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Vincent Van Gogh: la forza del colore

Creato il 12 marzo 2013 da Artesplorando @artesplorando

Oggi un altro artista meraviglioso, che personalmente inserisco nell'olimpo dei miei artisti più amati.

Quando si parla di Vincent, si parla di un pittore autodidatta rivoluzionario: iniziò a dipingere a 30 anni, ed in soli sette anni di attività frenetica, produsse dei capolavori per gli occhi ma sopratutto per l'anima.

La sua tecnica ruvida e semplice, il vortice delle sue pennellate, lo spessore e la potenza del colore: la pittura di van Gogh è una pittura dei sentimenti, dell'anima, prodotto di una mente tormentata, alla costante ricerca della verità delle cose, che andò oltre la pittura accademica, spianando la strada a quello che poi sarà chiamato espressionismo. Una febbre dei sentimenti che lo porterà a produrre anche un quadro al giorno, un ritmo difficilmente sostenibile per qualsiasi persona, che porta allo svuotamento spirituale.

Vincent soffriva di quel disturbo che all'epoca era definito "melanconia", spesso rappresentata in pittura, e che oggi chiameremo depressione e badate bene che no parlo di pazzia, perchè non credo affatto che lo fosse. La sua patologia lo porterà a fasi alterne di euforia e grande produttività, ad altre di caduta e precipizio verso l'oscurità. E sarà proprio una di queste fasi di depressione acuta he lo porterà a spararsi un colpo al cuore.

Ma non affrettiamo i tempi, e cerchiamo, come al solito, di procedere con ordine e sintesi.

Vincent van Gogh nasce a Groot Zundert, nel Brabante olandese, il 30 marzo 1853, figlio di Theodorus van Gogh, pastore protestante, e Anna Carbentus. Tra il 1864 e il 1868 studia in un collegio a Zevenbergen e poi all'Istituto Hannik a Tilburg. Nel marzo 1868, forse a causa di difficoltà economiche familiari, lascia gli studi. L'anno seguente parte per l'Aja dove è assunto come commesso nella succursale della casa d'arte francese Goupil & Cie.
Nel 1872 inizia una regolare corrispondenza con il fratello Theo, fonte essenziale di notizie sulle opere e le idee dell'artista. Nel 1873 viene trasferito prima a Bruxelles e poi a Londra, dove ha una forte crisi depressiva in seguito a una delusione sentimentale; dal maggio 1875 all'aprile 1876 lavora a Parigi. Dopo aver lasciato la casa d'aste, riparte per l'Inghilterra, per tornare presso la famiglia, a Etten, alla fine dell'anno. Dopo aver lavorato per un breve periodo a Dordrecht come commesso libraio, nel maggio 1877 si trasferisce ad Amsterdam dove studia per essere ammesso alla facoltà di Teologia, senza successo. Nel 1878 soggiorna per tre mesi vicino Bruxelles presso una scuola di evangelizzazione, ma al termine dei corsi non viene giudicato idoneo; gli viene solo affidato un incarico temporaneo di evangelista laico che svolge in un paesino della regione mineraria presso Mons. L'incarico non viene però rinnovato e, sconvolto da questo provvedimento, si trasferisce a Cuesmes, dove fa il predicatore. I suoi soggiorni presso le comunità di minatori sono documentati da una corposa serie di disegni.
Nell'ottobre 1880, deciso a diventare pittore, si trasferisce a Bruxelles, dove studia anatomia e disegno prospettico; stringe amicizia con il pittore Anthon van Rappard. Trascorre la primavera del 1881 dai genitori a Etten, e ha un'infelice storia d'amore con Kee Vos, una giovane cugina vedova, che lo respinge. Alla fine dell'anno parte per l'Aja e tramite il pittore Anton Mauve conosce diversi pittori della Scuola dell'Aja. Esegue i primi dipinti all'olio con nature morte e acquerelli con figure dal vero; in quel periodo vive con Clasina Maria (Sien) Hoornik, una prostituta alcolizzata che Vincent vorrebbe redimere. Lascia Sien nel settembre 1883 e parte per la Drenthe, dove dipinge paesaggi e contadini. Alla fine dell'anno raggiunge la famiglia a Nuenen, dove resterà per quasi due anni, lavorando con grande entusiasmo. Tra il novembre 1885 e il febbraio 1886 vive ad Anversa, dove frequenta l'Accademia di Belle Arti; studia Rubens e colleziona stampe giapponesi. All'inizio di marzo va a Parigi dal fratello Theo: vi rimarrà fino al febbraio 1888, frequentando l'atelier del pittore Cormon, dove incontra Toulouse-Lautrec ed Emile Bernard, e gli amici impressionisti del fratello Theo, Signac, Pissarro e Gauguin. Espone alcune opere al caffè Le Tambourin, gestito da Agostina Segatori, ex modella di Degas, con cui ha una breve relazione, e organizza anche una mostra in cui espone con i suoi amici, i cosiddetti Impressionistes du Petit Boulevard: Bernard, Anquentin, Toulouse-Lautrec e Gauguin. Nel febbraio 1888 lascia Parigi per Arles, dove alla fine dell'anno lo raggiunge Gauguin: la convivenza durerà poco tempo e sfocerà in una furibonda lite, il 23 dicembre 1888, in seguito alla quale Van Gogh si taglia il lobo dell'orecchio sinistro. Dopo un breve internamento in ospedale, nel maggio 1889 il pittore decide di lasciare Arles per Saint-Rémy, dove si fa ricoverare nel locale istituto per alienati. Anche in ospedale continua a lavorare alacremente, e le sue opere cominciano a ricevere i primi apprezzamenti: espone al Salon des Indépendants di Parigi e a Les XX di Bruxelles. Nel maggio 1890 parte per Parigi, dove rimane solo tre giorni, e raggiunge quindi Auvers-sur-Oise, dove il dottor Gachet lo prende in cura. Il 27 luglio 1890 Vincent si spara, e morirà due giorni dopo senza aver perso mai conoscenza. Il fratello Theo, dopo essere stato ricoverato in diverse cliniche per alienati, morirà in una casa di cura di Utrecht il 25 gennaio 1891.

Ciò che mi è permesso dire, è che l'arte di Van Gogh è illuminante, e la sua figura, magra piccola e solitaria nella carne, si staglia in realtà gigantesca e poderosa nella storia dell'arte e dei sentimenti umani.
Questo dissero di lui:

E' un iperesteta, nettamente sintomatizzato, che percepisce con una intensità anormale, e forse anche dolorosa, i caratteri segreti e impercettibili delle linee e delle forme, ma ancor più i colori, le luci, le sfumature invisibili all'occhio normale, le magiche iridescenze delle ombre. Ecco perché il realismo di lui, che è un nevrotico, e la sua sincerità e verità sono così diversi dal realismo, dalla sincerità e dalla verità di quei grandi piccoli borghesi d'Olanda, così sani nel corpo e così ben equilibrati d'anima, che furono i suoi avi e i suoi maestri. [...] Questo artista robusto e schietto, veramente di razza, con le sue rozze mani di gigante, i suoi isterismi da donnetta, l'anima d'illuminato, tanto originale e solo in mezzo a questa nostra ridicola arte odierna, potrà conoscere un giorno - tutto è possibile - la gioia della riabilitazione, le carezze pentite della moda? Forse.

A. Aurier, Les Isolés, Vincent van Gogh, in "Le Mercure de France", gennaio 1890


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