“A me m’ha rovinato la guerra”. Lo diceva Petrolini nella macchietta di Gastone, e l’ha ripetuto Alberto Sordi del ’59 in un film di Mario Bonnard, ribadendo e aggiungendo negli anni successivi ” A me m’ha rovinato a guera e le donne”.
Un tormentone lungo cinquant’anni di storia italiana, una presa in giro che svela gli alibi e le bugie che coprono pigrizie e insuccessi , aspirazioni arenate o il venire alle corde delle personali mitomanie. E non è un caso che la frase abbia avuto un lungo successo appannatosi solo negli ultimi due decenni a causa della mancanza di conflitti mondiali.
Però abbiamo pronto il sostituto. “A noi c’ha rovinato la globalizzazione”. Lo si sente già incipiente nei discorsi, aspetta il suo Petrolini o il suo Sordi. Verdone è avvisato: ormai qualsiasi cosa derivi da responsabilità di governo, da incoerenza della politica, dalla rinuncia a qualsiasi ideale, è colpa della globalizzazione.
Ieri è stato davvero interessante sentire Chiamparino e la Moratti che dovrebbero essere su fronti opposti, sostenere l’apertura dei negozi il 1° maggio e farlo con l’argomento che ormai bisogna adeguarsi alla globalizzazione. Così se per i dikat di Marchionne la scusa della globalizzazione era sbagliata, ma plausibile, per i negozi ci avviamo decisamente verso il ridicolo. Ancora un passo e siamo al comico.
Mi chiedo perché in questo Paese, l’infingimento, il pretesto, l’appello a istanze superiori debba essere così radicato nelle modalità della politica. Vogliamo dirlo come mangiamo? Gli esercenti vogliono tenere aperto il primo maggio perché i loro affari si sono ridotti di molto anche grazie al governo di cui sono peraltro i maggiori elettori e si attaccano anche a un giorno di festa per incassare qualcosa. Non sono più disposti a regalare qualcosa nulla ai simboli e a un qualche ideale.
Forse detto così questi piccoli squallori della seconda Repubblica, sarebbero più comprensibili, persino più veniali. Ma sarebbe una sconfitta anche per i politici che hanno ridotto il Paese ad essere un fascio di miserabili egoismi i quali si aggrappano persino a una giornata di festa. E così si inventano la globalizzazione, nemmeno il turismo che forse ci andava più vicino. No, dicono la globalizzazione per non dire l’impoverimento del Paese. Dicono la globalizzazione perché ormai hanno deciso che non sono gli errori di un intero ceto dirigente ad aver creato il declino, ma un qualche impersonale Leviatano da opporre a speranze e dignità considerate come un retaggio del passato. Quasi un fastidio.
Non vorremmo che a Shangai scoppiassero tumulti per essere pronti ad andare a far shopping a Torino il primo maggio, ma certo considerare pragmatico uno che tira in ballo la globalizzazione con le aperture dei negozi il primo maggio, è lo stesso che considerare premier un barzellettiere. Il fatto è che senza ideali, non si riesce nemmeno ad essere concreti.