05 dicembre 1901: nasce Walt Disney
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By Boy Scouts of America (eBay itemphoto frontphoto back) [Public domain], via Wikimedia Commons
Tra le tante personalità artistiche che hanno segnato il Novecento, quella di Walter Elias Disney, meglio conosciuto come Walt Disney, ha continuato a brillare per decenni, e continuerà ancora a farlo per la propria attualità.È negli anni Trenta che si fa coincidere il periodo aureo della produzione disneyana, sebbene Walt Disney avesse iniziato a occuparsi di animazione già a partire dagli anni Venti con la Laugh-OGram e con le Alice Comedies; del 1928 è Steamboat Willie, il primo cortometraggio della serie Mickey Mouse (conosciuto in Italia come Topolino); The Skeleton Dance (1929) è il primo corto della serie Silly Symphonies, produzione parallela a quella di Mickey Mouse, ma è negli anni Trenta che Roosvelt sceglierà Three Little Pigs (1933) come metafora del New Deal (con il lupo che, secondo Ejzenštein, rappresenta la disoccupazione); è negli anni Trenta che The Old Mill (1937) segnerà l’introduzione della multiplane camera, che consente di dare profondità all’immagine; Flowers and Threes (1932) sarà il primo cartone animato a colori – e tutto questo senza dimenticare Snow White and the Seven Dwarfs (1937, in Italia Biancaneve e i sette nani), primo lungometraggio animato della storia.
A queste innovazioni tecniche si aggiungano gli altri meriti di Walt Disney: investire nel cinema d’animazione; credere nella possibilità che un surrogato del cinema dal vero potesse competere con quello hollywoodiano; scoprire i gusti popolari; dare al proprio marchio un preciso significato: divertimento; creare Disneyland, parco dei divertimenti per tutte le età. Le scommesse di Disney sono state vinte. I suoi progetti avevano un tocco di follia unito a un indiscusso talento creativo. Disney sapeva che il pubblico ama sognare a occhi aperti e che spesso questi sogni devono avere un lieto fine, cosicché ha mostrato – soprattutto nei lungometraggi – una realtà idealizzata in cui predominano sentimenti come l’amore e l’amicizia (che rappresentano il Bene), mentre il Male (odio, gelosia, vendetta) è sempre destinato a soccombere. Una contrapposizione tipica della narrativa popolare, come spiega Umberto Eco nel Superuomo di massa; al contrario, di fronte a sfumature caratteriali e a caratterizzazioni psicologiche più complesse nonché a finali aperti o problematici, ci troveremmo innanzi al cosiddetto romanzo impegnato. Disney rientra di sicuro nella prima categoria, quella del romanzo popolare.
In principio ci fu Oswald the Lucky Rabbit. Persi i diritti di Oswald, in mano alla Universal, Disney incomincia a lavorare su un nuovo personaggio. Secondo una leggenda, poi smentita dal figlio di Ub Iwerks, lo disegnò in un treno per Hollywood, in compagnia di sua moglie Lillian, e doveva chiamarsi Mortimer. Ma fu proprio Lillian a suggerirgli di cambiargli nome e di chiamarlo Mickey. Disney si sarebbe ispirato a un topo vero, a uno di quei topi che trovava nel cestino della carta straccia. Era molto legato a Topolino: ne parlava come se esistesse realmente, come se fosse suo figlio. Aveva sempre desiderato un figlio, invece ebbe una bambina, Diane, e poi, su continua insistenza di sua moglie Lillian – con la quale litigava spesso per le sue prolungate assenze da casa dovute a impegni di lavoro – adottò Sharon. Topolino è stato per Disney il figlio che non ha mai avuto, oltre che il suo alter-ego. Topolino era Disney stesso, che lo doppiava. Disney aveva spesso imitato Charlot e non aveva mai nascosto un debole per il personaggio di Chaplin. Topolino riprende le movenze di Charlot.
I cortometraggi della serie di Mickey Mouse hanno accompagnato Disney per oltre un decennio, portandolo anche a creare altri personaggi divenuti poi il simbolo del marchio aziendale, come Paperino e Pippo. Proprio nel periodo della massima ascesa di Paperino, che aveva riscontrato molta più popolarità a causa del suo carattere nevrotico ma umano, Disney decise di rilanciare Topolino in quello è che stato il suo film più ambizioso, Fantasia, ovvero l’unione tra l’apoteosi della cultura di élite (la musica classica) e la cultura popolare (i cartoni animati). Una sorta di videoclip ante-litteram che all’epoca non fu apprezzato e che, anche in seguito ai flop di Pinocchio e Dumbo, creò qualche malumore negli Studios della Disney, portando poi al famoso sciopero del 1941.
Der Fuherer’s Face e con altri film di propaganda, gli anni Cinquanta segnano la rinascita, non soltanto grazie a classici immortali come Cenerentola (1950), Alice nel paese delle meraviglie (1951) e La bella addormentata nel bosco (1959) ma anche e soprattutto per la realizzazione del grande progetto di Walt Disney: il parco a tema. La vera grande invenzione di Walt Disney, accanto ai film, è stata Disneyland, un non-luogo, come l’ha definito Marc Augé, capace di richiamare ogni giorno intere famiglie e di regalare a tutti ore e ore di divertimento puro. Disneyland, fondata nel 1955 in California, fu lanciato dall’omonima trasmissione televisiva, condotta da Walt Disney in persona.Walt Disney ha rappresentato e rappresenta l’eterno sogno degli americani: il self-made man. Lavoro e famiglia, puritanesimo, niente volgarità, niente sesso: l’artista ideale per dare agli americani un’impronta ben precisa, l’educatore per antonomasia di tutte le generazioni. I suoi film, per questo, restano degli evergreen. Sono eterni, intramontabili. I bambini sognano guardandoli e si emozionano; si identificano nel protagonista di turno e non pensano che il meccanismo è già collaudato e che il lieto fine è scontato.
Per uomini come Walt Disney non è necessaria l’ibernazione per ottenere l’immortalità: sono i suoi personaggi stessi ad averlo reso immortale. È in Topolino e in Paperino che si nasconde la vera essenza della sua personalità. Quel bambino mai morto, quella voce interiore che gridava dentro di lui, ha fatto la sua fortuna. Lo ha detto anche Julie Andrews, che interpretò l’ultimo grande film di Disney, Mary Poppins, la cui genesi è al centro di Saving Mr. Banks, l’unico film semi-biografico e non documentaristico su Disney: «Solo la fantasia dei bambini può cambiare il mondo».
È ciò che ha fatto la fantasia del piccolo grande Walt Disney.
Questa è una lista dei classici Disney.
Dopo anni di diatribe sulla numerazione dei “Classici”, nel 2008 è stata la stessa Disney a stabilirne la lista:[1]
Fonte Wikipedia.
N° Titolo italiano Anno A mano In CGI A episodi
1 Biancaneve e i sette nani 1937

