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Volpi sul campanile

Creato il 13 dicembre 2012 da Tnepd

Volpi sul campanile

Volpi sul campanile Anni fa mi trovai – viaggiatore solitario – a Caltagirone, in provincia di Catania. Gironzolando per l’antico centro storico barocco, m’imbattei in alcuni ragazzini che si offrirono d’accompagnarmi in cima a uno dei tanti campanili della città, per ammirare dall’alto il paesaggio circostante. L’istinto, valutata la pericolosità legale e logistica della proposta, nonché l’imprevedibilità della sconosciuta compagnia, mi suggerì di declinare l’offerta. Ai bambini, con o senza autorizzazione pretesca, piace salire sui campanili, in Sicilia come in Friuli, in tempo di pace come in tempo di guerra, concetto astratto, quest’ultimo, per i fanciulli, finché non la esperimentano sulla propria pelle. Dopo il nove luglio 1943 in Italia avevamo gli americani in risalita lungo la penisola, ma i tedeschi non se n’erano ancora andati del tutto e gli italiani si trovarono tra l’incudine e il martello. Volpi sul campanile Due ragazzini di Muzzana del Turgnano salirono in cima al campanile del paese, mentre molti adulti erano riuniti in chiesa. In quel periodo, i caccia angloamericani, partendo dall’aeroporto di Bari, scortavano i bombardieri diretti in Germania, ma non avendo sufficiente carburante a un certo punto dovevano tornare indietro. O perché volessero alleggerirsi del peso delle munizioni o perché avessero ricevuto l’ordine di farlo, i caccia mitragliavano regolarmente obiettivi sia civili che militari, indifferentemente, ma quel tragico giorno, sapendo che in cima ai campanili del nord Italia i tedeschi erano soliti sistemare nidi di mitragliatrice, diedero una bella sventagliata al vano delle campane, i due bambini muzzanesi non riuscirono a trovare riparo adeguato e furono smembrati dai grossi proiettili. Gli adulti, fra i quali forse c’erano anche i loro genitori, sentendo fischiare le pallottole, si guardarono bene dall’uscire in strada, poiché confidavano nella protezione divina e nella sicurezza delle spesse mura della chiesa. Solo dopo che i caccia se ne furono andati qualcuno si accorse della disgrazia, una delle tante che colpiva la popolazione civile. Essendo la maggior parte della gente dell’epoca dedita all’agricoltura, capitava che i caccia americani arrivassero durante i lavori nei campi e allora era un problema trovare riparo dalle pallottole. Gettarsi nei fossi era l’azione più frequente, nonché istintiva. Ovviamente, buoi e cavalli esclusi. Chissà se i mitraglieri anglomericani avevano sentimenti animalisti?! Volpi sul campanile Angelo, il nonno paterno di Fausto Bianco, mio attuale collega, gli raccontava che due caccia alleati ogni giorno mitragliavano una chiatta usata dai tedeschi sul torrente Aussa-Corno, dalle parti di Porto Nogaro. Un giorno però i nazisti non si fecero trovare impreparati e sistemarono una mitragliera nel posto giusto, tenendola ben nascosta. Quando si presentò il primo caccia, lo tirarono giù senza fatica, quando si presentò il secondo (ormai era tardi per mettersi in salvo), tirarono giù anche quello. Dai rottami degli aerei e dai corpi dei due piloti, si seppe che erano neozelandesi, venuti stupidamente a morire agli antipodi della loro terra. Per una chiatta fluviale. Se, con la fine della seconda guerra mondiale e la nostra ignominiosa sconfitta, la propaganda ci ha imposto l’idea del tutto surreale che gli americani siano stati i nostri liberatori, nonostante ci abbiano bombardato a tutto spiano, è anche vero che in fatto di grilletto facile pure i nostri ex alleati non scherzavano. Infatti, ogni barca che si arrischiava ad entrare in mare a Marano Lagunare veniva mitragliata dal campanile del paese e sarebbe interessante sapere se ciò veniva fatto anche prima dell’otto settembre 1943, cioè prima che agli occhi dei tedeschi apparissimo come traditori. Giacché, se mitragliavano i pescatori maranesi e i contadini di Muzzana, che andavano in mare per integrare il magro vitto, dopo il “tradimento”, lo si può capire, ma se lo facevano anche prima, allora il discorso cambia. Questo particolare, il nonno di Fausto non l’ha specificato. Io posso solo rendermi conto che per gli americani sbarcati in Sicilia gli italiani andavano puniti per essersi alleati con Hitler e per i tedeschi andavano puniti per il tradimento dell’otto settembre e anche per essere una razza inferiore a quella ariana: troppo bassi di statura, troppo scuri di pelle e raramente biondi. Non è mia intenzione schierarmi con i nostri “liberatori” americani o con l’esercito con cui Mussolini decise di allearsi, poiché trovo ripugnanti sia i militari anglofoni che quelli teutonici, ma voglio evidenziare che per la popolazione civile fu una tragedia trovarsi in quelle situazioni. Non so fino a che punto arriva la responsabilità di un contadino in tutto questo. La gente negli anni Venti e Trenta si fidava delle autorità, esattamente come oggi, e forse nessuno andava ad immaginare che sarebbe scoppiata un’altra guerra e che Mussolini ci avrebbe fatto schierare dalla parte sbagliata. Nessuno