Magazine Cinema

Venezia 68: The Ides of March

Creato il 02 settembre 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Venezia .68. “The Ides of March”: più che politico e politologico

 

Ritorna senza farsi smentire, senza deludere il suo fare dignitoso, professionista del mezzo, entrando di nuovo negli ambienti della comunicazione di massa: li osserva con una cognizione di causa da esperto oratore, usando una dialettica da intellettuale dell’agorà, e non soltanto per quanto riguarda la parola. La sua lama affilata taglia sottilmente anche questo tema solido, scottante, di cui si può parlare, o forse no.

Luci, atmosfere, gestione delle tensioni: nel film di  George Clooney (di questo regista semi esordiente, perché per ora è soltanto a quota quattro pellicole, seppur almeno tre di ragguardevole nota) – 98 intensi minuti di intrigo politico, sociologico, attuale – tutto si amalgama e impregna il cervello.

Abile in regia, George Clooney non riesce comunque a staccarsi del tutto dalla scena, ed impersona il governatore Mike Morris, candidato alle primarie per il Partito Democratico: fuori dalle righe per utopia dei contenuti, sulla scia dello “Yes We Can,” Morris parla di superamento della dipendenza dal petrolio, di istruzione diffusa ed obbligatoria per tutti, di rifiuto della pena di morte.

Il suo, tuttavia, non è il ruolo di punta della squadra perché il vero protagonista della vicenda è il “giovane” Ryan Gosling (qui nei panni di Stephen Meyers); un volto moderatamente noto sebbene abbia già calcato i palcoscenici del Sundance e le nomination dei Golden Globe, a cui Clooney qui concede di occupare invadentemente la passerella di Mister Fascino. Artico ed ammaliante allo stesso tempo, Stephen Meyers è il talentuoso responsabile addetto stampa di Morris, che si trova invischiato in una faccenda di inganni dettati dai meccanismi appiccicosi della politica.

Meyers scopre infatti sia i fantasmi del passato del suo candidato che il sapore più acre della sua professione: “cinismo e indifferenza”, questa la lezione che i suoi superiori gli trasmettono. Anche la perfetta umanità di questo ragazzo energico e  impegnato, “di sani principi” dopotutto, viene annullata da una contagiosa aura perfida e arrivista, che ha la meglio. C’è uno scollamento dal principio etico, dal lato buono, dalla pietà; un qualcosa che raggela e lo esula dalla sofferenza in funzione della vittoria.

Tuttavia, non ci sono vinti o vincitori in questa corsa alla Casa Bianca: è una evoluzione a perdere, dove si dà ragione alla riflessione del candidato che invita la società ad essere migliore del singolo individuo. Perché sul singolo, dimostra Clooney, davvero non si può contare: la lealtà, la dignità, l’integrità pare esistano, effimere, solo nella facciata pubblica, mentre l’animo, immondo, rimane nascosto.

Esistono due modi di gustare questo film: il primo è quello che ci trascina nello stomaco di Meyers. Una visione che ci trasmette sia l’erotismo dell’incontro clandestino al bar, egregiamente pittato in un découpage di primi piani delicatamente dialogati; sia l’ansia del fallimento incombente o la necessità di vendicare l’offesa che gonfia fino a scoppiare. Oppure, potrebbe essere sufficiente osservarne la sola lucida analisi dei meccanismi mediatici, proseguendo quel discorso ch’egli già aveva cominciato con Confessioni di una mente pericolosa (2003) e Good night, and good luck (2005); e in questa analisi farsi trascinare da una grande capacità registica che adopera luci adatte, ritmi ponderati, musiche non invasive. Un apporto unico è infatti quello che Phedon Papamichael concede nell’uso dei tagli luminosi, che raccontano un ricatto ricorrente, tra questo e quel personaggio, fino al duello a spunti western, racchiuso nell’anonima cucina di un locale, che staglia i profili dei due contendenti ripresi anche nella locandina.

Il vincitore, di facciata e nella storia, non può che essere Gosling, per fascino e acume attoriale che mi auguro di cuore di poter apprezzare nuovamente. Tuttavia, Clooney vince su tutto il resto come il meccanismo della politica straccia il suo eroe buono. E non mi sento di esagerare a voler paragonare la sua rapida e trasbordante carriera ad una riscoperta di un Welles moderno e consapevole che sarà difficile azzittire su alcuni temi.

Un certo pubblico conta su questo.

Rita Andreetti

 

Venezia .68. “The Ides of March”: più che politico e politologico
Scritto da il set 2 2011. Registrato sotto IN SALA, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :