.

Ora nessuno mette in sospeso la propria vita. Tutta la banale normalità della guerra in una frase. Ed è quello che succede tuttora, almeno dalla parte israeliana del conflitto.

Valzer con Bashir è un fumetto dalla genesi abbastanza particolare, visto che è la diretta emanazione dell’omonima pellicola di animazione, che in giro per il mondo ha avuto diversi riconoscimenti e ha fatto parlare di sé in molte occasioni, a cominciare dalla sua partecipazione nella selezione ufficiale del Festival di Cannes 2008 fino al vittoria del Golden Globe 2009 come migliore film straniero.

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Più che esserne una trasposizione, però, leggendo l’intervista a Folman in calce al volume, si evince come l’idea di raccontare la stessa storia con vignette e balloons sia nata contemporaneamente alla produzione del film stesso. Intelligentemente, e con un’operazione abbastanza curiosa, i due autori hanno però optato per utilizzare i disegni preparatori alla pellicola e riadattarli a un tipo di narrazione diversa, a un linguaggio con proprie regole e codici, evitando di mettere semplicemente in fila alcune immagini del film, Valzer-con-Bashir-testocome molte volte si è visto fare. Il regista, sempre nella stessa intervista, ammette il suo stupore nello scoprire in corso d’opera come il medium cinematografico e quello fumettistico non siano poi così affini, tanto che il passaggio in cui ne parla è un bel esempio di teoria fumettistica spiccia, ma perfettamente centrata.

La trama del fumetto è piuttosto semplice e si basa sulla ricerca da parte del protagonista, il regista stesso, di colmare un vuoto nei ricordi riguardo la sua partecipazione alla guerra tra Israele e Libano nel 1982 e i conseguenti tristemente famosi massacri perpetrati dalle milizie cristiane libanesi all’interno dei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila.
Folman è stato suo malgrado testimone di questa vicenda, ma per anni la sua mente si è rifiutata di ricordare quei giorni, finché attraverso sessioni di analisi e colloqui coi suoi commilitoni tutto è tornato a galla.
Più che essere un lavoro realista, documentaristico o cronachistico, Valzer con Bashir ha l’ambizione di mettere al centro l’esperienza di questi giovani mandati a sparare in una guerra insensata – come lo sono tutte, del resto – con i loro carichi di rimorsi nascosti in vite apparentemente normali. Quasi che agli autori del fumetto interessasse analizzare un fenomeno grande e per definizione ingestibile come la guerra da un punto di vista più intimista, più personale. Parlare del grande male sottovoce, non distrarre con effetti speciali, avere il massimo rispetto per ciò che si vuole dire.

Del resto è incredibile come questo viaggio nella memoria perduta, fatto di flash, di sprazzi di ricordi confusi, sia tanto efficace, narrativamente, quanto a prima vista inusuale per raccontare una vicenda simile, tanto che sono rimasto sorpreso dal tono quasi blues, struggente e malinconico di molte parti del racconto.
E ‘ proprio l’analisi e l’autoanalisi psicologica (i colloqui con il medico e con i propri ex-commilitoni) a determinare la struttura di tutto il racconto. In una recente intervista (di prossima pubblicazione su queste pagine) il fumettista spagnolo Angel De La Calle, autore di Modotti, affermava che nella narrazione moderna (letteratura, cinema, fumetto) la struttura è la parte più importante per la buona riuscita di un’opera. Anche in questo libro (e presumo anche nel film che non ho ancora visto) se riducessimo all’osso la trama ci accorgeremmo come essa sia riassumibile in pochi basilari concetti. Allo stesso tempo, proprio in funzione dell’espediente narrativo – il filo dei ricordi che il protagonista rincorre – questa esile trama acquisisce spessore, fascino e funzionalità, tanto che possiamo dire di trovarci di fronte ad un’opera di forte impatto simbolico e civile.

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La “tabula rasa” della memoria di questi soldati israeliani curiosamente mi ricorda – con tutte le differenze del caso – quello che per anni ho sentito dire di prima mano da ex deportati italiani nei campi di concentramento di Dachau, Auschwitz, Mauthausen. Tornati da quell’orribile esperienza che aveva segnato indelebilmente la loro vita, hanno voluto o forse dovuto dimenticare e non più ritornare con la mente su quel tremendo periodo, complice anche l’incredulità di chi invece li stava aspettando a casa. La necessità di andare avanti obbligava ad un oblio autoindotto.
Ma molte di queste persone che ho avuto la fortuna di incontrare, dopo essersi ricostruiti una vita in anni più recenti hanno avuto la forza, la volontà e, oserei dire, la saggezza, di far della propria esperienza testimonianza, riscavando nei propri dolorosi ricordi, con la consapevolezza che quest’atto fosse necessario per far conoscere alle nuove generazioni un oscuro passato col quale purtroppo dobbiamo sempre fare i conti.
Folman in Valzer con Bashir più o meno fa questo. La voglia di raccontare un fatto tragico come ad aver assistito al massacro di uomini, donne e bambini palestinesi a Sabra e Chatila è un atto di piena consapevolezza personale, civile e politica. Di questo credo non ci siano molti dubbi. Lo dimostrano in maniera efficace le ultime due tavole con cui il fumetto si chiude: vere e proprie fotografie senza nessuna parola a commento al posto dei disegni – ovvi in un fumetto – fino a quel punto utilizzati. valzer-con-bashir
In un fumetto non si poteva dire meglio una verità tanto terribile, raccontare un dolore così difficile da spiegare che con questo contrasto tra disegni e fotografie. Un contrasto spiazzante e illuminante che butta in faccia al lettore la sola e unica verità possibile: questa non è fiction. Quello che hai letto è realmente successo e se anche questo racconto si avvale della retorica e del mestiere di un narratore, il sangue è stato realmente versato, come altrettante lacrime sono state piante.

Un fumetto riuscito, quindi, anche nella sua parte grafica che a prima vista può destare qualche perplessità soprattutto per la staticità dei disegni, la sensazione di freddezza derivata dall’uso sistematico di foto per confezionare gli sfondi e dalla colorazione digitale prevalentemente composta da colori piatti e campiture uniformi. Eppure tutte queste caratteristiche grafiche, che personalmente non amo molto e che di solito a mio parere determinano una frattura tra narrazione scritta e disegnata, in questo caso funzionano accentuando la dicotomia tra realismo e messa in scena, tra la necessità di dare delle coordinate precise su cui muovere il racconto e la scelta di interpretare attraverso il carattere espressivo dei colori ciò che è nascosto in fondo ai ricordi.
Come in diverse interviste Ari Folman ha dichiarato, questo è un fumetto contro tutte le guerre, dove l’analisi storica è forse meno importante della descrizione degli effetti devastanti che questa immane ed eterna tragedia imprime sulle proprie vittime.
Che possono anche essere gli ingenui e imberbi soldati addestrati fin da piccoli a imbracciare un fucile e a odiare il nemico del proprio stato.

Abbiamo parlato di:
Valzer con Bashir
Ari Folman, David Polonsky
, 2009
144 pagine, brossurato, colori – 18,00 euro
ISBN: 9788817029124

Riferimenti:
Il trailer del film: www.luckyred.it/valzerconbashir
Intervista ad Ari Folman

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