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Vaticano S.p.A

Creato il 16 agosto 2011 da Mikdarko
La Città del Vaticano si estende su 44 ettari di terreno. Ha 911 residenti di cui 532 cittadini, il cui reddito pro-capite ammonta a 407.095 euro. Non produce beni e i suoi servizi sono per lo più gratuiti. La sua economia (con i suoi profitti) si basa sugli investimenti, mobili e immobili, sul patrimonio esistente, le rendite e sulle rimesse delle diocesi sparse nel mondo; sono 4 649 riunite in 110 Conferenze Episcopali. 
Vaticano S.p.A
Il bilancio di tutto questo è tenuto dall'Apsa (Amministrazione patrimonio sede apostolica) e la Prefettura per gli Affari economici, guidata dal cardinale Sergio Sebastiani, lo controlla. A quest'ultima è anche demandato il compito di controllare i bilanci dello Ior (l'Istituto per le opere religiose), la banca Vaticana. Ogni diocesi inoltre gestisce un patrimonio a sé. Fatto di immobili, titoli e offerte dei fedeli. La Città del Vaticano è composta da tre parti (a volte considerate personalità giuridiche altre no).  Lo Stato, la Santa Sede e la Curia. 
Il primo è l'entità territoriale, la seconda è il vertice della Chiesa e la Curia è la struttura organizzativa. Tutte le istituzioni vaticane spesso rivendicano l'extraterritorialità e la non rispondenza alle leggi degli altri Stati-Nazione. 
APSA  L'Apsa è in pratica la Banca Centrale della Città del Vaticano. Essa svolge funzioni di tesoreria e gestisce gli stipendi dello Stato. Fra i suoi compiti c'è anche quello di coniare moneta.  Nel 1998 infatti, l'Ue ha autorizzato l'Apsa ad emettere 670 mila euro l'anno. Con la possibilità di emetterne altri 201mila in occasione di Concili ecumenici, Anni Santi o in occasione di un'apertura della Sede vacante. Secondo quanto riportato dai dati ufficiali della Prefettura per gli Affari Economici, per il 2002 il Vaticano e la Santa Sede sarebbero in deficit. 29,5 milioni di euro.  Nel bilancio però non figurano strutture come le università pontificie, gli ospedali cattolici (Bambini Gesù di Roma, ad esempio), i santuari (Loreto, Pompei).  Ma soprattutto non figura l'obolo. Una pratica che ha portato nel solo 2002 un gettito nelle casse della Città del Vaticano di 52,8 milioni di euro. 
IOR (Istituto per le Opere Religiose)  E' la banca della Città del Vaticano. Dopo le vicende legate al banco Ambrosiano, al crac e al cardinale Marcinkus, nel 1990 papa Giovanni Paolo II lo ha riformato.  Ora la responsabilità è stata affidata a persone laiche ma di credenze cattoliche; lo presiede, infatti, Angelo Caloia, professore dell'università Cattolica di Milano, ex presidente del Medio Credito Lombardo e attualmente a capo di due società di Banca Intesa.  Lo Ior ha sede unica in Vaticano. Non ha filiali in nessun altro luogo. Non ha accesso diretto ai circuiti finanziari internazionali. Non aderisce alle norme antiriciclaggio sulla trasparenza dei conti. Il riferimento è la segreteria di Stato vaticana di monsignor Angelo Sodano.  Oggi lo Ior amministra un patrimonio di circa 5 miliardi di euro. Ai suoi clienti (dipendenti del Vaticano, membri della Santa Sede, ordini religiosi, benefattori) garantisce un tasso annuo del 12%. Poco si sa sulle attività della banca; dove investa, a chi dia crediti.  Nel 2002 il dipartimento del Tesoro americano ha segnalato che il Vaticano ha 289 milioni di dollari in titoli Usa. L'advisor inglese Guthrie Group ha reso nota una joint venture tra Ior e partner americani per un valore di 273,6 milioni di euro. Ultimamente, si sa che le isole Cayman, il noto paradiso fiscale internazionale, sono passate dal controllo della diocesi giamaicana, guidata dal cardinale Adam Joseph Maida, membro del collegio di vigilanza dello Ior, a quello diretto del Vaticano. 
