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04. L’organizzazione socio-economica nella Bhagavad Gita.

Creato il 24 novembre 2010 da Graziano

04. L’organizzazione socio-economica nella Bhagavad Gita.La quarta lezione è dedicata alla descrizione dei quattro varna, letteralmente “colori”, ovvero le grandi categorie sociali in cui sono divisi gli uomini secondo una partizione che deriverebbe da Dio stesso.
Bisogna premettere che gli ordini sociali nella Bhavagad Gita sono non casualmente legati alle quattro fasi della vita individuale ed il tutto è posto sotto l’ègida del dharma, l’ordine che tutto presiede, infatti si parla generalmente del “sistema” del varna-ashram-dharma come di una particolare organizzazione della vita privata e sociale finalizzata al dharma, alla realizzazione dell’ordine universale.
Rispetto all’occidente classico e medioevale, il pensiero classico indiano possiede però un formidabile concetto che legittima in modo radicale l’appartenenza degli individui ai rispettivi “colori”, il karma. La ragione per la quale un individuo nasce in una certa famiglia e con certe caratteristiche psico-fisiche non deriva qui dall’incomprensibile, quanto apparentemente arbitraria volontà divina, ma dall’insondabile legge del karma, della quale gli uomini possono capire il principio ma non i particolari.Quello che più sta a cuore al Maestro è spiegare la necessità e al contempo la liberalità dei varna, che agli occhi degli occidentali contemporanei sono immediatamente assimilati alle caste, correntemente considerate la quintessenza dell’oscurantismo orientale. La mia modesta opinione è che ha fatto bene Marco Ferrini a centrare la lezione sulle qualità braminiche, le quali fanno così da parametro per misurare la vicinanza o la lontananza dal modello ideale di uomo spiritualmente realizzato: bramino deriva da brahman, bramino è colui che è più vicino allo spirito, colui il quale ha più sviluppato le qualità sattviche che contraddistinguono il liberato. Posta così la questione, l’appartenenza alla sfera sociale più elevata deve essere dimostrata e mantenuta quotidianamente, non è un diritto che si acquisisce per nascita, sebbene jati, la nascita, sia determinata dalle attività delle vite precedenti. Quello che propone il Maestro è un sistema sociale aperto alla mobilità sociale, la quale dipende ed è organizzata sulla base delle tendenze e del karma individuale ed è finalizzata all’evoluzione spirituale dei singoli. Secondo l’interpretazione della tradizione che il Maestro rappresenta i varna non rispondono ad un diritto di nascita, piuttosto sono collocazioni sociali che permetto ad ognuno, secondo il proprio karma e guna, di evolvere verso uno stato virtuoso caratterizzato dalle nove qualità braminiche, oltre è la liberazione, moksha.
Nel modello ideale ognuno è al proprio posto come il tassello di un mosaico, manifestando nel mondo l’ordine cui soggiace l’universo, e questo dà il senso e il contesto alla vita umana nella società tradizionale. Nella realtà indiana della storia che conosciamo, a meno che non si faccia riferimento al mito e all’epica delle origini, le cose non sono così pacifiche, poiché se è pur vero che i modelli di riferimento sono oggi come ieri gli eroi del Mahabharata e del Ramayana, da sempre è nell’animo umano, anche indiano, la tendenza a conservare i privilegi acquisiti e al nepotismo e poche sono le anime elette.
La mia modesta opinione è che Marco Ferrini, in quanto portavoce di una tradizione che da sempre è stata molto chiara su questo punto, (vedi Bhaktisiddhanta Sarasvati) e che anche all’interno dell’induismo si è coraggiosamente distinta nel privilegiare l’aspetto “femminile” della divinità, quindi dell’accoglienza, del perdono, della compassione, rispetto a quello della dura legge delle Scritture, esprima, coerentemente alla Sampradaia cui appartiene, un livello di pensiero che non è un adattamento allo spirito “democratico” contemporaneo (sul quale ci sarebbe molto da discutere visto che il venti per cento della popolazione mondiale detiene l’ottanta per cento della ricchezza del pianeta alla faccia delle caste!), ma l’interpretazione più alta e coerente delle scritture, e della Bhagavad Gita in particolare, nella quale, senza rinnegare la validità delle altre vie spirituali, c’è una particolare predilezione per il sentimento di offerta, per l’amore che estingue anche il karma più pesante, per la spontaneità del sentimento rispetto alla formalità delle convenzioni, anche e soprattutto religiose. Ecco perché dico che Marco Ferrini, coerente interprete del pensiero della tradizione, estrae, anche in un ambito così controverso come la questione delle classi sociali, la parte più alta del pensiero classico indiano.
Graziano Rinaldi

Lezione 04
sabato 03 aprile 2010 – mattino
La BG, occupandosi dell’uomo, non può mancare di una scienza dell’organizzazione sociale ed economica. Al fine di progredire spiritualmente, le persone hanno da vivere in maniera sobria e soddisfare legittimamente i propri bisogni e desideri. Trovare una collocazione nei comparti sociali utile agli altri ha molto a che vedere col benessere della persona, perché il sentirsi utile agli altri produce benessere, questo per dire che l’economia non è solo organizzazione del lavoro, sebbene nella Gita si trovino effettivamente insegnamenti di economia e di sociologia. Il messaggio della BG non è settario, non ci dice a che religione dobbiamo convertirci, ci dice di comportarci in maniera corretta e sopratutto ci insegna come farlo.
Nella Gita (IV, 16) Krishna afferma che esistono 4 comparti della società (varna), categorie sociali che rappresentano il corpo sociale nell’insieme e che funziona interattivamente, se non funziona sinergicamente vi si manifestano patologie, la più cruenta delle quali è la rivoluzione sociale. Il corpo umano, come il corpo sociale, deve operare in armonia, questa armonia è la salute, sociale, emotiva, fisica. Le personalità sono diverse per le varie interazioni dei guna, ciò nonostante possono cooperare nella società, l’economia è l’esito di questa cooperazione.
Partiremo dalle qualità braminiche che dovremmo sviluppare al più presto per poter essere in grado di aiutare le altre creature, il creato e anche il Creatore, per diventare parte del Suo progetto in sintonia col Dharma.
La Bg non invita le persone ad abbandonare il mondo, al contrario afferma che la più alta realizzazione spirituale la si ottiene svolgendo le proprie mansioni nella società, senza attaccamento al frutto dell’azione, quindi come compiere i propri doveri nel mondo?
I guna interagiscono col karma, il dharma è il dovere dell’uomo, tutte le volte che c’è un infrazione (peccato/teologico, reato/giuridico) si accumula karma. Il karma è una reazione ad un’infrazione, è un debito, una tendenza coatta a ripetere un’infrazione, ma non è un’infrazione originaria, fin dall’inizio della creazione, il karma si accumula ed interagisce fino a diventare una fitta rete di reazioni dove la persona non capisce più qual’è il suo dovere e non sa come svolgerlo, è l’uomo nella selva oscura.
Krisha dice che la società è stata da Lui organizzata sulla base dei guna e del karma dei singoli individui. Se il karma ha reso una persona ottusa, anche se lo desidera, non può svolgere un lavoro che richiede un’alta intelligenza, viceversa se qualcuno è caratterizzato da un karma prodotto da attività accumulate idonee a fare un lavoro che richiede intelligenza, non deve fare altro, è una questione di organizzazione del lavoro, siccome le qualità provengono dal guna e dal karma, ognuno deve essere impiegato in modo congruente sulla base della combinazione dei guna e del karma. Persone che hanno un’intelligenza carente possono dedicarsi solo ad attività semplici, persone che hanno un intelletto sviluppato possono capire concetti complessi che non sono alla portata di tutti, le cose semplici non sono adatte a tutti perchè non danno soddisfazione a persone che sentono di avere la capacità di fare cose più complesse.1
Le caste sono un’invenzione successiva, il termine casta non lo troviamo nelle scritture sacre è una parola portoghese che viene utilizzata intorno al XVI sec. indica un irrigidimento del sistema sociale ed in particolare della mobilità sociale che in quel periodo appare come bloccata. Ma la Gita non c’entra niente col sistema delle caste, nella Gita questi comparti sono aperti alla mobilità, anche se una grande importanza è data alla famiglia in cui il soggetto nasce e che predispone a certe competenze, come del resto è in tutte le organizzazioni sociali in tutti i tempi. Ma la nascita non è l’unico requisito, come vorrebbero far credere i sostenitori del sistema delle caste e del resto questa ideologia viene smentita dalle upanishad, dalla Gita e da tutti i testi sacri2
La nascita dà certamente un vantaggio enorme, ma non è sufficiente per dire che una persona ha delle competenze se la persona stessa non le ha sviluppate. Quindi non possiamo accettare un preteso diritto di nascita: jati, colui che è nato in una certa maniera. La Gita dice che jati non è sufficiente, sarebbe come dire che i capelli bianchi siano sinonimo di saggezza, sono invece i meriti, le capacità, ciò che ha veramente realizzato la persona a decidere della sua saggezza. Fin dalle 4 Samita i Veda ci parlano dell’organizzazione sociale, esse risalgono tra 7/10.000 a 3/5.000 anni a.C. quindi è una civiltà primigenia che esprime i primi testi scritti considerati di rivelazione divina. L’organizzazione sociale c’entra molto con la realizzazione spirituale che non avviene per un salto nel vuoto, per una fuga dalla realtà, ma dal vivere nella società in maniera cosciente, corretta, costruttiva.
I brahmani si sono sempre mantenuti attraverso l’insegnamento della scienza sacra, il sapere sacro è l’economia dei bramani, che hanno la loro economia come gli altri. La povertà, la castità e l’obbedienza3: nei Veda non ci sono questi voti così radicali, essi non possono essere imposti ma si possono sviluppare operando nella società.
Ma perchè ci sia società occorrono delle regole, altrimenti siamo all’animalità, bisogna organizzare il lavoro delle categorie, poiché ogni categoria socio-economica ha la sua economia. La ricchezza è definita come lakshmi, dea della fortuna, è l’espansione energetica di Vishnu, ma per essere tale deve essere impegnata al servizio di Dio: ci sono poveri degradati e ci sono ricchi realizzati, non è la ricchezza in sé che determina l’evoluzione spirituale ma l’uso che se ne fa. La vera rinuncia nei Veda attiene all’utilizzo che facciamo di qualcosa, che invece di destinarlo alla gratificazione dei sensi (ego) può servire ad elevare la coscienza delle persone. Non ci sono regole rigide nei Veda, le persone donino quello che possono e che vogliono, a seconda di come utilizzano le opportunità, di quello che trattengono per sé e di quello che donano, determineranno il loro stato d’animo: non è la rinuncia ad utilizzare le opportunità che è premiata, ma l’utilizzo corretto di quelle opportunità, è la motivazione e non l’azione che contamina l’uomo: le persone facciano quello che possono e che devono, evitando di svolgere il dovere di un altro, cioè quello che non corrisponde al proprio guna e karma.
Il quattro è un numero molto ricorrente, nel numero quattro c’è da vedere la divinità, che rappresenta simbolicamente un archetipo universale. Anche il linguaggio si divide in quarti: gli animali ne capiscono ¼ gli umani ordinari i 2/4 i bramani i ¾ ed il quarto quarto è mistero, è la parte lasciata alla nostra riflessione, è necessario assimilare di non aver capito tutto: l’ultimo quarto è perché gli uomini ci pensino ed è dedicato ai saggi, ai deva, ai santi, alle persone che sono in un rapporto mistico col tutto, loro capiscono l’ultimo quarto.
