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Creato il 02 luglio 2015 da Malvino
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Non entrerò nel merito della questione greca, mi limiterò a considerare solo un dettaglio che ricorre con insistenza in tutto il gran parlarne, e mi riferisco al costante richiamo a ciò che la Grecia antica ha dato allumanità Avevo messo da parte un lungo elenco di citazioni tratte dalla stampa nazionale e da quella estera che pensavo offrissero un esauriente campionario dei modi coi quali a tale richiamo è stata fin qui conferita, più o meno esplicitamente, la pretesa di avere forza di un vero e proprio argomento, che peraltro si vorrebbe incontestabile, in favore delle ragioni della Grecia odierna. L’intenzione – l’avrete intuito – era quella di aprire il post con la lista di debiti che l’Europa avrebbe nei confronti della Grecia antica e che in qualche modo pareggerebbero il conto con quelli che la Grecia odierna ha nei confronti dei suoi creditori europei, o almeno dovrebbero alleggerirlo di molto. Non sono riuscito più a trovare questa miscellanea, ma fa lo stesso, suppongo abbiate capito di cosa stia parlando: Socrate, Platone, Pericle, tutte le parole che hanno un etimo greco, lo stesso nome di Europa, tratto dalla mitologia ellenica. Bene, vorrei dire che a mio modesto avviso questo argomento vale meno di una dracma bucata: i greci d’oggi non hanno nulla a che vedere coi greci di venti o di venticinque secoli fa, sicché è risibile pretendere che Omero, Aristotele o Euclide tornino a saldo di ciò che Atene deve al Fondo monetario internazionale o, peggio, che chi ha liberamente sottoscritto degli impegni al momento di entrare nella Comunità Europea abbia il diritto di chiedere e trovare deroghe ad essi in forza dell’assunto che, se la Grecia non ne facesse parte, l’Europa sarebbe costretta a non potersi dire depositaria, come d’altronde lo è tutto il mondo, del patrimonio di arte, cultura e pensiero che trovarono luce nell’Ellade di Sofocle, Prassitele e Platone. A me pare – e mi scuso con chi dovesse sentirsene offeso – che tentare di dar forza di argomento a questa peroratio comporti l’assunzione dei tratti sciovinisti coi quali è stato costruito il personaggio di Kostas Portokalos in My Big Fat Greek Wedding (Joel Zwick, 2002) o, peggio, di chi fra le rovine di un glorioso passato non trova niente di meglio da ribattere a chi gli rimprovera di limitarsi a parassitarlo che, «quando i tuoi antenati vivevano aggrappati agli alberi, i nostri erano già froci». Rilevante, tuttavia, che a tale assunto si faccia ormai ricorso assai meno in Grecia che fuori, come se un paese riuscisse a pretendere che il proprio passato remoto abbia un valore corrente solo fino a quando la durezza di una crisi economica non ne riveli l’irrilevanza sul piano pratico. Sarà per questo che a battere con più insistenza il tasto dell’importanza di mantenere la Grecia in Europa siano l’Italia e la Spagna, quasi che a fronte di un rischio analogo volessero poter contare su una rendita da capitale, la loro. Sia chiaro che dell’Unione Europea ho sempre avuto un’idea di come dovrebb’essere che è sempre stata assai diversa da quella che fin qui è stata e attualmente è: nata male, direi, e cresciuta peggio, tutto nell’illusione che certi processi possano essere interamente controllati dall’altoSia chiaro, inoltre, che riconosco al governo Tsipras alcune buone ragioni nell’opporre resistenza alle richieste della troika: non moltissime, in verità, ma alcune sì, anche se in buona misura depotenziate dall’ostinazione a credere che il default faccia più male a tutti che ai greci. Più in generale, ritengo che da entrambe le parti sia venuto il peggio di quanto fosse nelle loro possibilità, quasi fosse nelle loro intenzioni arrivare proprio all’attuale situazione, che sembra non avere soluzioni, se non dilatorie. Ma – dicevo – preferisco non entrare nel merito della questione.

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