QUANTO CI COSTA IL VATICANO SpA  Città del vaticano è il più piccolo stato del mondo ma anche il più rispettato. Si tratta di una monarchia assoluta elettiva. Grazie al carisma del Papa, all'organizzazione piramidale e non democratica ed all'esercizio delle attività di apostolato e di beneficenza, la SantaSede amministra i suoi beni e le sue società in tutto il mondo.  I suoi beni immobili (beni ecclesiastici) situati in altri stati godono in numerose nazioni, tra le quali l'Italia, di regimi privilegiati ed in alcuni casi di extraterritorialità che consentono l'esonero da imposizione di tasse.  Per questi regimi speciali, che valgono anche in temi di commerci, di contratti e di donazioni nonché per l'opacità della sua finanza, Città del Vaticano, pur con le debite differenze, è stato spesso paragonata alle "giurisdizioni off shore" (paradisi artificiali). 
In Italia in particolare si intrecciano proprietà immobiliari, attività bancarie, imprese industriali, finanziamenti diretti e indiretti a carico del bilancio dello Stato Italiano e di Enti Pubblici.  Ciò crea una posizione di quasi monopolio del vasto mondo dell'assistenza, una presenza costante in tutte le iniziative a favore dei della gioventù, della gestione di cliniche. di enti ospedalieri.  Con il condizionamento operato dalla chiesa sul parlamento nella produzione legislativa, necessaria a creare una indispensabile cornice istituzionale e strutturale e sopratutto un confacente regime di privilegio tributario. 
Attraverso i Patti Lateranensi del 1929 e successivo accordo, che hanno regolato i rapporti tra Stato Italiano e Chiesa, poi con la nascita della Repubblica e dei governi democristiani, lentamente l'Italia divenne la sede temporale del potere ecclesiastico, penetrato per delega nei governi, negli enti pubblici, nelle leggi, nella costituzione materiale.  E con sola resistenza marginale. pagata a caro prezzo, di alcuni cattolici politicamente impegnati come De Gasperi e Moro. Per mantenere indenne il potere temporale della Chiesa, il Sacro Soglio e le sue propaggini diocesane, non scomunicarono mai le malversazioni e la pubblica corruttela che avveniva sotto gli occhi di tutti fino a diventare sistema di governo e sottogoverno.  Eugenio Scalfaro da La Repubblica: 
"Non è mistero per nessuno ed anzi storicamente accertato che l'episcopato fu cieco e sordo di fronte al sistema della pubblica corruttela del quale era perfettamente consapevole e spesso direttamente beneficiario. Come accadde, tanto per ricordare un macroscopico esempio, in occasione del vero e proprio "sacco di Roma" che durò dagli anni cinquanta a tutti i settanta nel corso dei quali, appalti, piani regolatori, aree verdi o di destinazione estensiva furono manipolati per favorire Ordini religiosi, grandi famiglie papaline, dignitari della Santa Sede, società immobiliari e palazzinari, dentro una rete di compiacenza di marca vaticana che spolparono la città come si spolpano le ossa di un pollo" . 
Cosi il vaticano ha potuto conservare e moltiplicare in Italia immense ricchezze. Gli innumerevoli immobili situati in tutto il territorio italiano e sopratutto a Roma, sono anch'essi favoriti da un regime fiscale che ha del ridicolo.  Le chiese sono semivuote ma le casse sono piene. Un fiume inesauribile di denaro affluisce in Vaticano dall'Italia e da tutte le nazioni e comunità dove vi sia una maggioranza cattolica: offerte, donazioni, eredità, quote di imposte. 