La rinuncia può essere di diversi tipi nella Gita, nel XVIII, 42 la rinuncia è definita con nove caratteristiche che devono essere possedute dal brahmino per essere definito tale: sama, equanime qualsiasi cosa succede all’esterno, essere stabili; dama, disciplina interiore, autocontrollo, essere imperniato nel sé; tapah, ascesi; saucam, purezza; kshantih, tolleranza; arjavam, onestà; jnanam, conoscenza; vijnanam, saggezza; astikyam, fede in una Realtà ultraterrena; questo è il modo d’agire del bramino, che non è tale perché è nato in una famiglia di bramini, ma è bramino se possiede le prime otto qualità e risiede nella Realtà. I bramini portano l’economia legata al trasmettere il sapere sacro, al come mantenere la società pulita, ordinata, pacifica, questo insegnano i bramini. In alcune upanishad vengono descritte le grandi case bianche dei bramini, dove risiedono e studiano decine, talvolta centinaia di studenti per imparare non solo la teoria ma soprattutto l’esempio di vita del bramino, per mangiare, dormire, sentire come sentono i bramini: il precetto infatti passa solo seguendo l’esempio. Quindi la qualità braminica nasce da svabhava-jam, dalla sua propria natura, il bramino non fa sforzo ad aderire a queste qualità, quando la natura braminica non è completa va completata e quindi l’individuo si colloca negli altri varna inferiori, il che come spiega Krishna, è naturale (BGT XII, 1-12) perché nella società ci dev’essere posto per tutti. Il gusto per la vita spirituale non è “popolare”, per svilupparlo in maniera stabile c’è da fare un lavoro molto impegnativo e ci vuole purezza; e chi non sviluppa quel gusto, dice Krishna, le sue opere valgono zero… ma allora? Allora quello che uno fa senza gusto spirituale, non vale per la realizzazione spirituale!
L’anima diventa soddisfatta quando l’essere umano si dedica al dharma supremo, ovvero alla soddisfazione di Dio, perché Varna ashram dharma ha come scopo soddisfare Vishnu. Fin dalle Samita Vishnu è definito come Yajna Purusha, ovvero colui che è destinatario di tutti i sacrifici, l’uomo ha successo nella misura in cui tutto quello che fa lo dedica a Vishnu. Il valore intrinseco del sacrificio dipende dal fatto che sia offerto a Dio, e per nessun’altra ragione mondana, solo in questo caso il sacrificio purifica l’offerente. Quindi l’anima è veramente soddisfatta quando è collegata a Dio, quando invece applichiamo il nostro intelletto ai sensi la ragione ha l’ali corte, se invece è collegata a Dio, quell’Uno che diventa molteplice, allora la scintilla rientra nella fiamma, ma deve far parte della nostra coscienza in modo intrinseco. Siamo sul piano dove l’uomo tenta di entrare in contatto col divino, ma il karma, l’ego, le false convinzioni, i condizionamenti, nell’insieme i klesha, si interpongono; tutte le occupazioni dell’uomo hanno il loro valore, ma sono prive di valore spirituale se quelle occupazioni non sviluppano in noi il gusto per il divino. Senza sviluppare gusto per il divino non c’è vero appagamento, si può appagare l’ego ma tutto lo sforzo sul piano spirituale è nullo.
Dio è nel cuore di ognuno, nelle upanishad è descritto come “silente”, il soggetto condizionato non sente questo amico, ma se viene evocato anche senza averne una conoscenza precisa, se si rivolge a Lui con una preghiera, se lo chiama per nome e dedica a Lui qualcosa nello spirito dell’offerta, allora questo amico che è nel cuore gli distrugge gli ostacoli; quando la relazione con l’Amico Supremo si è stabilita, dopo aver distrutto tutti gli ostacoli e fatto luce nel buio che era nel cuore, quando raggiunge quell’ardore tipico dell’amore, allora la bhakti diventa irreversibile.
Tutti i comparti sociali devono essere assegnati in questa visione, se il compito assegnato non sviluppa un gusto per il divino vale meno di zero, se perdiamo il contatto con Dio tutti gli sforzi sono inutili, il senso di vuoto e l’insoddisfazione regnerà sovrano nella nostra personalità.
