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Vite sfogliate in camera oscura. Buena Vista Social Club

Creato il 07 giugno 2012 da Patriziabi (aspassotrailibri) @openars_libri

Buena Vista Social Club (di Sabrina M.)

Sarà la mia tendenza ad attribuire una personalità specifica anche alle cose apparentemente inanimate, ma trovo che ci siano luoghi che possiedono, così come per ogni essere vivente, una loro biografia, unica ed irripetibile. Una data di nascita, preceduta da idee in gestazione, un percorso personale e distinguibile, infine una dipartita biologica che ne trasforma ed evolve la materia, assicurandone la continuità. Si tratta spesso di piccole realtà, sconosciute o quasi, ma che accolgono mille storie da raccontare. Sono luoghi costruiti in uno spazio-tempo preciso, sono mura capaci di raccontarsi attraverso la grafia della memoria e somigliano ad una scatola ricolma di vecchie fotografie, che solo a sollevarne il coperchio pare si diffondano nell’aria suoni e voci, in una narrazione che non cessa con la fine di un’epoca, perché ne é percorso e viva testimonianza.
Vite sfogliate in camera oscura. Buena Vista Social ClubAndiamo per cinque minuti a Cuba, -isola la cui storia ne fa un ecosistema assolutamente particolare-, nei dintorni della metà del secolo scorso, tra strade polverose, sigari, rum e Cadillac americane. Il “Buena Vista Social Club” era un locale dell’Avana, attivo in realtà già dal 1932 e riservato alle persone di colore, che nel periodo della dittatura di Fulgenzio Batista, non potevano frequentare liberamente i luoghi consentiti ai bianchi. All’epoca, le diverse etnie che abitavano l’isola, si riunivano in associazioni, circoli e società, con lo scopo di aiutarsi, incontrarsi e socializzare; ce n’erano molte e anche il “Buena Vista” nacque con il medesimo scopo, occupandosi anche dell’organizzazione di una sala da ballo. Qui suonavano orchestre di varia formazione ma soprattutto gruppi di musica tradizionale cubana, ovvero quei ritmi (per esempio la salsa) che ‘tradizionalmente’ rappresentano l’anima di un popolo e che diventano colonna sonora della sua storia; un’eredità culturale viva e vegeta, lavorata dall’anima del tempo, la voce di un modo di vivere e di sentire. Sonorità che partono da lontano, si incrociano nel cammino degli eventi e affondano le radici nelle antiche tradizioni musicali dell’isola (la musica dei colonizzatori spagnoli, i ritmi sofferti degli schiavi, importati dall’Africa per lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero). Un genere musicale inconfondibile, ritmato e coinvolgente, ricco di suggestioni e atmosfera, adatto al ballo, alla distensione e a quel bisogno di spendere emozioni ed energia nella voglia di vivere che fa dimenticare le catene del quotidiano. Percussioni, pianoforte, tromba, contrabbasso, voci coinvolgenti, suoni trascinanti.
Vite sfogliate in camera oscura. Buena Vista Social ClubIl “Buena Vista Social Club” divenne famoso per l’altissima qualità della sua musica, per la passione viscerale che l’alimentava, per il talento indiscusso dei suoi musicisti, il tempio della musica popolare cubana con le sue stelle e i suoi eroi. Si racconta che le persone che non potevano accedere al locale (bianchi o altre etnie) si ammassassero all’esterno, ballando per strada.
Nel 1962, dopo le svolte politiche e sociali legate alla rivoluzione di Fidel Castro, il club fu definitivamente chiuso, così come furono chiusi tutti i locali riservati ai singoli gruppi etnici in quanto ritenuti luoghi di decadenza, frutto di un passato da dimenticare.
Scavalcando il contesto storico di un territorio davvero complicato, il miracolo consiste nel fatto che, quasi quarant’anni dopo la sua chiusura, un gruppo di musicisti del famoso club, furono “riscoperti” da Ry Cooder (famoso musicista e autore di diverse colonne sonore) e, a dispetto dell’età, alcuni di loro si riunirono per incidere un disco che porta il nome del locale e ripropone i suoi pezzi storici. La sorpresa fu che incontrò un grandissimo successo tra gli appassionati di tutto il mondo, ottenendo per i musicisti ormai attempati, un trionfo insperato con decenni e decenni di ritardo.
Nel 1999, Wim Wenders filmò un documentario raccontando la storia del club e dei suoi fantastici protagonisti, portando così all’attenzione del grande pubblico i nomi di Compay Segundo, Ibrahim Ferrer, Rubén Gonzales e molti altri, il cui straordinario talento era rimasto sepolto tra le pieghe del tempo. Del resto non è mai troppo tardi per conoscere una storia, anche perché ci sono racconti che non ne vogliono sapere di finire.

“Non posso cantare se non bevo prima un po’ del mio rum, devo scaldare la voce” Compay Segundo (1907-2003)

“Sto vivendo adesso il sogno della mia giovinezza nel corpo di un vecchio” Ibrahim Ferrer (1927-2005)

Consiglio letterario:
Sogno all’Avana, (curatore) Vincent Messina
(ed. Einaudi, 2000, pp. 79, ISBN 9788806156176)


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