Soltanto una, piccola parte di tali ricchezze finisce in progetti umanitari. Il resto va alla catachesi nelle parrocchie, all'edilizia di culto, al sostegno del clero ( circa 40.000 preti in Italia), ma anche alle banche amiche, da qui la liquidità si ricicla e si moltiplica in investimenti, in titoli, in immobili, in businnes disinvolti, in azioni di industrie etc...  Non per niente spesso il Vaticano, sempre per quanto concerne lo Stato Italiano è rimasto implicato in vicende strane mai completamente chiarite, come il caso Calvi, il banchiere di Dio impiccato sotto un ponte di Londra, la vicenda del Banco Ambrosiano e dell'assassino di Marco Ambrosoli , il sinistro ruolo dello Ior attraverso il misterioso Marcinkus ed altri faccendieri di alto bordo tra i quali Michele Sindona
KILLER IN PARADISO  Consulente finanziario del Vaticano e della mafia italo-americana, il finanziere siciliano Sindona negli anni 60 brucia le tappe e diviene un protagonista del mercato finanziario americano. Sospettato negli Usa di essere coinvolto nel traffico internazionale di stupefacenti e legato ad ambienti mafiosi, Italia può continuare a gestire i suoi sporchi affari grazie ai rapporti con la democrazia cristiana ed alle credenziali che gli derivano dal suo legame personale con Paolo VI.  Quest'ultimo lo incarica di eludere la legislazione fiscale sottraendo alla tassazione l'ingente patrimonio azionario vaticano (che esulava dai privilegi fissati dal Concordato).  Sindona non tradisce le aspettative del Pontefice trasferendo gli investimenti nel mercato esentasse degli eurodollari tramite un rete di banche off-shore domiciliate nei paradisi fiscali.  Non si sa se la chiesa abbia beneficiato del condono sul rientro di capitali dall'estero ideato da Tremonti. 
Il Vaticano ebbe rapporti anche con la banda della Magliana.  A questo riguardo assai strana e curiosa appare la vicenda di Enrico De Pedis appunto boss della famigerata banda. Dopo una vita costellata da una serie di gravi reati-quali, associazione per delinquere al traffico di stupefacenti, dalle rapine a mano armata agli omicidi,, il due febbraio 1990 nella romana via del pellegrino viene ucciso da bande rivali.  Il 9 luglio 1997 un'interrogazione parlamentare del leghista Borghezio invita il Ministro degli Interni ad accertare i motivi per i quali il noto gangster Enrico De Pedis riposi nella cripta della Basilica si Sant'Apollinare, un privilegio che secondo il diritto canonico spetta soltanto al Sommo Pontefice, ai cardinali ed ai vescovi.  Si accerta che il nulla osta per la sepoltura era stato richiesto al Vaticano da monsignor Pier Vergari, rettore della Basilica, cioè lo stesso prelato che ai funerali aveva impartito l'estrema benedizione al boss di testaccio secondo il quotidiano l'Unità questo enigma imbarazzante ha una soluzione politica-religiosa. 
In particolare per quanto riguarda l'omicidio Pecorelli del 1979, la procura di Perugia ha ipotizzato l'esistenza di contatti organici tra la banda della Magliana, cosa nostra e ambienti politici romani che facevano capo a Giulio Andreotti e Claudio Vitalone (poi usciti indenni dai processi a loro carico). Comunque Pecorelli secondo testimonianze di un pentito sarebbe stato ucciso da un commando composto da sicari della banda della Magliana e cosa nostra.
L'IMBROGLIO DELL'OTTO PER MILLE 
Il finanziamento dello Stato Italiano alla Chiesa Cattolica, deciso con la revisione concordataria del 1984 fu sottoscritto da Craxi per acquisire benemerenze presso il Vaticano. E con l'imbroglio dell'otto per mille nella formulazione italiana, tale finanziamento non può che essere definito una colossale truffa.
Infatti la percentuale dei contribuenti italiani che firmano in calce alla denuncia dei redditi l'otto per mille a favore della Chiesa cattolica è di circa il 45% che poi in sede di liquidazione dell'importo calcolato diventa come d'incanto il 90%.
OPERE DI BENE, MA NON SOLO 
Il piatto vale ben oltre un miliardo di euro. La partita si gioca a sette, ogni anno, quando arriva il momento di presentare la dichiarazione dei redditi, quando gli italiani decidono a chi destinare l'otto per mille del loro imponibile: alla Chiesa cattolica?
Alle altre cinque confessioni di minoranza ammesse alla spartizione? O allo Stato?