I doveri del bramano: ha un disinteresse totale per ciò che attiene all’ego, del resto se le persone non lo nutrissero e non gli facessero tante “offerte”, l’ego non ci sarebbe. Concentrandosi su di un fine superiore il brahmino riesce a dominare le passioni che dalle persone ordinarie sono viste come bisogni reali, fino a considerare un proprio diritto il soddisfarle, come una forma di libertà, ma quella non è affatto libertà, al contrario è un’assenza di libertà: chi dipende dalle proprie passioni, dalle proprie emozioni non è libero! Questa libertà non si conquista d’un colpo, piano piano, cedendo pseudo-libertà, si conquista la vera libertà. La retta condotta porta alla soddisfazione interiore, ma chi la retta condotta non ce l’ha perché cede ai condizionamenti, non può fare il bramano. La purezza è un’espressione della coscienza, è il capitale del bramino, anche la pulizia è tipica del bramino, che si lava almeno tre volte al giorno, perché anche la pulizia aiuta a stare “vicino a Dio”, il valore però è la purezza, è necessario “muoversi verso” la purezza, è come la perfezione, bisogna volgersi, essere in marcia orientato verso la perfezione. Questa è la qualità del bramino: vuole tenersi orientato verso la perfezione. Come nell’investimento commerciale si produce ricchezza così nell’offerta si ha la vera ricchezza, privarci di qualcosa ci permette di ottenere di più, questo vale su tutti i piani, anche su quello spirituale, lo spirito di sacrificio viene sviluppato dal sacrificio stesso e produce purezza.
L’onestà, arjavan è quella riferita alle scritture, non soggettiva, relativa.
Kshanti, qualità di contemplazione, soddisfazione intrinseca, non è la calma dell’affaticato è quella di chi ha la visione che tutto è sempre in ordine, quando la persona si sente che non dipende dalle turbolenze esterne, in equilibrio, in pace.
Jnana conoscenza teorica, vijnana l’esperienza pratica di quei precetti, bisogna conoscere il bene che fa all’anima l’essere umili, l’essere onesti, insomma la virtù, sapere che siamo diversi dal corpo e “sentire” che è così, questo fa la differenza. C’è necessità di una lunga pratica di attività braminiche, perché Bramino viene dal termine brahman, spirito, quindi significa spiritualista, il bramino non è una dimensione sociale, lo diventa dopo, il loro contributo sociale deriva dalla loro natura, la ricchezza che sono in grado di generare è la più grande, perché ispirano le persone a fare bene.
La vera felicità si trova nella retta condotta, è lecita l’azione fondata nel dharma: questo è il perno della Gita, col dharma si raggiungono gli obiettivi e l’azione dà soddisfazione legittima che non degrada e con ulteriore ricerca si ottiene la liberazione.
L’economia è intimamente interconnessa con i ruoli nella società.
XVIII.43 gli kshatrya. Ciò che scaturisce dal cuore di uno kshatrya è eroismo, la capacità di compiere imprese che non sono tipicamente umane, essi rompono gli standard; tejah sono in grado di detenere il potere; dhrtir determinazione, capacità di attenersi ad un obiettivo senza sottrarsi al rischio, al pericolo; dakshyam ingegnosi; danam sono in grado di gestire la ricchezza, di distribuirla equamente nella società; isvara, sono capi, comandanti, sono capaci di controllare, hanno una natura che interviene e controlla.
XVIII,44 vaysha (imprenditori) e proletari (shudra). Sono insieme. I dipendenti non hanno capacità imprenditoriale e devono per forza lavorare a progetti di altri, loro prestano la loro opera e meritano il più grande rispetto, quando gli shudra fanno impresa combinano dei disastri, non hanno la concettualità. Possono pure sviluppare certe specializzazioni, c’è un’intelligenza nello shudra che, non dimentichiamo, fa comunque parte del corpo sociale, ci sono anche quelli fuori, gli a-sociali che sono altra gente; gli shudra sono una componente fondamentale nell’organizzazione sociale.
La sfera d’azione degli shudra è limitata, nei vaysha rientrano tutti gli imprenditori.
