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0011 [WILFING] Una pausa prima di un’altra modernità

Creato il 18 novembre 2012 da Wilfingarchitettura @wilfing
di Salvatore D’Agostino
   Dopo più di quattro anni ho deciso di prendermi una breve pausa per ritornare in autunno, almeno spero, con un Wilfing Architettura rinnovato sia nella grafica che nei contenuti. Durante questa sospensione estiva vorrei condividere con voi tre letture urbane, molto milanesi, che anticipano il prossimo percorso di Wilfing Architettura ovvero il pensiero di un’altra modernità
0011 [WILFING] Una pausa prima di un’altra modernità Gianni Biondillo e Michele Monina, Tangenziali - Due viandanti ai bordi della città, Ugo Guanda, Parma, 2010
   L’anconese Michele Monina, come recita wikipedia, è scrittore, giornalista, direttore artistico e autore televisivo e da diversi anni vive a Milano; Gianni Biondillo è architetto ma in realtà lavora come scrittore è un tipico nativo milanese, secondo una sua definizione, poiché figlio di genitori calabresi (sic leggi il commento di Gianni Biondillo) trasferitosi a Quarto Oggiaro.  Entrambi, due anni, fa hanno percorso a piedi quella Milano cinta, ma non chiusa, dalle tangenziali.
   Durante la lunga camminata, spesso ciò che Michele Monina vedeva era tutta  merda, che strideva con la sua idea presa in prestito dal libro di psicogeografia scritto da Iain Sinclair ‘London orbital’ qualche anno prima. Monina voleva trasformare questo viaggio in qualcosa di più mediatico, con telecamere, circondato da amici divi e farne ‘un evento multimediale’ un’ossessione che lo distrarrà dall’osservare il perimetro di Milano oltre il proprio immaginario visivo, limitandosi a contrapporsi al suo compagno di viaggio ‘antropologicamente diverso’, in una sorta di sit commedy alla ‘Vianello-Mondaini’ (definizioni tra apici dello stesso Monina). Gianni Biondillo, da parte sua, si ritroverà a rintuzzare l’ansia da evento cool di Monina viaggiando con un bagaglio visivo pieno di anni di studi, di storie urbane e di architettura che spesso antepone a ciò che osserva camminando.
   Per Michele Monina, Rozzano, Assago, Cinisello Balsamo e le varie città che si legano ai bordi di Milano, non sono Milano, per Gianni Biondillo la Milano più  intraprendente è stata spesso inventata da chi è cresciuto in questi luoghi dove oggi le ville e i capannoni formano un indistinto unicum paesaggistico color giallo Maria Teresa d’Austria
PS: A proposito, Gianni Biondillo Chi combatte, oggi, la battaglia del Marchiondi Spagliardi? «Il riformatorio senza muri - secondo Bruno Zevi - dove i bambini non scappano».
Giovanni Ubezio, Il cane che mi guardava e altri racconti del taxista, Il saggiatore, Milano, 2012
   Giovanni Ubezio è un tassista milanese che abita ai bordi della città. Ogni giorno percorre le strade che vanno dalle tangenziali al centro, per lavorare. Nelle pause registra su un dittafono ciò che gli succede. Dalle trascrizioni delle sue considerazioni ad alta voce è stato tratto un libro semplice e ricco di luoghi comuni, dove la donna di periferia si contrappone alla donna del centro storico, le signore borghesi sono alla ricerca della donna delle pulizie perfette, le mamme in carriera discutono ore sulla qualità del lavoro delle loro tate, gli uomini d’affari affinano il proprio cinismo e le coppie clandestine cercano alcove negli interstizi della città. Milano ritratta attraverso i suoi luoghi comuni forse:
«è solo un’apparenza esteriore: in realtà a Milano la gente è profondamente sola». (p. 37)

Pierluigi Nicolin, La verità in architettura, Quodlibet, Macerata, 2012
   Pierlugi Nicolin è architetto, critico e  ideatore e direttore della rivista Lotus, nel suo ultimo libro dal titolo infausto, ‘La verità in architettura’ ma dal sottotitolo perfetto ‘Il pensiero di un’altra modernità’, raccoglie e ordina alcune sue riflessioni che da anni sedimenta attraverso Lotus. Analisi globali che celano il suo sguardo attento verso una Milano che si auspica sia capace di innescare nuove dinamiche per un’altra modernità.     Che cosa s’intende per un’altra modernità?
   Riporto una citazione tratta dal suo libro per un breve accenno e rimando alla lettura integrale del testo:
«Per questo mercato (ndr immobiliare) non funziona più il modello del quartiere, del quartiere-villaggio del dopoguerra con i suoi rimandi comunitari e rurali. A ben vedere, “quartiere” è una nozione urbana, vuol dire un quarto di città, deriva dalla città romana. Facciamo un cattivo uso di questa parola quando interpretiamo il quartiere come un villaggio e non come una parte di città. Inoltre, nell’abbandonare quell’idea postbellica del villaggio, con i suoi pregi solidaristici, siamo giunti alla sua versione più impoverita negli interventi attuali, dove un gruppo di condomini nel verde e chiusi da una recinzione prende ancora il nome di quartiere. Lo considero un modello scadente perché indicativo di preoccupazioni che gli abitanti normali secondo me non dovrebbero avere. Non dovrebbero ad esempio avere paura della città, non dovrebbero intendere il verde come un elemento per stare distanti l’uno dall’altro, non dovrebbero apprezzare l’isolamento della casa da tutto il resto. Questi nuovi operatori della trasformazione urbana dovrebbero impegnarsi a realizzare naturalmente quello che gli italiani in realtà conoscono alla perfezione, perché gli italiani sanno benissimo come si vive nelle città, non sanno piuttosto come si vive nella periferia.
[…]
Sappiamo benissimo invece vivere la città. E non mi risulta, nonostante, la diffusione dei fenomeni di sprawl in Lombardia, che ci sia un fuggi-fuggi generale dalle città: casomai il limite è nella maniera nostalgica di intendere la città come centro storico. Quando la città diventa centro storico vuol dire che non abbiamo più fiducia di poterla continuare tranquillamente. E cosa vuol dire farla? Vuol dire fare gli isolati, fare le strade, vuol dire fare gli edifici ‘ibridi’, con un piano terra significativo, con degli usi diversificati, che magari hanno delle attività lavorative nei primi tre piani. Così come sempre stato per le nostre città e come avviene anche in certi Paesi avanzati, dove ci sono gli home-office per le persone che lavorano a casa, o ancora nel centro di Milano dove gli uffici occupano lo spazio di alcune abitazioni. Credo che sia arrivato il momento di superare il modello del condominio monofunzionale, con il piano terra inutilizzato e il verde intorno». (pp. 32-33)
A dopo,Salvatore D’Agostino
10 luglio 2012COMMENTAIntersezioni --->WILFING__________________________________________Fotografia del 18 novembre 2011 tratta dal progetto finExTRA di Salvatore D'Agostino

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