Un dubbio che non tocca la stragrande maggioranza degli italiani, che hanno inequivocabilmente deciso di premiare la Santa Sede.
Ma che si ripropone quando si fanno i conti finali, per vedere come e dove sono stati spesi i soldi dei contribuenti. I numeri parlano chiaro e dicono che la Chiesa cattolica non ha rivali.
Quest'anno per la prima volta ha superato il miliardo di euro di incasso è ha stabilito il record di preferenze: 87,17 per cento delle scelte contro l'86,58 del 2002 (anno nel quale lo Stato ha ottenuto l'11,04 per cento dei consensi e gli altri le briciole rimanenti).
«I cittadini - dice Paolo Moscarino, direttore dell'ufficio promozione sostegno economico della Conferenza episcopale italiana - hanno capito che non si tratta solo di una firma ma della partecipazione consapevole alla missione della Chiesa».
La Cei ha illustrato nei giorni passati l'utilizzo della sua quota di otto per mille, a tredici anni dall'introduzione. Analizzando le cifre si scopre così che gli introiti, dal 1990 al 2003, si sono praticamente quintuplicati. Ma la distribuzione nei tre compiti istituzionalmente fissati dalla legge non si è mossa in modo omogeneo. È cresciuta notevolmente la voce «esigenze di culto e pastorale», che va dalla catechesi nelle parrocchie all'edilizia di culto: il fondo è passato da 38 a oltre 420 milioni di euro. Più modesto l'aumento delle somme spese per gli interventi caritativi (da 27 a 185 milioni di euro) e di quelle usate per il sostentamento del clero: (da 145 a 330 milioni di euro).
«Sì, solo il 18 per cento del totale finisce direttamente in progetti umanitari», spiega ancora Moscarino. «Attenti però a non fare semplificazioni: la carità cammina sulle gambe degli uomini, che la Chiesa deve formare e sostenere, anche economicamente». Ma è il meccanismo di attribuzione a far discutere. Soprattutto per quel che riguarda l'otto per mille di chi hanno scelto di non scegliere, lasciando in bianco la casella della dichiarazione dei redditi. Si tratta della maggioranza delle persone che pagano le tasse. In cifre: 22 milioni su 36 milioni di contribuenti del '99 (che hanno determinato la spartizione dell'anno scorso).
Ebbene, il loro otto per mille è stato diviso tra tutti i pretendenti in proporzione delle preferenze ottenute. In altre parole: l'87 per cento dell'otto per mille di chi non ha preso alcuna decisione è andato comunque alla Chiesa cattolica, il dieci allo Stato. E così via.
«Il sistema non ci piace», dice Ignazio Barbuscia, tesoriere dell'unione delle chiese avventiste del settimo giorno. «Avevamo proposto che quei soldi andassero allo Stato, ma evidentemente hanno prevalso altre logiche».
Già, lo Stato. Anche sulla gestione del suo otto per mille non mancano le polemiche. Nel 2001 i tre quarti dei cento milioni di euro di sua competenza sono stati distolti, con un semplice decreto legge, dagli scopi prefissati. E sono stati impiegati per finanziare la missione in Albania (con i risvolti militari che ne conseguono). Nello stesso anno, appena 500 euro sono andati a progetti per combattere la fame nel mondo.
La denuncia arriva dai consumatori dell'Aduc, che contro l'attuale sistema dell'otto per mille hanno lanciato una campagna che va avanti da anni. «Non solo lo Stato costringe i cittadini a finanziare le religioni altrui. Ma si rende protagonista di una vera beffa», spiega il presidente Vincenzo Donvito. «Se si va a vedere infatti il dettaglio delle spese dello Stato si scopre che, per esempio, nel 2002 un terzo dei cento milioni di euro che i cittadini hanno dato allo Stato sono serviti per ristrutturare beni culturali di proprietà, guarda caso, della Chiesa cattolica».
COME PUÒ AVVENIRE QUESTO GIOCO DI PRESTIGIO ?
Il nuovo sistema di finanziamento è regolato da una legge di attuazione della revisione concordataria, e cioè dalla legge 222 del 20.05.1985.