neanche immaginava che la cricca giudaico massonica dei banchieri inglesi avrebbe fatto scatenare un conflitto mondiale, perché nessuno sapeva come funzionano le cose dietro le apparenze. Non lo sanno neanche oggi! Il militare è la forma più semplice di condizionamento mentale. Sia i mitraglieri tedeschi, che sparavano alle barche uscite dal porto di Marano, sia i mitraglieri neozelandesi, che sparavano sull’idrovora di Piancada per puro capriccio o sulla chiatta usata dai tedeschi, rispondevano agli ordini dei loro superiori e sarebbe interessante capire come sia possibile che un uomo si riduca ad obbedire a un altro uomo, attribuendogli il potere di dettare ordini e abdicando alla propria coscienza. Invero, lasciando da parte le sofisticate tecniche moderne di condizionamento mentale, quando a un uomo qualsiasi si mette in mano un fucile o una mitragliatrice e gli si dice di sparare, lo fa. Poco importa che l’idrovora non sia un obiettivo strategico o che in cima a un campanile ci siano due ragazzini avventurosi anziché due soldati della Wehrmacht. Si preme il grilletto e basta. Poi, forse, si verifica il risultato, proprio come fanno spesso e volentieri i cacciatori. Da sempre odio sia i militari che i cacciatori. Li odio per istinto, anche se devo ammettere che fra i militari a volte si trovano delle brave persone. In tempo di pace fare il militare di professione è un modo come un altro per sbarcare il lunario, ma il cacciatore che si diverte ad uccidere persone animali senza colpa è un sadico puro, benché non se ne renda conto. Che la cecità etica sia una sua prerogativa o che c’entri qualcosa anche il pensiero dominante nella società, il risultato non cambia: vergogna e biasimo non si lesineranno.  Volpi sul campanile Quando poi si trovano tutti insieme, come generali in un bunker sotterraneo, a decidere delle sorti del nemico, ecco che il militarismo affiora anche nelle persone più insospettabili. Ecco che la veterinaria interpellata emette il suo verdetto: esecuzione capitale. Ecco che il capo dei vigili emette il suo: esecuzione capitale. Ecco che il signor Zufferli, responsabile provinciale del “Recupero fauna”, emette il suo: esecuzione capitale (ma il suo era prevedibile). Ed ecco che la povera volpe rabida, accantonata in un angolo della città di Udine verso la fine d’agosto di quest’anno, resta in attesa del suo destino, all’unanimità concordato. Ma c’è un problema: ci sono tre o quattro pistole ma non si trova qualcuno che abbia un fucile. Nessuno si arrischia a sparare con la pistola d’ordinanza perché non c’è giurisprudenza in merito e non era mai capitato che una volpe rabbiosa venisse a cercare riparo in città, in pieno giorno. E se poi succedono casini? Così tocca fare un giro di telefonate, far venire qualche guardiacaccia con la doppietta e cautelarsi legalmente circa l’uso di armi in zona abitata. Uno era in ferie, l’altro aveva in cellulare spento e la dottoressa diventava sempre più nervosa. La volpe continuava a sbavare, intontita. Che paura che fa la morte agli esseri umani! Un morso di volpe rabida ed è morte certa. Non ci sono santi, né vivisettori, che ci possano salvare. State attenti che non s’allontani, tenetela in un angolo con dei bancali e non v’avvicinate troppo: non si sa mai che possa attaccare, cioè vendere cara la pelle. Sarebbe un atto coraggioso e a volte gli animali lo fanno. Poi finiscono sulle pagine dei giornali, perché l’essere umano è, sì, un gran bastardo, ma un bastardo di gran cuore, non insensibile agli atti di coraggio. La veterinaria invece, sulle pagine dei giornali non ama comparire, né mostrarsi troppo compassionevole. V’immaginate se la volpe mordesse un cantoniere o un vigile urbano che tentassero di prenderla viva? I giornalisti, la veterinaria responsabile, la farebbero a pezzi. Potrebbe rischiare la carriera, magari, chissà, oltre al biasimo popolare. Tanto poi, anche se presa viva, dev’essere soppressa lo stesso! Come sono compassionevoli questi nazisti!  Volpi sul campanile Alla fine un fucile si trova. Arriva l’eroe. Si fa largo tra la folla e spara. Un solo colpo – gli americani ne hanno usati di più – e le due volpi coi calzoncini corti, in cima al campanile, sono state eliminate. Hanno pagato a caro prezzo lo spirito d’avventura. I bambini erano malati di fanciullezza, male da cui piano piano si guarisce, e si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. La volpe era malata di un virus letale e in qualche angolo della sua mente offuscata deve aver pensato che gli uomini fossero buoni e amichevoli. Nessuno, né alla volpe rabida, né ai due bambini muzzanesi, aveva spiegato che gli uomini adulti sono delle carogne, puzzano come carogne, ragionano come carogne e le loro decisioni sono di genere carognesco. Studiano cinque anni per laurearsi in veterinaria, vincono concorsi per diventare comandanti di polizia municipale e superano test ornitologici per diventare guardie venatorie.  Alla fine qualcuno gli mette in mano un fucile. O una mitragliatrice. E tornano all’età della pietra. Trogloditi moderni.  

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