La parola chiave è continuità. Quella continuità sotto la quale 007, da "Casino Royale", ha deciso di sottostare, quella che aveva portato "Quantum Of Solace" ad essere considerata praticamente la sua seconda parte e poi "Skyfall" a fare i conti con un passato remoto che in "Spectre" decide, coerentemente, di presentare il conto, attorcigliandosi al presente.
Il ventiquattresimo film di James Bond, il quarto con Daniel Craig protagonista e il secondo con Sam Mendes alla regia, diventa perciò la quadratura di un cerchio il cui scopo è quello eliminare ogni ombra su quell'agente doppio zero dall'aria tenebrosa ed il passato oscuro, un cerchio progettato, probabilmente, già in anticipo, attraverso la pianificazione del reboot, o, magari, - chi può dirlo - stilato in corso d'opera, mediante un illuminazione. Gli eventi che hanno visto, dunque, togliere a Bond il grande amore di Vesper e quello affettivo di M e che lo hanno portato a vedersela con Le Chiffre, Dominic Greene e, infine, con Raoul Silva, trovano ognuno denominatore unico nell'organizzazione criminale chiamata Spectre: responsabile degli attentati terroristici mondiali, del traffico di vaccini e medicinali e della rovina della vita di chiunque ami mettergli, ciclicamente, i bastoni in mezzo alle ruote. E' evidente, insomma, che con Bond tale società abbia degli affari in sospeso, affari che intende chiudere in via definitiva, dal momento in cui l'agente segreto opta di mettersi sulle loro tracce dopo aver ricevuto un filmato post-mortem, via mail, da M (che continua a lavorare anche dalla tomba, si dice). L'inizio di una guerra che Bond sente di dover prendere come personale, di dover combattere in solitario, privo quindi dell'aiuto dell'MI6 (dalla quale non ha problemi a farsi sospendere) e munito solo del suo istinto e della collaborazione fida di Moneypenny e del genio Q: unici due elementi a cui potersi aggrappare per sfuggire ai tentacoli del male di una piramide nera che stavolta sembra essere più ripida e cupa di qualunque altra scalata prima.
L'impronta allora - vuoi perché c'è Mendes a distribuire indicazioni, vuoi perché gli sceneggiatori son più o meno gli stessi - rimane identica a quella con cui era stato elaborato e confezionato "Skyfall": con spettacolarità, intrighi, azione e villain misteriosi - che danno l'impressione di poter essere invincibili - a fare da scheletro. Persino il paragone con Nolan e la saga del suo Batman rimane in piedi, subendo variazioni fisiologiche e comprensibili, ma dimostrando ancora quanto gli sceneggiatori abbiano preso spunto da chi, a sua volta, proprio da 007 era stato palesemente ispirato e attratto. Dei cambiamenti importanti (e rivoluzionari, per certi versi) in "Spectre" però ci sono eccome, e riguardano il fulcro di un'attenzione che non è più rivolta verso l'intreccio narrativo (che a qualcuno, neanche sbagliando, è sembrato piuttosto semplice e prevedibile), ma verso il destino di un protagonista, sempre impegnato nella difesa del mondo e di Sua Maestà, ma soprattutto, adesso, nel caso specifico, ad esorcizzare i demoni e le ferite che porta dentro per assicurarsi la pace privata che merita, se non definitivamente quantomeno temporaneamente.
Come in ogni ciclo che vuole mettere l'ultimo tassello infatti, James Bond in "Spectre" rincorre mari e monti per liberarsi definitivamente dei fantasmi che fino ad ora lo hanno perseguitato, impedendogli di abbassare la guardia e di interrompere quella negativa continuità, appunto, che da "Casinò Royale" lo insegue tormentandolo. Perché a vederlo (e a conoscerlo) non si direbbe, ma persino quelli come lui, generalmente, tendono a voler voltare irreversibilmente alcune pagine, per poter passare finalmente, poi, ad un foglio tutto bianco, tutto nuovo e tutto da scrivere.
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