Il varna ashram dharma non è un tipo di organizzazione socio-politica da applicare ad una società particolare, non è storico, esso ha la funzione di ricollocare l’uomo nell’universo, di dargli questa consapevolezza, ha a che fare con la cosmogonia, il v.a.d. si definisce come un sistema socio-cosmico, perché le cose che facciamo qui hanno riflessi nel mondo di poi, hanno un’importanza straordinaria all’interno di una dottrina escatologica, ha a che vedere col destino dell’uomo dopo la morte.
Manifesto sociale vaishnava di M. Ferrini … richiedere.

Domande:
1. Shudra, tendenza alla critica e complesso d’inferiorità.
Gli shudra sono coloro che hanno il karma più pesante e pertanto presentano complessi d’inferiorità più marcati. In ordine decrescente ce n’è anche nelle altre categorie, fino ai bramani non ancora maturi. Solo quando la persona è totalmente libera da desideri di onore personali non ha più nessun interesse nella critica, perché non ha gelosia, è l’invidia che genera la critica (palese o sotterranea), il saggio non critica nessuno. Si parla di critica distruttiva e costruttiva, quando è a viso aperto è costruttiva e non ha niente a che vedere con il complesso d’inferiorità, s’incontra la persona e gli si dice che siamo preoccupati per lei, perchè il suo comportamento, tra decine di qualità che manifesti continuamente, presenta questo difetto che fa temere per lei perché poi ci saranno delle conseguenze, gli si dice che vorremmo vorrei aiutarla, come posso aiutarti visto che ho rilevato questo tuo difetto? Questa è la critica costruttiva e richiede coraggio, forza, determinazione, distacco, perché possiamo ricevere anche una porta in faccia, quando le persone sono insuperbite è difficile anche proporre loro una correzione.
Le categorie più basse hanno meno qualità perchè hanno più condizionamenti.

2. Si può fare qualcosa quando uno ha un karma pesante?
Si può fare tutto, altro che qualcosa! Tante persone si sono corrette lasciandosi alle spalle condizionamenti pesanti, sono tutte persone che si sono impegnate, che hanno avuto la volontà in espansione, perché uno più lavora al proprio karma, più la volontà si rafforza, meno ci lavora più la volontà si affievolisce. Bisogna applicare la volontà sulle 26 qualità spirituali, questo è il modo! Anche per aiutare un altro che ha un karma pesante stessa cosa, bisogna essere generosi senza imporre, la persona deve essere mantenuta libera di fare le proprie scelte, nessuno ha il diritto di imporre le proprie scelte, fosse anche il bene: si può solo persuadere. La libertà va mantenuta al centro nel dialogo con chicchessia.

3. Bisogna impegnarsi a rimanere in una certa categoria anche se in alcune occasioni sembra fuori luogo?
I guna non sono mai completamente separabili. Il brahmino, che ha inclinazione preminentemente sattvica ha controllo su rajas e tamas, ma possiede rajas e tamas; senza tamas per esempio non potrebbe dormire, senza rajas non potrebbe fare cose di tipo imprenditoriale, perchè ci vuole energia, però questa energia è sotto l’egida di sattva. Se invece prevale rajas sattva entra in minoranza e la persona è condizionata da rajas. La persona ispirata riduce al minimo i bisogni personali e si impegna per quelli degli altri, la persona pigra pensa a soddisfare i propri bisogni, a lavorare meno possibile e agli altri non ci pensa neanche
La persona non è a comparti stagni, se guardiamo la vita dei saggi essi hanno assunto diversi ruoli, anche da shudra, gli acarya in certe circostante possono svolgere ruoli diversi, ma la sua visione spirituale lo porta a fare quello che c’è da fare. Quando sattva domina il carattere la persona può fare qualsiasi cosa ma agisce sempre ispirato da brahmino.

4. Come fare quando siamo costretti a svolgere un lavoro che non ci piace?
La capacità di accettare disagi in vista di un’evoluzione, come un lavoro non gratificante, è tapas. Un conto è fare un lavoro perché si guadagna tanto, molte ferie, ecc, questo è da shudra, ma se accettiamo un lavoro in vista che capiti qualcosa di più adatto alla nostra natura, perché vogliamo fare di più, perchè vogliamo donare di più alla società, perché vogliamo esprimere meglio i doni che abbiamo ricevuto: questo è sattva, il punto è la motivazione. Un lavoro umile può essere anche motivo di riscatto. Si possono accettare posizioni nella società in vista di operare in modo più consono alle nostre qualità, ma se si accetta un lavoro che non piace per avere più prestigio, denaro, ecc allora è patologico.

