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Vi racconto la mia generazione

Creato il 24 gennaio 2014 da Cultura Salentina

Vi racconto la mia generazione

24 gennaio 2014 di Redazione

di Luca Portaluri

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Sono nato nel 1975. Faccio parte di una generazione particolare (come tutte, sai la novità), ma io posso raccontare la mia e le persone delle altre generazioni potranno notare le differenze, così come le noto io, e senza neanche troppe frustrazioni . Faccio parte di quelli che vedono la casa acquistata negli anni ’70 dai genitori valere oggi dieci, venti, trenta volte tanto, mentre noi pagheremo la nostra fino ai 70 anni, senza apostrofo davanti al numero. Niente seconda guerra mondiale, nessuno sbarco sulla luna, gli anni di piombo solo nei film di nicchia di certo cinema italiano. Litighi con il partner, vuoi separarti? Sì, grazie. Grazie a chi ha votato il referendum sul divorzio. Non a noi, non a me, nati dopo. Possiamo essere “nipoti dei fiori” (questa è sottile…) e il famigerato ‘68 lo notiamo nei documentari e a certi carnevali.

Strega comanda color, Campana, Regina reginella, Palla avvelenata, Indovina chi, Forza4…ci siamo sentiti dire che avevamo tutto, ora ai bambini che davvero hanno tutto, e qualcosa in più, nessuno glielo dice. I primi videogiochi sono stati consumati da noi, e quando ci stancavamo potevamo vedere i primi cartoni animati a colori. Alcuni di noi hanno indossato i pantaloni a zampa d’elefante, a sigaretta, con la cucitura storta;chi se la scorda poi la prima tuta, ce l’avevano tutti, blu con le bande bianche sulle maniche. A scuola andavamo anche il primo novembre, che era il giorno dei Santi e non Halloween, lo scherzetto era non andarci a scuola, il dolcetto te lo dava la nonna. Mi sembra quasi che la gente ci ricordi sempre fatti accaduti prima che nascessimo, come se non avessimo vissuto nessun avvenimento storico. Abbiamo imparato che cos’è il terrorismo, abbiamo visto cadere il muro di Berlino e Clinton avere relazioni improprie con la segretaria nella Stanza Ovale; siamo state le più giovani vittime di Cernobyl. Quelli della nostra generazione l’hanno fatta la guerra (Kosovo, Afghanistan, Iraq, ecc.), abbiamo gridato NO NATO, fuori le basi dall’Italia, senza sapere molto bene cosa significasse, per poi capirlo di colpo un 11 di settembre.

Ruba bandiera, Dire fare baciare, lettera testamento, Pacman, Crystalball … siamo la generazione di Bim Bum Bam e del Drive-in. Quella che andò al cinema a vedere i film di Bud Spencer e Terence Hill. Quelli cresciuti ascoltando gli Europe e Nik Kamen, e siamo stati gli ultimi a usare dei gettoni del telefono. Bevevamo il Billy e mangiavamo le Big Bubble, ma neanche le Hubba Bubba erano male; al supermercato le cassiere ci davano le caramelline di zucchero come resto. È commovente temere di essere stata l’ultima generazione a vedere il proprio padre riempire fino all’inverosimile il portapacchi della macchina (quando non era la fiat500 vecchio modello…) per una vacanza di due settimane. Oggi o non si ha un padre che abbia in sorte due settimane di ferie, o non si trova un padre che abbia lavorato 15 giorni, sempre pochi per permettersi un viaggio con la famiglia.

Puffi, Volutrons, Magnum P.I., Holly e Benji, Mimì Ayuara, l’Incredibile, Hulk, Poochie, Yattaman Iridella, He-Man, Lamù, Creamy, Kiss Me Licia, Barbapapà, Micro-Machine, Big Jim … guardandoci indietro è difficile credere che siamo ancora vivi: viaggiavamo in macchina senza cinture, senza seggiolini speciali e senza air-bag; facevamo viaggi di 10-12 ore e non soffrivamo di sindrome da classe turista. Non avevamo porte con protezioni, armadi o flaconi di medicinali con chiusure a prova di bambino. Viaggiavamo in bicicletta senza casco né protezioni per le ginocchia o i gomiti. Le altalene erano di ferro con gli spigoli vivi. Andavamo a scuola carichi di libri e quaderni tutti infilati in una cartella che raramente aveva gli spallacci imbottiti, e tanto meno le rotelle! Ci attaccavamo alla stessa bottiglia per bere e nessuno si è mai infettato. Giocavamo nella strada e le porte erano appunto le cartelle scolastiche. Una bestemmia aveva la forza dirompente di una bestemmia e non come oggi di un deterrente intercalare, produceva una vera reazione sbigottita, anche quando ad averla era gente laica o agnostica. Una parolaccia dei nostri padri, ma soprattutto quelle rare delle nostre spossate madri, o quelle ancor più rare di noi masochisti figli aveva il suono deflagrante di una detonazione in una stanza piena di specchi. Poteva realmente zittire una famiglia intera. La si ricordava, e ci si innamorava della sua assenza.

La casa nella prateria, Goldrake, Mazinga, Jeeg robot d’acciao, Happy days sentirsi ricchi giocando a Monopoli solo perché si sostava a “parco della vittoria” o a “via dei giardini”? Sì, l’ho provato. E godevo nello scambiare le mie 500 lire, regalate dal non no di turno, la domenica, con dieci pacchetti di figurine Panini con quell’omone troppo alto per me e dietro tutti quei giornali e fogli incomprensibili. I telefoni con la tastiera a disco, le care vecchie cabine telefoniche e parlare e richiamare, e sudare freddo nell’attesa della risposta dell’amichetta e non di suo papà dopo tanti squilli. Lei, e lei sola, aveva il touch screen sulle corde del cuore. Mi dicono che sono romanticamente anacronistico, mi tacciano di esasperato nostalgismo, un rimpianto ideologizzato di un passato più povero e più semplice. Io rispondo che è solo una riserva di sogni, che non fa male a nessuno. Riserva, indianamente in via d’estinzione.

Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani (allenatore Bearzot).


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