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Wildlife Photographer of the Year

Da Matteotelara

Wildlife Photographer of the Year

Più di quarantamila immagini di vita naturale colte da decine di fotografi provenienti da quasi ogni paese del mondo dovrebbero già di per sé essere sufficienti a far comprendere la portata di un evento quale il Wildlife Photographer of the Year 2011.
Se poi da questi quarantamila scatti se ne distillano un centinaio, tutti rigorosamente liberi da interventi di ritocco in photoshop e scelti da una giuria internazionale per rappresentare il meglio di quanto l’occhio umano ha saputo cogliere nel e del mondo naturale nell’anno appena trascorso, quello che si ottiene è una sorprendente celebrazione della vita e un invito a recuperarne non solo il mistero e la maestosità, ma anche la bellezza, l’abbondanza e, in ultimo, la varietà.
Ciò che più impressiona di questa competizione giunta oramai alla sua quarantasettesima edizione è il talento e il senso della sfida, uniti all’amore per la natura e alla voglia di mettersi in gioco che hanno spinto fotografi amatoriali e professionisti di tutte le età a mostrare attraverso il proprio sguardo il mondo della vita animale e dell’ecosistema che la (e che ci) ospita. Ma al di là di questo, la vera forza del Wildlife Photographer of the Year risiede ancora una volta nel suo portare tale sguardo in giro per il pianeta – ovvero nel suo carattere itinerante – e così facendo nel continuare a suscitare riflessioni di portata sempre più ampia sulla nostra capacità di relazionarci al mondo e alle cose in esso contenute.
Una fotografia d’altra parte non è mai solamente un istante fissato nel tempo. Non è soltanto un frammento di realtà divenuta imagine. Una fotografia, e in particolar modo una qualunque delle fotografie del Wildlife Photographer of the Year, è in primo luogo la conseguenza di un lungo e silenzioso lavoro di ricerca e d’attesa: un processo di partecipazione il risultato del quale, alle volte, rivaleggia per intensità e forza espressiva con l’evento di cui ha voluto essere testimone.
Siano essi tramonti, aurore, tempeste, deserti, oceani, abissi, mammiferi, pesci, insetti, anfibi, cetacei o rapaci, in ognuno di questi scatti è rimasto imprigionato qualcosa, un chicco palpitante, un granello di vita che continua a respirare negli occhi di chi ovunque nel mondo si ritrova ad osservarlo.
Non è facile ottenere un risultato del genere. Anche oggi, nell’epoca del digitale e dell’elettronico, occorre saper vedere, occorre saper riconoscere, saper rappresentare, ricercare l’attimo, coglierlo, raccontarlo. E poi occorre intuito, un istintivo senso estetico, un’intima conoscenza della natura e una grande dose di quella fortuna che non capita mai né per caso né per sbaglio, ma che ha a che vedere con la rara capacità di sapersi trovare nel punto giusto al momento giusto.
Vi è in tutto questo una forte affinità con la scrittura: al di là della sua potenza visiva, in fin dei conti, la caratteristica più importante di un’immagine resta sempre il suo saper raccontare una storia.
Eccola dunque l’ultima – forse la più importante – delle ragioni per cui andare anche in questo 2012 a perdersi tra le immagini del Wildlife Photographer of the Year: l’intreccio delle storie, il lungo romanzo per immagini, il racconto dei racconti che riconducono ogni volta a un medesimo finale, agli sguardi dei grandi assenti – a noi – alla nostra innata connessione con l’accadere delle cose, col mondo della natura, con la natura del mondo e, maledizione, – credevate davvero d’averla scampata solo perché non compariamo mai? – con la nostra natura di uomini.


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