Cerco di seguire il dibattito sulla libertà di espressione sul web con tutta l’attenzione che riesco a impormi, ma confesso che mi infligge una noia indicibile. Senza dubbio dev’esser colpa mia, evidentemente non sono ancora riuscito a capire quale sia il problema nello specifico, perché almeno una cosa mi è chiara, e cioè che in tanti danno per assodato che sul web la libertà di espressione ponga questioni del tutto peculiari, che invece a me pare siano in tutto analoghe a quelle poste dalla comunicazione veicolata da altri mezzi.Voglio dire che a mio modesto avviso dovrebbero valere anche per l’agorà virtuale le regole vigenti per quella reale: abbiamo un codice civile e uno penale per sanzionare quanto abbia gli estremi dell’illecito, tutto il resto potrà eventualmente buscarsi la condanna morale di chi non ne condivida il portato etico-estetico, ma è bene che resti intoccabile.Nel caso che ha riacceso il dibattito in questi ultimi giorni – i commenti all’ictus occorso a Pierluigi Bersani – io davvero non riesco a capire dove sia il problema, e leggo il lamento di Michele Serra, la sennata risposta di Massimo Mantellini, ma l’impressione è che si metta insieme il tutto e il niente. Augurarsi la morte di qualcuno è un reato? Non mi risulta. È cosa disdicevole sul piano morale? Può darsi. In ogni caso, se non vogliamo uno Stato etico, dobbiamo rinunciare a tradurre in sanzione giudiziaria una condanna morale o a pretendere sia censurato quanto non incontri il nostro gradimento.Si obietta: sul web si può essere attivi in forma anonima, dunque l’eventuale illecito non è attribuibile in modo diretto e immediato, sicché il controllo deve essere effettuato in via preliminare sul mezzo. Non sono d’accordo, anche perché alla responsabilità personale di un abuso della libertà di espressione si può arrivare con gli strumenti di cui è ampiamente fornito chi è deputato a far rispettare la legge.Rimane possibile, ovviamente, che in rete si urli: «Devi morire!», come accaduto nei confronti di Pierluigi Bersani, proprio come si urla allo stadio nei confronti – faccio per dire – di Mario Balotelli. Può disturbare la sensibilità di qualcuno, ma ritengo improponibile la soluzione di far disputare le partite a porte chiuse o quella di negare l’accesso agli spalti a chi urli a questo modo. Altra cosa è l’ingiuria, specie se motivata da pregiudizio razziale, ma in questo caso siamo dinanzi a un reato. Ben venga, allora, la sanzione a chi a Mario Balotelli urli: «Negro di merda!». Allo stadio torneranno utili le telecamere per individuare i colpevoli da punire, sul web non sarà più macchinoso individuarli dall’IP.Virtuali o reali, le piazze sono piene di ogni cosa: qui si può pretendere che le leggi garantiscano la repressione dei reati, non che assicurino un’atmosfera di nostro gradimento. Questa pretesa può trovare soddisfazione nell’iscrizione a un club privato, in cui di solito vigono regole liberamente accettate da chi ne chiede l’ammissione e che rispondono a standard di comportamento opportunamente normati, ma l’idea che il web debba dotarsi di analoghi requisiti, prim’ancora che irrealizzabile, è inauspicabile. D’altronde, chi trovi fastidiosa la piazza può restare a casa. Chi in rete s’imbatta in qualcosa che lo irriti, può cambiare pagina.
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