Magazine Psicologia

Vi Svelo Cosa Si Rischia a Fare il Primo Passo Verso la Libertà

Da Sunday @EliSundayAnne

FREEDOM_by_Kurosama_76

 

Sono passati quattro mesi da quando dissi ai miei genitori che avevo deciso di ripartire. In realtà non dissi loro che avevo chiesto l’anno sabbatico: l’avevo chiesto a loro insaputa. La decisione doveva essere presa entro il 31 luglio, e io non avevo avuto tempo di prepararli psicologicamente alla splendida notizia. Così, quella mattina partii con la macchina verso la scuola in cui insegnavo, con il foglio di richiesta di un anno sabbatico sul sedile, e senza suonare musica all’autoradio: non ero così sicura di fare la cosa giusta, e così mi ero data ancora quella mezz’ora di silenzio per prendere la decisione definitiva.

Ai miei dissi che sarei andata a scuola per parlare con la segreteria di affari di scuola. Invece stavo andando incontro al mio destino, che era già deciso: se gli diamo la spinta giusta, poi tutto va come doveva andare. Ma solo se seguiamo il nostro istinto, che non sbaglia mai.

Parcheggiai la macchina e mi diressi verso il cancello della scuola. Ormai mancavo da un anno, e guardando il suo cortile e le finestre delle aule con i fiori di carta attaccati ai vetri, mi resi conto che non c’entravo più nulla con quell’ambiente. Anzi, capii che quel posto di ruolo non aveva mai fatto per me. Perchè vivere in una gabbia, anche se trasparente e dorata? Il posto fisso è così: una liberazione per chi lo brama, ma una gabbia per lo spirito libero.

Varcai la soglia della scuola, salutai i bidelli (“Maestra! Come sei luminosa! Come si vede quando una persona nella vita fa ciò che vuole!”) e salii le scale. Il personale della segreteria mi stava aspettando. Entrai e mi chiusi la porta alle spalle: lì capii che, una volta uscita, non sarei più stata la stessa.

Uscii da quel cancello tutta sudata, con una decina di rughe in meno e una voglia pazza di saltare e gridare: è fatta! Ero libera. Ancora per un anno, lo so, ma ero libera. Niente più sveglia alle sette col muso lungo e la gastrite. Via. Si riparte.

Due settimane prima della partenza, i miei genitori erano ancora lì beati, illusi che la loro figliola di lì a un mese avrebbe ripreso a fare la brava maestra di inglese. Dovevo dirglielo. Possibile che una che aveva visitato l’Iran da sola, affrontato la peggior Cina e la migliore solitudine, ora temesse come la peste il giudizio dei suoi genitori? Sì, è possibile: il retaggio familiare è peggio della tela di un ragno, staccarsene è difficile, tagliare il cordone ombelicale è un’operazione dolorosa che però va fatta.

Il pugile Muhammad Ali, alias Cassius Clay, aveva detto bene: “Non smettere. Soffri ora e vivi il resto della tua vita come un campione“. Non volevo essere una campionessa se non della mia felicità, per cui accettavo questa sofferenza sperando portasse, un giorno, a qualcosa. Ogni volta che stavo per dire ai miei genitori la verità, li vedevo lì a tavola, sorridenti e felici, e i sensi di colpa si impadronivano di me e ciao rivelazione. Ma le madri, si sa, sono dotate di un sesto senso pressochè infallibile, almeno la mia. Quindi una mattina, mentre stava caricando la lavatrice, si voltò di scatto e mi disse: “Tu stai per ripartire per l’Oman, vero?”. Ecco: almeno l’aveva detto lei. “Quando?”. “Tra dieci giorni”. “Allora vedi di dirlo a tuo padre”.

E fu così che la settimana seguente eravamo tutti felici in vacanza una settimana in Liguria, con mio padre da una parte che sprizzava felicità da tutti i pori (sprizza sempre felicità da tutti i pori, quando è al mare) e io dall’altra con la lingua legata che non riuscivo a dargli l’ennesima delusione. Perchè sicuramente lui era beato perchè mi immaginava di nuovo ingabbiata nella vita che lui voleva per me: il posto di ruolo; l’appartamento a dieci minuti a piedi da casa loro; un fidanzato rispettabile che loro adoravano. Mancavano un giorno alla mia partenza per Torino in treno, e  sei alla mia dipartita per l’Oman. Avevamo finito di pranzare e stavo sparecchiando la tavola, quando mia madre si volta verso mio padre e gli dice non nonchalance, in piemontese “Tu lo sai che tua figlia riparte di nuovo per l’Oman, vero?”. E lui stavolta, senza perdere la sua aria di beatitudine, ha risposto: “Sì, lo immaginavo. L’importante è che adesso trovi un lavoro che ne valga la pena”.

Ecco cosa succede quando uno si fa coraggio e comincia a inseguire i propri sogni:

Seguirà un periodo (lungo) in cui tutti intorno a voi saranno sconvolti dalla vostra decisione di cominciare una nuova vita, in cui magari vi toglieranno la parola per mesi, in cui vi copriranno di brutte parole, per la rabbia di non ascoltare i loro saggi consigli di non lasciare il sicuro per l’insicuro; ecco, durante questo periodo voi terrete duro e non mollerete, perchè una volta fatto il primo passo, diventerete più sicuri di voi stessi; durante il percorso non sarete mai tornati sui vostri passi perchè magari non avrete ancora trovato uno straccio di lavoro decente, e soffrirete la solitudine e avrete ancora paura di non farcela, ma sarete comunque felici di essere liberi, e non avrete più disturbi psicosomatici nè la depressione cronica che vi assale di giorno e di notte. E un giorno, come per incanto, i vostri familiari capiranno la vostra scelta. La accetteranno (facendovelo pesare, è ovvio), perchè vedranno che non sarete più corruttibili; che non potranno più farvi cambiare idea; perchè i vostri occhi saranno così luminosi che anche loro, pian piano, ne verranno contagiati.

Non perdete più tempo dietro a ciò che gli altri pensano di voi: impiegate le vostre energie per non deludere le vostre, di aspettative. Fate quel primo passo verso la libertà che tanto vi spaventa: sarete voi a convincere gli altri con la vostra convinzione. La libertà ha un prezzo: pagatelo, e smettetela di dare la colpa a quelli che vi frenano. Ragionare senza condizionamenti è una cosa che si impara col tempo, ma solo dopo aver aperto la porta della vostra gabbia d’oro. La chiave l’avete voi: usatela.

 It takes courage to be different. But the rewards can be great.

Ci vuole coraggio per essere diversi. Ma la ricompensa può essere grande.

(Mark Hermann, music producer)

 

photo by: kurosama-76


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