2 Pinocchio 1940

3 Fantasia 1940


4 Dumbo 1941

5 Bambi 1942

6 Saludos Amigos 1942


7 I tre caballeros 1944


8 Musica, maestro! 1946


9 Bongo e i tre avventurieri 1947


10 Lo scrigno delle 7 perle 1948


11 Le avventure di Ichabod e Mr. Toad 1949


12 Cenerentola 1950

13 Alice nel Paese delle Meraviglie 1951

14 Le avventure di Peter Pan 1953

15 Lilli e il vagabondo 1955

16 La bella addormentata nel bosco 1959

17 La carica dei 101 1961

18 La spada nella roccia 1963

19 Il libro della giungla 1967

20 Gli Aristogatti 1970

21 Robin Hood 1973

22 Le avventure di Winnie the Pooh 1977


23 Le avventure di Bianca e Bernie 1977

24 Red e Toby – Nemiciamici 1981

25 Taron e la pentola magica 1985

26 Basil l’investigatopo 1986

27 Oliver & Company 1988

28 La sirenetta 1989

29 Bianca e Bernie nella terra dei canguri 1990

30 La bella e la bestia 1991

31 Aladdin 1992

32 Il re leone 1994

33 Pocahontas 1995

34 Il gobbo di Notre Dame 1996

35 Hercules 1997

36 Mulan 1998

37 Tarzan 1999

38 Fantasia 2000 1999


39 Dinosauri 2000 —

40 Le follie dell’imperatore 2000

41 Atlantis – L’impero perduto 2001

42 Lilo & Stitch 2002

43 Il pianeta del tesoro 2002

44 Koda, fratello orso 2003

45 Mucche alla riscossa 2004

46 Chicken Little – Amici per le penne 2005 —

47 I Robinson – Una famiglia spaziale 2007 —

48 Bolt – Un eroe a quattro zampe 2008 —

49 La principessa e il ranocchio 2009

50 Rapunzel – L’intreccio della torre 2010 —

51 Winnie the Pooh – Nuove avventure nel Bosco dei 100 Acri 2011

52 Ralph Spaccatutto 2012 —

53 Frozen – Il regno di ghiaccio 2013 —

54 Big Hero 6 2014 —

55 Zootopia 2016 —

56 Moana 2016 —

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