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Infoscapes: ecosistemi umani emergenti.
Un ecosistema della cultura per la città di Roma.
di Salvatore Iaconesi*
Una nuova geografia, fatta di atomi e bit. Abbiamo creato un punto d'osservazione, per una nuova antropologia della città.
Ci ritroviamo in una strana ordinarietà.
Mi immergo nelle strade di Roma, indaffarato nel raggiungere i luoghi delle mie commissioni della giornata e intento ad occuparmi della fisicità intensa di questa città – per cui rischio continuamente di finire addosso ad altre persone, scivolare scendendo da un tram affollato, o semplicemente perdermi nella curiosità di svoltare in un vicolo del centro storico invece che proseguire dritto verso la mia destinazione.
Una vibrazione. Tutto cambia. Pur restando fisicamente nello stesso luogo, sono da un'altra parte. Guardo il mio smartphone, su cui è arrivata una notifica di un messaggio, e sono in un altro posto. Difficile da definire. Sono sempre lì, in un incrocio affollato di Largo Argentina, ad evitare di essere investito da una automobile mentre attraverso la strada assieme a tante altre persone. Ma sono anche altrove.Sono simultaneamente in luoghi differenti.
Gli elementi nel mio campo visivo, i segni, le persone, gli oggetti, gli edifici, si arricchiscono di uno strato aggiuntivo, che non so bene come collocare. È lì, certo, ma è anche in un posto differente: è un messaggio in cui mi si ricorda un appuntamento, un'idea di un amico, un pensiero, una cosa da fare per lavoro. È uno spostamento che ha una strana fisicità, una tattilità differente, che mi trasla non solo di luogo, ma anche e soprattutto nel pensiero. L'incrocio affollato diventa istantaneamente un ufficio ubiquo, un luogo intimo per la condivisione di un saluto, un posto dove ricevere una informazione, un sito in cui aprire una conversazione di qualche genere.
Arrivato sano e salvo all'altro marciapiede, penso. È un momento di illuminazione, rivoluzionario. Divento profondamente consapevole di essere appena stato all'intersezione di due flussi differenti, di due paesaggi simultanei, di due modalità differenti dell'essere. Che potrebbero essere state anche molte di più, nello stesso istante, e che potrebbero ritornare a incontrarsi in qualsiasi momento.
Ero altrove e qui, nello stesso istante.
Kevin Lynch, nel raccontare le città in “The Image of the City”, le descriveva come enormi opere sinfoniche, create simultaneamente da migliaia – milioni – di performer attraverso la loro percezione ed interpretazione di ciò che li circonda. Una colossale opera emergente, ricombinante, dissonante, polifonica, in cui ogni nota è un atto di individuazione, riconoscimento, situazione, attraversamento, spostamento, comunicazione, espressione: l'interpretazione.
Questa visione ha un potere eccezionale, in quanto descrive la complessità che, assieme alla densità ed alla diversità, è la maggior ricchezza delle città.
Ne descrive anche la modalità di attuazione, esponendo una immagine che conosciamo da De Certeau: la ricchezza della città è costruita negli atti e nei gesti della quotidianità, che diventano rivoluzioni molecolari istantanee, effimere, fluide, liquide, dissonanti ed indeterministiche nel loro proporre (performare) continue riprogrammazioni di spazi, attraversamenti, fermate, ricontestualizzazioni, riappropriazioni, remix, ricombinazioni.
La città vive di molteplici intendimenti simultanei in cui le strategie – ciò che è stabilito amministrativamente, burocraticamente, per legge – si sovrappongono alle tattiche, i modi in cui percepiamo il mondo e decidiamo di attuarne la nostra parte, diventando performer della città, eseguendo scelte, deviazioni, svolte, azioni. Prendendo parte alla polifonia emergente, ubiqua e dissonante della città.
Nello scarto tra strategie e tattiche è l'innovazione, di molti tipi, capace sia di esistere nell'effimero del momento, sia di sedimentarsi e di trasformarsi nella prossima “normalità”, sia di suscitare confronti sociali, politici, poetici, estetici. E, in quanto innovazione, importante in tutti e tre i casi, a mostrare le vie del possibile, a educare la percezione all'accettare la possibilità della possibilità: educare alla possibilità della trasformazione, dando valore alla differenza, al delta.
Nell'era della conoscenza, dell'informazione e della comunicazione, si ridefinisce completamente il senso di propriocezione, che diventa fluido, disseminato. Non siamo più vincolati alla situazione, nel senso di “essere situati”.
In ogni luogo siamo attraversati da innumerevoli sorgenti di informazione e ne possiamo generare di nostra, ad influire e interagire su luoghi, tempi e modalità differenti dal nostro.
Una rivoluzione che è diventata accessibile alla maggior parte delle persone con l'avvento del Sony Walkman, il primo strumento di massa capace di abilitarci a personalizzare lo spazio che ci circonda usando elementi mediatici “altri”: capace di permetterci, tramite l'informazione – la musica –, di attivare emozioni, ricordi, attenzioni e percezioni verso luoghi, tempi e modalità differenti da quelli in cui ci troviamo fisicamente, o addirittura immaginari (ora diremmo “aumentati”). Di scollegarci dal luogo fisico ed entrare nel mediascape, tutt'uno con il luogo, ma anche profondamente differente, altro.
Il Walkman è diventato un iPod, un iPhone, e poi la molteplicità di dispositivi nomadici che portiamo con noi nelle nostre quotidianità: smartphone, tablet, information/communication device.
