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Venezia 70: “Jigoku de naze warui” (“Why Don’t You Play in Hell?”) di Sion Sono (Orizzonti)

Creato il 29 agosto 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Venezia 70: “Jigoku de naze warui” (“Why Don’t You Play in Hell?”) di Sion Sono (Orizzonti)

 

Anno: 2013

Distribuzione:

Durata: 119′

Genere: Azione

Nazionalità: Giappone

Regia: Shion Sono

 

Accostato spesso a  Takashi Miike il regista e poeta Sion Sono torna al Lido dopo aver partecipato nel 2010 con Cold Fish e nel 2011 con Himizu (Segreto). Presenta un’opera divertente e ben congegnata, una prova, riuscita, di metacinema.

Basato su un’idea avuta quando aveva quindici anni, il film narra della rivalità di  due boss della Yakuza: Muto (Jun Kunimura) e Ikegami (Shinichi Tsutsumi), in perenne lotta per il potere territoriale. Muto ha una figlia, Mitsuko (Fumi Nikaido) divenuta celebre da bambina per un fortunato spot pubblicitario, che sogna di fare l’attrice. Per esaudire questo desidero il padre sarà costretto a produrre un film diretto da Hirata (Hiroki Hasegawa), fidanzato della figlia che si servirà della consulenza di un giovane cinefilo di nome Koji (Gen Hoshinoe). Per rendere il tutto più realistico si decide di filmare il regolamento di conti fra i due boss. Partono così una serie irresistibile di gag demenziali condite da litri di sangue.

Uno Splatter all’ennesima potenza, volutamente grottesco ed eccessivo, con arti e teste che saltano per aria sotto i colpi della tradizionale Katana con una frequenza impressionante. Le scene di combattimento sono filmate in modo spettacolare e con un taglio adrenalinico. Il  ritmo però non è il solo punto di forza del film, infatti è tutta la sceneggiatura a reggere nonostante la storia stratificata e i numerosi personaggi.

Nel riprendere il set dentro al set in una sorta di “mise en abyme” filmico, Sono dimostra tutto il suo amore per il cinema è non è difficile scorgere in Koji ragazzino che si rivolge al Dio del cinema un vero e proprio alter ego del regista giapponese. Si denota anche una certa nostalgia per un cinema che fu, per un opera come “Requiem per la pellicola da 35mm”.

Vittorio Zenardi


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