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Da
oltre un secolo sappiamo che solo in un ambito relativamente
ristretto possiamo permetterci di continuare a fare un uso della
rappresentazione del tempo come quella classica, valida in assoluto,
in ogni punto dell’universo e lungo tutto il suo divenire: basta
provare a uscire da quest’ambito, conservando del tempo l’idea
che continua a funzionare alla perfezione quando vi si è dentro, per
constatare quanto sia inappropriato ritenere, ad esempio, che la sua
continuità sia omogenea: il tempo smette di essere un’entità
autonoma, si dilata o si contrae in relazione agli stati della
materia, per la quale, fuori dall’ambito relativamente ristretto
dal quale tuttavia non ci è indispensabile esorbitare, vale quanto
abbiamo detto per il tempo: la materia non è quello che ci appare:
come provano a spiegarci i divulgatori scientifici nel loro eroico
tentativo di aprirci al contro-intuitivo, «è fatta di onde».
Perché
possiamo permetterci di non aggiornare i concetti di tempo e di
materia? Perché la nostra vita può tranquillamente eludere la
realtà sub-atomica e quella extra-galattica, restando nell’ambito
relativamente ristretto in cui le leggi della fisica classica
continuano a funzionare come sempre. In generale: per evitare la
fatica di aggiornare un concetto, dobbiamo accontentarci di limitarne
l’uso ad un ambito che però la
conoscenza tende a restringere sempre di più. Volendo, potremmo
tranquillamente riadottare il sistema tolemaico, ma a patto di non
tentare viaggi interplanetari, necessariamente destinati al
fallimento rinunciando a programmarne le rotte sulla base di quanto è
implicito nel sistema copernicano. In definitiva, possiamo concludere
in questo modo: solo l’ignoranza
può rendere inscalfibile un concetto.
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