Schiere di persone con il volto illuminato da uno schermo mentre si sostengono alle maniglie ed agli appoggi dell'autobus, effettuando i propri spostamenti e, intanto, discutendo online, organizzandosi la serata, esprimendo emozioni, visioni, aspettative, desideri. O, come succede ai più giovani, scollegati anche dallo sguardo, che rifugge spesso il contatto oculare per cercare lo schermo: per essere anche “lì” mentre sono “qui”, o per archiviare istanti fotografandoli ed registrandoli, quasi a superare l'esperienza diretta di un concerto, un paesaggio o un tramonto con la possibilità di condividerlo online, e di spostare lì la fruizione e la discussione.
Ogni spazio/tempo delle nostre città, quindi, è attraversato da moltitudini di informazioni, generate da esseri umani e da dispositivi, e capaci di interconnessioni, relazioni e interazioni di incredibile complessità.
Sono gli “-scape”, come definiti da Arjun Appadurai – ethnoscape, mediascape, technoscape, financescape, ideoscape –, a riunirsi nell'infoscape, paesaggi fluidi e ubiqui, massivamente multi-autoriali, emergenti e ricombinanti. Sono le continue espressioni che pubblichiamo tramite la nostra quotidianità, partecipando ai social network, ma anche eseguendo altri tipi di operazione, acquistando oggetti e servizi, o anche semplicemente camminando per la strada, la nostra immagine catturata dalle telecamere di sicurezza.
Come tutti i paesaggi, gli “-scape” possono essere letti, e interpretati, traendone informazioni, conoscenze, saperi, e le evidenze di emozioni, relazioni, interazioni.
Come avviene per tutti i paesaggi, risulta interessante osservare sia quello che contengono, sia le assenze, i vuoti, i buchi, quello che non contengono, o quello che contengono loro malgrado.
È nell'osservazione degli “-scape”, dell'infoscape, che ricade l'opportunità per una nuova antropologia delle città. Una antropologia ubiqua, come suggerito da Massimo Canevacci, capace di navigare lo spazio delle relazioni umane nel loro divenire fluido, complesso e ricombinante. Una antropologia metodologicamente stupita, in grado di scoprire domande nuove, sconosciute, non ancora scoperte, prima ancora di immaginare di poter fornire risposte.
In grado di abilitare una serie di possibilità del tutto inedite, una etnografia peer-to-peer, che nasce dal desiderio di riappropriarsi degli “-scape” – quasi sempre dominio di operatori e fornitori di servizi, nonostante siano il frutto dell'agire pubblico –, e di aggiungerli alla propria sensibilità: una ridefinizione complessa di spazi pubblici e privati. Oltre l'auto-rappresentazione: la performance dei saperi.
A Roma, abbiamo iniziato da questa ipotesi operativa e attivato EC(m1), il primo Ecosistema Culturale in Real Time.
Assieme all'Assessorato alla Cultura del Primo Municipio della Città di Roma, siamo partiti da una necessità: la creazione di un “censimento” di tutte le realtà romane che “fanno cultura”. Nell'eseguire il compito in modo classico, ci siamo interrogati sul senso di questa espressione: fare cultura.
Nell'era dell'informazione, la distinzione produttore/consumatore non è cosa scontata, specie con la ampia diffusione delle piattaforme di social networking.
Abbiamo creato EC(m1) con l'intento di creare una nuova geografia umana della cultura, di effettuare un salto quantico sulla possibilità di comprendere la vita culturale di una città come Roma.
Il sistema utilizza una serie di tecnologie per raccogliere in tempo reale tutte le conversazioni pubbliche che hanno luogo sui social network in tema di cultura, e generate ad interessare un territorio di interesse (in questo caso, quello del Primo Municipio della città).
Queste conversazioni vengono elaborate: classificate tematicamente, per comprendere se trattano di Musica, Cinema, Editoria, Turismo, Tradizioni, Storia, o tutte quelle declinazioni di “cultura” che abbiamo, ad oggi, definito; comprese per lo stato emozionale che esprimono, quale l'entusiasmo di un operatore culturale nel lanciare un certo evento, e la soddisfazione (o la delusione) di un fruitore dopo avervi preso parte; il posto da cui o di cui si parla, potendo capire i luoghi della cultura, gli spostamenti attraverso la città.
Queste informazioni vengono visualizzate in tre modi:
I dati vengono anche rilasciati sotto forma di Open Data, per consentire ai cittadini e agli operatori di appropriarsi dell'infoscape culturale della città in tempo reale, e di utilizzarli per posizionarsi all'interno dell'ecosistema, per comprenderne la conformazione, per trovare nuove opportunità di interazione, collaborazione e comunicazione, e per sviluppare nuovi servizi, idee e modi di attraversare la comunicazione della città.
L'ecosistema sarà visibile all'indirizzo art is open source. È ancora in fase sperimentale, e soffre del fatto di dover caricare un'enorme mole di dati, per poterla presentare ai fruitori senza perdita di complessità. Un team di designer dell'interazione stanno ottimizzando tutti gli elementi, per renderli più usabili.
Questo progetto si inserisce nell'ambito del meta-progetto degli Human Ecosystems, tramite cui stiamo disseminando questo genere di descrizione ecosistemica in varie città del mondo.
Inoltre è stato appena aperto un gruppo su Facebook in cui condurremo un ampio dibattito sulle possibilità offerte da queste metodologie di osservazione della città. Vi stanno partecipando operatori della cultura, artisti, appassionati, giornalisti ed altri. Chiunque sia interessato può iscriversi qui.
28 settembre 2013Intersezioni ---> CITTA'COMMENTA________________________Note: