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Woody Allen – In Europa, with Love.

Creato il 06 dicembre 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Otto degli ultimi nove film di Woody Allen (l’eccezione è stata “Blue Jasmine”, girato a San Francisco) sono ambientati in Europa, anziché nella sua New York, la città in cui è nato, il suo originale epicentro creativo. La terribilmente amata New York, cartolina dei suoi capolavori ma soprattutto luogo dell’anima. Quella idolatrata e mitizzata, quella avvolta in un sublime in bianco e nero eppure sfavillante in cui sembrano esistere più di dieci motivi per cui valga la pena vivere, quella in cui il viso di Tracy appare persino più bello. Quella che l’altolocata Jasmine (Cate Blanchett) abbandona per San Francisco, in una nevrotica discesa all’interno di sé. Quella della panchina davanti al Queensboro Bridge, in cui lui stesso fece la più appassionata dichiarazione d’amore alla Grande Mela: “Questa è davvero una grande città, non importa cosa dicono gli altri”, dipingendo il quadro di un’affascinante New York, esaltandone la bellezza e la poesia. Oggi, nella poetica di Allen, New York è ancora li, immobile, come in una boule de neige.
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La sua rinascita e conversione al mood europeo ha avuto inizio nel 2005 con “Match Point”, girato a Londra. Un set intriso di contaminazioni dostoevskiane. In una delle primissime scene Chris Wilton (Jonathan Rhys-Meyers) sta leggendo Delitto e Castigo, affrontando nel corso della pellicola gli stessi turbamenti vissuti a San Pietroburgo, ma consumati oggi tra le strade di una metropoli occidentalissima. È la Londra di Scoop, di Sogni e delitti, degli inevitabili intrecci di Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, quella nuda e complessa in cui qualcuno muore, qualcun altro uccide e i rapporti cambiano. Complice, la città, un’ombra che nutre i vizi e nasconde gli orrori.
La sua traiettoria è virata in Spagna con “Vicki Cristina Barcelona”. Tra un viaggio a Oviedo e una cartolina degli scenari bohemién di Barcellona si distinguono i tratti tortuosi dell’arte di Gaudí. Il fatto che il regista abbia scelto Barcellona inserendola addirittura nel titolo del film non è un caso, l’obiettivo era di scrivere una storia in cui Barcellona fosse un personaggio come gli altri. Una città piena di bellezza visiva, con una sensibilità molto romantica. In cui riecheggia il suono del flamenco, sublimando la passione mediterranea di Barcellona. Una sensualità che alimenta il tradimento.
La narrazione di Allen invade Parigi, permeata dall’estetica della belle epoque. Un magico viaggio tra le ninfee e i ponticelli giapponesi della celebre Casa di Claude Monet, a Giverny, poco fuori Parigi. Questa pellicola è l’occasione di riunire nella sua città del cuore i suoi scrittori del cuore, i musicisti, i pittori che ama, le epoche che lo affascinano, l’atmosfera nostalgica di una Parigi che si trasforma, che merita l’esaltante contaminazione di Hemingway e Dalí, Fizgerald e Man Ray, l’insolenza di Picasso, le note di Cole Porter. A mezzanotte, a Parigi, può succedere di tutto perché così ha deciso il regista, che svuota il suo cassetto di desideri disordinati e lascia che ciascuno prenda il proprio posto, esattamente come Gil (Owen Wilson) al mercato delle pulci. Una Parigi che crea illusione. E dipendenza.
Da Parigi alla Città Eterna la strada non è così lunga. Una Roma a tratti esotica, fotografata in un nitido colore bruno, viene eletta a “luogo” simbolico di incroci maliziosi e capricciosi, spesso cinici, in un tributo al cinema di Fellini e Antonioni. Tra pomeriggi estivi e panorami mozzafiato, si fondono immagini, dettagli, colori di un tempo particolarmente malinconico. Lo sguardo del regista si sofferma sulle rovine e sui rimpianti. Come in un tempo che sembra essersi proustianamente fermato per Woody. In una Roma surreale.
Infine, “Magic in the Moonlight”, l’ultima fatica di Allen, girata nel sud della Francia. Una lunga sequenza inquadra le ville sfarzose, i locali intrisi di musica e gli affascinati scenari della Costa Azzurra nell’epoca d’oro del jazz, con i suoi splendidi paesaggi e colori, gli stessi che esercitarono un fascino irresistibile e duraturo per le peregrinazioni europee di tanti artisti statunitensi (dalla folgorazione di Scott Fitzgerald a quella di Heminway). Una cartolina come le altre capace di ingannarci. Di nascondere tra le pieghe del luogo il cinismo di Allen che ci insegna, ancora una volta, quanta magia possa esserci dietro il velo ingannatore della realtà.

di Valeria Ventrella per Oggialcinema.net


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