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Creato il 08 settembre 2014 da Malvino
«Avant de mourir, je vais protester contre cette invention de la faiblesse et de la vulgarité, et prier mes lecteurs de s’attacher à déstruire mes observations et mes raisonnemens plutôt que d’accuser mes maladies» Lettera a Luigi de Sinner, 24 maggio 1832
Un giorno – siamo ai primi dell’Ottocento – ad Antonio Fortunato Stella, «stampatore in Milano», viene l’idea di dare alle stampe un’edizione dell’opera omnia di Cicerone che abbia apparato critico da renderla imperitura e affida a Niccolò Tommaseo il compito di stendere le note per le Orazioni. Quando gli viene consegnato il lavoro, ha qualche dubbio sulla tesi che serpeggia in esso – Cicerone sarebbe retore scarsuccio e pessimo avvocato – sicché manda il manoscritto a Giacomo Leopardi perché gli esprima un parere, ma senza dirgli chi ne sia l’autore, per discrezione. Leopardi lo legge e scrive a Stella che è robaccia, zeppa di madornali errori che rivelano gravi lacune nella conoscenza del latino. Qui la discrezione di Stella accusa un inspiegabile cedimento: fa leggere la lettera ad alcuni letterati, che si dicono d’accordo con le osservazioni di Leopardi, e allo stesso Tommaseo, che comprensibilmente non la prende affatto bene. Potrà vendicarsi solo molti anni dopo, quando ormai ha acquistato fama e prestigio: i circoli culturali di tutta la penisola fanno propria la sua tesi che il pensiero di Leopardi trovi ragione solo nel fatto che è basso, gobbo e malaticcio. Tesi che a 177 anni dalla morte di Leopardi riaffiora ancora, anche se raffinata in morbide insinuazioni, dalle pagine che ci danno notizia dell’edizione inglese dello Zibaldone o dell’uscita del film di Mario Martone. Il che spiega perché Tommaseo abbia potuto acquistare fama e prestigio: conosceva gli italiani, sapeva che avrebbero afferrato al volo la maldicenza per risparmiarsi la fatica di fare i conti con la vertiginosa profondità di Leopardi. Non ha importanza chi riprenda, oggi, la maldicenza di Tommaseo: carte che ci arrivano come se non avessero un nome in calce, come il manoscritto che Stella inviò a Leopardi.

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