L'entità dell'otto per mille dell'IRPEF (cioè del reddito denunciato come tassabile d'imposta) è attualmente di circa un miliardo di euro (2000 miliardi di lire) ma per un effetto dell'inflazione (e nei periodi di boom economico anche dell'aumento del reddito imponibile) è ovvio che la percentuale attribuibile alla Chiesa cattolica continuerà a lievitare. E continua a lievitare anche grazie a martellanti spot pubblicitari che invadono le televisioni alla vigilia di ogni pagamento di tasse.
Analizzandole cifre si scopre cosi che gli introiti, dal 1990 al 2003, si sono praticamente quintuplicati. Questo versamento effettuato da tutti i contribuenti può essere suddiviso mediante una scelta espressa fra lo Stato, la Chiesa cattolica e le altre piccole cinque confessioni religiose che hanno accettato di partecipare alla spartizione (i testimoni di Geova i più pericolosi concorrenti del Vaticano, sono da dieci anni in attesa di essere inseriti, ma inutilmente).
Il meccanismo perverso che favorisce la Chiesa Cattolica è il seguente: la quota dell'otto per mille di quei contribuenti (circa 22 milioni su 36 milioni) che, intendendo sottrarsi a tale invito, non firmano nessuna preferenza, loro malgrado sono quasi totalmente aggiunti alla quota riservata alla Chiesa cattolica. Ciò in virtù di uno stratagemma ideato per aggirare l'ostacolo dei non credenti e mantenere il più alto possibile l'introito per la Chiesa Cattolica.
Il comma 3 dell'art. 21 della legge citata infatti prevede che in caso di scelta non espressa dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse. Quale che sia, cioè, la percentuale delle scelte espresse, anche la quota su cui non è stata effettuata nessuna scelta viene distribuita alla Chiesa Cattolica o allo Stato, in percentuale alle scelte in loro favore.
A questa ulteriore spartizione le altre confessioni dignitosamente non hanno accettato di partecipare. Insomma su cento cittadini 90 non si esprimono (per disinteresse) e solo 8 firmano per la Chiesa cattolica, l'80% della quota irpef stabilita andrà alla Chiesa cattolica.
MA anche le somme accumulate per nella scelta a favore dello Stato (circa il 10%) sono convogliate per lo più ad opere assistenziali, in Italia quasi interamente in mano alla Chiesa cattolica.
Questo meccanismo non rispetta in alcun modo la volontà di chi , non scegliendo o scegliendo lo Stato, ha ritenuto di sottrarsi all'obbligo di partecipare a questo tipo di referendum. Peraltro il sistema viola il diritto alla privacy, il che si aggrava ulteriormente da quando la legge consente ai lavoratori dipendenti di affidare al datore di lavoro la compilazione della denuncia dei redditi, con possibili rischi di rappresaglie sul posto di lavoro. Ma anche sul 10% che affluisce allo Stato vi sono polemiche.
Come denunciato dall'ADUC, che contro il sistema dell'8 per mille ha promosso una campagna che va avanti da anni, nel 2001 i tre quarti dei cento milioni di sua competenza sono stati distolti, con un semplice decreto legge, dagli scopi prefissati e sono andati a finanziare la missione in Albania (con i risvolti militari che ne conseguono).
Sempre nel 2001 solo 500 euro sono andati a progetti per combattere la fame nel mondo. Come spiega il presidente dell'ADUC Vincenzo Dovuto: se si va a vedere il dettaglio delle spese dello Stato si scopre che per esempio, nel 2002 un terzo dei cento milioni di euro che i cittadini hanno dato allo Stato sono serviti per ristrutturare beni di proprietà guarda caso della Chiesa cattolica.
L'OBOLO ESENTASSE 
C'è da dire che oltre l'8 per mille, affluisce nelle casse vaticane fino a mille euro (due milioni di vecchie lire) detraibile dalla denuncia dei redditi. L'art. 46 della legge di attuazione concordataria che prevede questa forma di erogazione, chiamata "obolo" è un contributo personale e facoltativo ma grava comunque sotto forma di minori introiti sulle esangui pubbliche finanze italiane.
Occorre aggiungere che mentre gli esperti finanziari avevano previsto che da queste offerte scaturisse il più rilevante finanziamento della Chiesa, cosi non è stato. Il loro gettito è stato di circa 25 milioni di euro l'anno ed è attualmente in diminuzione. Il che dimostra in maniera clamorosa che il finanziamento complessivo dello Stato Vaticano non può essere chiamato in nessun modo "autofinanziamento" come vorrebbe qualche cardinale (il cardinale Ruini in testa).
I LIQUAMI DEL VATICANO
Tra i privilegiati che possono dissetarsi senza spendere un centesimo addossandone l'onere ai comuni cittadini è da segnalare la Città del Vaticano che in base all'art. 6 del concordato ha diritto a ricevere tutta l'acqua di cui ha bisogno (circa cinque milioni di metri cubi l'anno) senza versare un centesimo all'Acea. Ma la faccenda comincia a complicarsi quando la più recente normativa italiana include nella tariffa (la bolletta dell'acqua) anche il canone per le fognature e la depurazione.
Prima del 70 gli scarichi finivano direttamente sul Tevere. Successivamente si e invece cominciato e riversare gli scarichi ed i liquami in vasche e depuratori che hanno un costo per chi li gestisce e non rientrano nelle previsioni concordatarie. Per il rispetto della santa Sede, l'Acea non aveva osato sollevare la questione, sino a che, bel 1999, quando la municipalizzata venne privatizzata ed entrò in borsa, il credito di alcuni miliardi di lire divenne difficile da nascondere facendoli pagare ai cittadini della capitale. Peraltro vi erano mugugni dei piccoli azionisti i quali reclamavano affinché il buco di bilancio fosse risanato da qualcuno, o dalla Santa Sede o dallo Stato Italiano.
Il delicato dossier passò immediatamente al vaglio del Ministero degli Esteri, trattandosi di rapporti tra Stati. La più imbarazzante vertenza che abbia mai diviso le due sponde del Tevere, da un lato la municipalizzata Acea che chiedeva 50 miliardi di vecchie lire quali arretrati di 20 anni di scarichi abusivi, dall'altra parte i prelati rappresentanti del Vaticano offesi per essere stati trattati come morosi qualsiasi e soprattutto per un fatto di liquami, è finita nel migliore dei modi.
Nella finanziaria per il 2004 è comparsa una voce relativa ai 25 milioni di euro da versare all'Acea per i liquami arretrati e 4 milioni di euro a partire dal 2005.
Naturalmente il costo dei liquami del Vaticano si è riversato sui cittadini Romani.
UNA COSA È SICURA: LE FINANZE DI DIO SONO DAVVERO INFINITE
L’ultima volta che se ne parlò fu alla fine degli anni Ottanta, quando si chiuse il caso del Banco Ambrosiano. Per uscire dal crac lo Ior, allora guidato da monsignor Paul Marcinkus, pagò 250 milioni di dollari ai liquidatori della ex banca di Roberto Calvi (meno di un quarto dei 1.159 milioni che, secondo il ministro del Tesoro dell’epoca, Beniamino Andreatta, doveva alle consociate estere dell’azienda di credito milanese).
Da quegli anni nell’Istituto per le opere religiose molte cose sono cambiate, altre sono rimaste identiche. Giovanni Paolo II lo ha riformato nel 1990, affidandone la responsabilità a «laici cattolici competenti» e riservando ai prelati una funzione di vigilanza. Dal 1989 alla guida dell’istituto siede Angelo Caloia, professore dell’università Cattolica di Milano, ex presidente del Mediocredito Lombardo e oggi a capo di due società di Banca Intesa, una delle quali costituita in Lussemburgo. Identico rispetto a 20 anni fa, invece, è il riserbo che circonda le attività della banca vaticana. Lo Ior ha una sola sede, naturalmente dentro le mura della Città Stato. Non ha altri sportelli e dispone di un unico bancomat. All’estero, Italia compresa, non ha un ufficio, una rappresentanza, un punto d'appoggio fisico. E non ha neppure accesso diretto ai circuiti finanziari internazionali. Per operare in Europa si avvale di due grandi banche, una tedesca e una italiana. Si fa il nome di Banca Intesa, della quale lo Ior possiede il 3,37% insieme con la Banca Lombarda e la Mittel (il cosiddetto Gruppo bresciano dei soci), e di Deutsche Bank; ma nessuno lo conferma con certezza. E non aderisce alle norme antiriciclaggio sulla trasparenza dei conti. Una banca strana, regolata dalla consegna del silenzio in nome del segreto di Stato.
TUTTO SOTTO IL CONTROLLO DELLA SEGRETERIA
Il riferimento è la Segreteria di Stato del cardinale Angelo Sodano. È stato lo stesso Caloia a spiegare l’essenza dello Ior in un documento inedito che Economy pubblica in esclusiva. In una dichiarazione scritta per la corte distrettuale della California e presentata attraverso Franzo Grande Stevens, da 15 anni avvocato dello Ior e membro nel consiglio di amministrazione di Ifil, la finanziaria che controlla Fiat, il presidente della banca vaticana ha rivelato che «i depositanti sono i dipendenti del Vaticano, i membri della Santa Sede, gli ordini religiosi e le persone che depositano denaro destinato, almeno in parte, a opere di beneficenza». Almeno in parte.
Caloia ha affermato che «nel mio ufficio è la norma fare riferimento al cardinale Angelo Sodano». E ha aggiunto: «Il segretario di Stato ha un notevole controllo sulla progettazione e l’esecuzione di tutte le nostre attività, compresi i budget e le operazioni».
Una lunga e illuminante dichiarazione, che termina sottolineando la peculiarità dell’Istituto: l’immunità che deriva dall’essere una banca di Stato, non sottomessa ad alcuna legislazione, né nazionale né internazionale. «Niente in questa dichiarazione» ha infatti ribadito Caloia, concludendo la sua testimonianza, «va inteso, né può essere preso come una sottomissione alla giurisdizione di questa Corte, o una rinuncia a qualsiasi diritto di immunità sovrana».
INTERESSI AL 12% ANNUO
Al suo arrivo allo Ior, 13 anni fa, Caloia trovò nei forzieri 5 mila miliardi di lire e titoli soprattutto esteri. Oggi lo Ior amministra un patrimonio stimato di 5 miliardi di euro e funziona come un fondo chiuso, come ha spiegato sempre Caloia. In pratica, ha rendimenti da hedge fund, visto che ai suoi clienti garantisce interessi medi annui superiori al 12%. Anche per depositi di lieve consistenza. Un esempio?
La Jcma, un’associazione di medici cattolici giapponesi, nel 1998 ha depositato 35mila dollari presso la banca vaticana. A 4 anni di distanza si è ritrovata sul conto quasi 55mila dollari: il 56% in più. E se i clienti guadagnano il 12% medio annuo, vuol dire che i fondi dell’Istituto rendono ancora di più. Quanto, però, non è dato saperlo.
CAYMAN SOTTO IL CONTROLLO DEL VATICANO
Quindi lo Ior investe bene. Secondo un rapporto del giugno 2002 del Dipartimento del Tesoro americano, basato su stime della Fed, solo in titoli Usa il Vaticano ha 298milioni di dollari: 195 in azioni, 102 in obbligazioni a lungo termine (49milioni in bond societari, 36milioni in emissioni delle agenzie governative e 17milioni in titoli governativi) più 1milione di euro in obbligazioni a breve del Tesoro.
E l’advisor inglese The Guthrie Group nei suoi tabulati segnala una joint venture da 273,6milioni di euro tra Ior e partner Usa. Di più è impossibile sapere. Soprattutto sulle società partecipate all’estero dall’istituto presieduto da Caloia.
Basta un esempio per capire dove i segreti vengono conservati: le Isole Cayman, il paradiso fiscale caraibico, spiritualmente guidato dal cardinale Adam Joseph Maida che, tra l’altro, siede nel collegio di vigilanza dello Ior.
Le Cayman sono state sottratte al controllo della diocesi giamaicana di Kingston per essere proclamate Missio sui iuris, alle dipendenze dirette del Vaticano.
