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Viaggio dentro la diga della morte

Creato il 10 ottobre 2013 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

showposterTgLa7 Cronache, penetra nella pancia del monte Toc, nei cumuli della diga che allora, era la più grande del mondo e ora è un deserto abbandonato alla memoria di chi ancora chiede giustizia, per una tragedia che si poteva evitare. È il giorno del ricordo della tragedia del Vajont.

Era il 9 ottobre del 1963. Morirono 1910 persone. Mezzo secolo dal disastro del Vajont. È l’anniversario della tragedia più evitabile e drammatica che la storia d’Italia annovera

La telecamera del mensile Focus, in un incredibile reportage multimediale, percorre i cunicoli dove, fino al 9 ottobre veniva raccolta l’acqua del bacino artificiale della Sade, società  allora, appena nazionalizzata dall’Enel. Immagini inedite dei tunnel interni della diga, visitati e ripresi grazie a un drone-cam. Li dove non si può andare a piedi neanche oggi, c’è per noi, un drone r

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adiocomandato. Un occhio elettronico che ci rimanda le immagini del pozzo dell’ascensore che arrivava alla sala di controllo. La cabina fu risucchiata dal vortice dell’aria generata dall’onda immane. Poi l’ingresso della galleria, creata proprio per collegare le due porzioni del lago in caso fosse stato diviso da una frana.

E ancora i vecchi binari, usati durante la costruzione di questa grande opera  che diede vanto all’Italia. Immagini storiche, in bianco e nero di quel cantiere, riprese dalla Sade per un documentario. Operai al lavoro. Tanti. Quattrocento, accorsi da tutta Italia. E l’interno della diga a doppio arco, alta 276 metri. La più alta del mondo. In quel periodo era un’opera di raffinata tecnologia che aveva avuto un solo grande difetto, quello di trovarsi nel posto sbagliato, sul monte Toc, dove il giovane geologo Edoardo Semenza, figlio del progettista Carlo, aveva individuato un’antica frana, mai stabilizzata, che rischiava di crollare.

Un allarme rimasto inascolta

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to.

Una diga incastonata in una montagna di argilla che a contatto con l’acqua, si scioglie e il 9 ottobre 1963, viene giù.

Il progetto prevede la costruzione di una diga alta 200 metri e di un serbatoio con una portata di 58 milioni di metri cubi d’acqua. Successivamente le misure vengono cambiate, aggiungendo altri 61 metri all’altezza dello sbarramento e arrivando a 150 milioni di metri cubi di portata (cioè due volte e mezzo la somma della capienza di tutti i serbatoi idrici delle Dolomiti).

Meno di un mese prima della tragedia, la frana. Un pezzo di montagna scivola di 22 centimetri. I funzionari della Sade si spaventano e iniziano a svuotare il bacino idrico per far scendere il livello del lago sotto i 700 metri, accelerando così il crollo della montagna.

Continuano gli smottamenti. Si aprono crepe. Gli alberi si inclinano. Gli abitanti della valle sono spaventati. La Sade-Enel continua a sottovalutare il pericolo.

Alle 22.39 accade la tragedia. In quel momento da questa diga una quarantina di operai, con grandi riflettori sorveglia la montagna, che sta lentamente venendo giù. Un movimento inarrestabile. Intorno alle 22.00 c’è l’ultimo contatto tra gli uomini del cantiere e l’ingeniere Alebrico  Biadene del servizio dig

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he. Il geometra di turno lo tranquillizza, tutti gli uomini stanno al loro posto.

Mezz’ora dopo la montagna crolla verticalmente sulla diga costruita in prossimità dei centri abitati di Longarone, Erto e Casso. E quegli operai saranno i primi a morire.

La furia della montagna si abbatte sull’invaso al punto da innalzare una parete di fango e detriti alta 200 metri. In pochi, terribili istanti, le comunità del Vajont vengono letteralmente spazzate via da un fiume incontenibile che alla fine, lascerà dietro di sé solo devastazione e morti.

A tutti era ben noto il rischio che riguardava la costruzione dell’invaso e il suo riempimento.

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Ad assecondare la ragion di Stato, sia una scienza faziosa che una politica sorda alle lamentele dei cittadini che, come storia ci conferma, sempre, sono i soli a pagare le conseguenze di un quadro di silenzio, interessi, inadempienze, e prove nascoste.


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