5. Fin dove aiutare da una posizione superiore chi soffre?
Nelle organizzazioni vi sono persone non responsabili nel proprio ruolo, persone neghittose, sempre pronte a crearsi vantaggi personali attraverso gli amici degli amici. Il leader deve essere capace di sorbirsi anche una certa dose di solitudine, di tollerare anche il tradimento, l’abbandono di persone che lo hanno aiutato fino ad un certo punto ma poi non sono più in grado e gli voltano le spalle. Se il leader ha convinzioni profonde e soprattutto se è un tramite tra cielo e terra, ha la forza per mantenere la propria rotta e di continuare a dare il buono esempio. Quando le persone non sono più disponibili a portare avanti piani concertati insieme, discussi, e pareva che non ci fosse divergenza, il leader deve avere la forza di trovare e ispirare altre persone e di portare avanti il suo progetto, se ci crede, altrimenti farà come il subordinato che avrà avuto qualcosa di meglio da fare.
Il leader non dipende dagli applausi, perchè i fischi e anche di peggio, arrivano sempre.

Libere note di Graziano Rinaldi
1. L’ESPERIENZA E LA STORIA CI INSEGNA CHE MOLTO SPESSO PERSONE DOTATE DI ACUTA INTELLIGENZA SONO CARATTERIZZATE DA UN KARMA PESANTE. QUESTO LO SI DEDUCE DAL FATTO CHE IL LORO COMPORTAMENTO NON È AFFATTO ISPIRATO AI PRINCIPI SATTVICI DI COMPASSIONE E AMORE, MA DA CUPIDIGIA E PERSINO CRUDELTÀ VERSO I PEROPRI SIMILI, VERSO LE ALTRE CREATURE E NELL’ASSOLUTA INCURANZA DEL CREATO E DEL CREATORE. LA LORO INTELLIGENZA È SENZ’ALTRO MOLTO FINE E NON SAREBBERO DUNQUE ADATTI A SVOLGERE FUNZIONI SOCIALI “SEMPLICI”, INFATTI LI TROVIAMO SPESSO AI VERTICI DI IMPRESE ECONOMICHE E DELLE ISTITUZIONI POLITICHE CHE TENDONO A TRASFORMARE IN LUOGHI DI SOFFERENZA. QUESTO TIPO DI PERSONE CI DEVE ESSERE SEMPRE STATO, IN QUALSIASI CONTESTO SOCIALE, ELEMENTARE O COMPLESSO, E MI PARE POCO REALISTICO PENSARE CHE POSSANO ESSERE CONTROLLATE ED INCANALATE DA UN’AUTORITÀ CENTRALE, POICHÉ, PROPRIO GRAZIE ALLA LORO INTELLIGENZA, TENDONO AD OCCUPARE TALE POSIZIONE. GLI SHASTRA COSA DICONO AL PROPOSITO?

2. E’ VERO CHE NELLA SMRITI SI TROVANO CASI DI “MOBILITÀ SOCIALE” ANCHE ECLATANTI, ES. NARADA, MA LA NORMA È UNA FORTE PREOCCUPAZIONE PER LA NASCITA E PER IL MANTENIMENTO DELLE NORME CHE IMPEDISCONO LA CONFUSIONE DEI VARNA. NEL MAHABHARATA IL DHARMA DEGLI KSHATRIA È RICAVATO ESCLUSIVAMENTE DALLA NASCITA, LA PRECISA COLLOCAZIONE SOCIALE DI CIASCUNO DEI PROTAGONISTI È DETERMINATA DALLA LORO NASCITA NON DALLE LORO VIRTÙ E DEBOLEZZE, NON DAL LORO COMPORTAMENTO RELATIVO AL DHARMA. VI SONO PRINCÌPI CHE SI DEGRADANO RIMANENDO SALDAMENTE AL LORO POSTO, UOMINI VIRTUOSI CHE PERÒ NON HANNO ACCESSO AI VERTICI DELLA PIRAMIDE SOCIALE, COME VIDURA, CHE NON PENSA NEANCHE DI ACCEDERE AL TRONO PERCHÉ FIGLIO DI VIASA E DI UNA SERVA. IL DIRITTO DI NASCITA NON SARÀ CONDIZIONE SUFFICIENTE MA, SALVO RARISSIME ECCEZIONI, SEMBRA ESSERE CONDIZIONE NECESSARIA E SE È COSÌ VUOL DIRE CHE CHI NASCE IN UN CERTO COMPARTO SOCIALE È DESTINATO A RIMANERVI, ANCHE PERCHÉ JATI, LA NASCITA, È DETERMINATA DALLE ATTIVITÀ PREGRESSE (KARMA) E DALLE TENDENZE (GUNA), QUINDI APPARE DEL TUTTO “NATURALE” IL POSIZIONAMENTO SOCIALE NELLA SOCIETÀ INDOVEDICA.
MA QUESTO ASPETTO DELLE SCRITTURE DOVREBBE ESSERE ANALIZZATO PIÙ PROFONDAMENTE, PERCHÉ PROBABILMENTE LA QUESTIONE È MOLTO PIÙ COMPLESSA DI QUELLO CHE APPARE AD UNA PRIMA RIFLESSIONE, INFATTI QUANDO PARLIAMO DI JATI, NON NECESSARIAMENTE CI SI RIFERISCE ALL’AMBITO FAMILIARE (GOTIKA), POTREMMO ANCHE LEGGERE JATI DANDO PREPONDERANZA A CIÒ CHE UNA PERSONA È IN POTENZA ALLA NASCITA, ALLA SUA PERSONALE ATTITUDINE CHE LO FA APPARTENERE AD UN “COLORE” (VARNA) PIUTTOSTO CHE A UN ALTRO.
ANCHE L’APPARTENENZA DI SESSO ANDREBBE MEGLIO SPECIFICATA. COME SI COLLOCANO LE DONNE NEL SISTEMA DEL VARNA-ASHRAM-DHARMA? CHE POSSIBILITÀ SONO TRADIZIONALMENTE STABILITE PER LE DONNE RISPETTO ALLA MOBILITÀ SOCIALE? NELL’EPICA APPAIONO NEL MIGLIORE DEI CASI COME FIGURE “D’APPOGGIO” DEI PROTAGONISTI CHE SONO TUTTI MASCHILI. LA STESSA SITA, CO-PROTAGONISTA INSIEME A RAMA DEL RAMAYANA, INCANTATA DALLA BELLEZZA DI UN CERVO, SI DIMOSTRA SENTIMENTALE E VOLUBILE FINO AD INDURRE RAMA ED IL FRATELLO LAKSHMANA A CADERE NEL TRANELLO DI RAVANA. L’IDEA CHE MI SONO FATTO È CHE SOLO MOLTO DI RECENTE E SOLTANTO GRAZIE AD UN FORTE MOVIMENTO D’OPINIONE INTERNAZIONALE, LE DONNE HANNO ACQUISITO UNO STATUS DIVERSO ANCHE NELLE TRADIZIONI PIÙ AUTOREVOLI. QUESTO SENZA VOLER DARE UN GIUDIZIO DI MERITO SULLA QUESTIONE.

3. I QUATTRO PRINCIPI REGOLATORI, RIBATTEZZATI DA MATSIA AVATARA I QUATTRO PRINCIPI DELLA LIBERTÀ, PREVEDONO UNA SOSTANZIALE CASTITÀ. E’ QUINDI DA INTENDERE CHE TALE PRINCIPIO SIA UN OBIETTIVO DA RAGGIUNGERE O UN REQUISITO NECESSARIO PER ESSERE INIZIATI ALLA SAMPRADAYA DEL MAESTRO?


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