LE BEGHE DEI CONDOMINI DELLO IOR
E in Italia? Anche Oltretevere lo Ior mantiene il senso degli affari. I diritti di voto dei 45milioni di quote di Banca Intesa (per un valore in Borsa di circa 130milioni di euro) sono stati concessi alla Mittel di Giovanni Bazoli in cambio di un dividendo maggiorato rispetto a quello di competenza. E quando la Borsa tira, gli affari si moltiplicano. Un esempio?
Nel 1998 non sfuggì a molti l’ottimo investimento (100miliardi di lire) deciso da Caloia nelle azioni della Banca popolare di Brescia: in meno di 12 mesi il capitale si quadruplicò, naturalmente molto prima del crollo del titolo Bipop. Ma il patrimonio dello Ior non è solo mobile. E dell’Istituto si parla anche in relazione alle beghe con gli inquilini di 4 condomini di Roma e Frascati che lo Ior, a cavallo fra il 2002 e il 2003, ha venduto alla società Marine Investimenti Sud, all’epoca di proprietà al 90% della Finnat Fiduciaria di Giampietro Nattino, uno dei laici della Prefettura degli affari economici della Santa Sede, e oggi in mano alla lussemburghese Longueville.
Gli inquilini, però, affermano di sentirsi chiedere il pagamento del canone di locazione ancora dallo Ior. Che nei documenti ufficiali compare anche come Ocrot: Officia pro caritatis religionisque operibus tutandis, con il codice fiscale italiano dell’istituto: 80206390587
QUELL'ASSEGNO DA 2,5 MILIONI FIRMATO DAI CAVALIERI DI COLOMBO
Per il 25esimo anniversario di pontificato, Giovanni Paolo II il 25 ottobre 2003 ha ricevuto un assegno da 2,5milioni di dollari, la rendita di un fondo d’investimento americano da 20milioni di dollari dedicato a lui, il Vicarius Christi Fund.
Il denaro è gestito dall’ordine cavalleresco cattolico più grande del mondo: The Knights of Columbus, i Cavalieri di Colombo, che conta su 1,6milioni di membri tra Stati Uniti, Canada, Messico, Porto Rico, Repubblica DominicIana, Filippine, Bahamas, Guatemala, Guam, Saipan e Isole Vergini.
Alla Congregazione per le cause dei santi stanno vagliando la canonizzazione di Michael McGivney, che ha fondato l’orine 122 anni fa nel Connecticut. Un omaggio a un’associazione che da anni vanta legami molto stretti con la Santa Sede. Il suo cavaliere supremo, Virgil Dechant, è uno dei 9 consiglieri dello Stato Città del Vaticano e anche vicepresidente dello Ior.
Mentre gli utili del Vicarius Christi Fund, nato nel 1981, sono consegnati ogni anno a Giovanni Paolo II nel corso di un’udienza riservata ai cavalieri americani. Con i 2,5milioni di dollari regalati a Karol Wojtyla il 9 ottobre 2003, il totale delle donazioni dell’ordine cavalleresco al vicario di Cristo ha superato i 35milioni di dollari. Nulla, in confronto ai 47miliardi di dollari del fondo assicurativo sulla vita gestito dai Cavalieri di Colombo, al quale Standard & Poor’s assegna da anni il rating più elevato. L’ordine investe nei corporate bond emessi da più di 740 società statunitensi e canadesi e solo nel 2002, piazzando polizze sulla vita e servizi di assistenza domiciliare ai suoi iscritti attraverso 1.400 agenti, ha incassato 4,5 miliardi di dollari (il 3,4% in più rispetto al 2001). Una parte delle entrate, 128,5 milioni di dollari, è stata girata a diocesi, ordini religiosi, seminari, scuole cattoliche e, ovviamente, al Vaticano che nel 2002, tra la rendita del fondo del Papa, gli assegni alle nunziature apostoliche di Usa e Jugoslavia, il contributo alla Santa Sede nella sua missione di osservatore permanente all’Onu e quello per il restauro della basilica di san Pietro, ha ricevuto dai Cavalieri di Colombo 1,98milioni di dollari.


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