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Vittoria Colonna (aprile 1490 – 25 febbraio 1547)

Creato il 25 febbraio 2012 da Marvigar4

Vittoria Colonna

SONETTO PRIMO

Scrivo sol per sfogar l’interna doglia,
   Ch’al cor mandar le luci al mondo sole;
   E non per giunger luce al mio bel Sole,
   Al chiaro spirto, all’ onorata spoglia.
Giusta cagione a lamentar m’invoglia,
   Ch’io scemi la sua gloria assai mi dole;
   Per altra lingua, e più saggie parole,
   Convien ch’a Morte il gran nome si toglia.
La pura fè, l’ardor, l’intensa pena
   Mi scusi appo ciascun, che ’l grave pianto
   E’ tal, che tempo, nè ragion l’affrena.
Amaro lagrimar, non dolce canto,
   Foschi sospiri, e non voce serena,
   Di stil no, ma di duol mi danno il vanto.

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CANZONE II

Mentre la nave mia lunge dal Porto
   Priva del suo Nocchier, che vive in Cielo,
   Fugge l’ onde turbate in questo scoglio,
   Per dare al lungo mal breve conforto,
   Vorrei narrar con puro acceso zelo
   Parte della cagione, ond’ io mi doglio;
   E ’l peso di color, che dall’ orgoglio
   Di Fortuna il valore in alto vola,
   Uguagliando al mortal mio grave affanno,
   Veder, se maggior danno
   Diletto, e libertade ad altra invola,
   O s’ io son nel tormento al mondo sola.
Penelope, e Laodomia un casto ardente
   Pensier mi rappresenta, e veggio l’ una
   Aspettar molto in dolorose tempre,
   E l’ altra aver con le speranze spente
   Il desir vivo, e d’ ogni ben digiuna
   Convenirle di mal nodrirsi sempre,
   Ma par la speme a quella il duol contempre,
   Questa il fin lieto fa beata; ond’ io
   Non veggio il danno lor mostrarsi eterno:
   E ’l mio tormento interno
   Non raffrena sperar, nè toglie oblio,
   Ma cel tempo il mio duol cresce, e ’l desio.

Ariadna, e Medea dogliose, erranti
   Sento di molto ardir, di poca fede
   Dolersi, in van biasmando il proprio errore;
   Ma se il volubil Ciel gl’ infidi amanti
   Diero a tanto servir aspra mercede;
   Disdegno, e crudeltà tolse il dolore;
   E ’l mio bel Sol continua pena e ardore
   Manda dal Ciel co’ rai nel miser petto
   Di fiamma oggi, e di fede albergo vero,
   Nè sdegno unqua il pensiero,
   Nè speranza, o timor, pena, o diletto,
   Volse dal primo mio divino oggetto.
Porzia sopra ad ogni altra mi rivolse
   Tanto al suo danno, che sovente insieme
   Piansi l’ acerbo martir nostro uguale.
   Ma se breve ora forse ella si dolse,
   Quant’ io sempre mi doglio, poca speme
   D’ altra vita miglior le diede altr’ ale;
   E ’l mio grave dolor vivo e immortale
   Siede nel core, e dell’ alma serena
   Vita immortal questa speranza toglie
   Forza all’ ardite voglie;
   Nè pur questo timor d’ eterna pena,
   Ma d’ ir lunge al mio Sol la man raffrena.
Poscia accese di veri e falsi amori
   Ir ne veggio mill’ altre in varia schiera,
   Ch’ a miglior tempo lor fuggì la spene;
   Ma basti vincer questi alti e maggiori,
   Ch’ a tanti pareggiar mia fiamma altera
   Forse sdegnò quel Sol, che la sostiene;
   Che quante io leggo indegne, o giuste pene
   Da mobil fede, o impetuosa Morte,
   Tutte spente le scorgo in tempo breve;
   Animo fiero, o leve
   Aprì allo sdegno, od al furor le porte,
   E fè le vite alle lor voglie corte.

Onde a che volger più l’ antiche carte
   De’ mali altrui, nè far dell’ infelice
   Schiera moderna paragone ancora,
   Se inferior nell’ altra chiara parte,
   E ’n questa del dolor, quasi Fenice
   Mi sento rinnovar nel foco ogn’ ora?
   Perchè ’l mio vivo Sol dentro innamora
   L’ anima accesa, e la cuopre, e rinforza
   D’ un schermo tal, che minor luce sdegna,
   E su dal Ciel m’ insegna
   D’ amare, e sofferir, ond’ ella a forza
   In sì gran mal sostien quest umil scorza.
Canzon tra’ vivi quì fuor di speranza
   Va sola, e dì, ch’ avanza
   Mia pena ogn’ altra; e la cagion può tanto,
   Che m’ è Nettare il foco, Ambrosia il pianto.

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STANZA V

Così si fugge il tempo, e col fuggire
   Ne porta gli anni, e ’l viver nostro insieme;
   Che a noi (colpa del Ciel!) di più fiorire,
   Come queste faran, manca la speme.
   Certi non d’ altro mai, che di morire,
   O d’ alto sangue nati, o di vil seme;
   Nè quanto può donar benigna sorte
   Farà verso di noi pietosa morte.

1538. Rime della Divina Vittoria Colonna Marchesana di Pescara. In Parma. in 8.



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