Un nuovo appuntamento con le interviste
“10 domande a…”. Edoardo Perri, che
con Dario Riva è l’anima di Whomade,
risponde alle nostre domande regalando
ai lettori di desperate_design la sua “ricetta”.
1.Com’è stato il tuo approccio iniziale al design? E come ti definisci? Direi didattico e molto istintivo assieme, un po’ come il mio carattere, istintivamente ordinatore, metodico, costruttore. Vivere il progetto di design, quindi, è per me un po’ come fare ordine, dis-ordinare per poi riorganizzare alla ricerca di una nuova comprensione e per sincero piacere personale.
2.Raccontati in 3 oggetti – non necessariamente progettati da te
La super-sedia, “normale, leggera, sottile, conveniente” di Giò Ponti per Cassina, Superleggera, in legno di frassino laccato bianco e canna d’india, “che più sedia non si può”.
L’objet trouvé ri-progettato nel susseguirsi di fatti poco noti e reinventato dall’immaginazione per usi poco consueti.
3.Definisci “design”: es.un approccio più intelligente alle cose? forma e funzione? estetica di livello?
Penso che al di là di tutte le sue definizioni ed accezioni, “design” debba rimanere e rimarrà sempre per sua costituzione una grande sfida contemporanea. E lavorare seriamente nelle “tensioni” della contemporaneità significa dare un senso e una direzione al futuro.
4.Il grande “maestro” che ha influenzato la tua opera – modelli a cui ispirarsi
L’artista americano Alexander Calder con il suo “Cirque Calder” ed il sociologo Paolo Jedlowsky con, tra i suoi tanti scritti, “Il sapere dell’esperienza”. Architetto, il primo, di una esaltante ed emozionante visione del mondo e delle sue infinite particelle; progettista il secondo, capace di figurare lucidissimi concetti e complessi meccanismi sociali dell’oggi e del sempre.
http://www.ubu.com/film/calder.html
5.Come reinventare nuovamente forme e archetipi molto radicati (es. la sedia- la caffettiera)?
Intervenendo geneticamente sul dna dell’oggetto, nell’ottica dell’evoluzione dei contesti.
6.Il tuo approccio al progetto: forme, materiali, colori, tecnologie che prediligi
Prediligo le relazioni tra le componenti di un progetto e credo che la singola pedina giochi solo all’interno di un buon meccanismo di incastri tra le parti. In questo gioco di relazione includo sempre il valore che l’esperienza ha costruito dietro ciascuna forma, materiale, tecnica e le storie personali di chi, assieme a me, è necessariamente nel progetto: il committente, il produttore, il venditore, l’utilizzatore.
7.Design ecosostenibile: un’utopia? qual’è il percorso da seguire?
Per intraprendere qualsiasi percorso serve una visione allargata. Credo che senza questo guardar lontano sia inefficace operare nell’ottica di un nuovo paradigma eco-logico e sostenibile. Gli oggetti sono una manifestazione di forme sociali ed allo stesso tempo sono capaci di dare forma e plasmare nuove logiche. Non un’utopia quindi, ma la giusta prospettiva: quella di un’etica e pratica del design inserite in una visione di società e socialità evolute verso un rapporto più simbiotico con l’ambiente.
8.Tutela del made in Italy o produzione globalizzata? pro e contro
Tutela del lavoro, della cultura, dei saperi legati alla produzione indipendentemente dalle logiche di nazione ma soprattutto mentalità e consapevolezza globale unita a personalità e saperi territoriali. Made with Awareness.
9.Il progetto dei sogni non ancora realizzato
Una mostra su come il linguaggio disegna e dà forma alle cose, prima ancora che queste ultime prendano consistenza e matericità. Language Matters.
10.Ricordando gli insegnamenti di Munari (anche il cibo è design) – una tua ricetta/progetto
“Parla come mangi” è un inno alla spontaneità e alla libera espressione personale. Qualche anno fa, in un simposio estivo sul design al quale ero stato invitato a portare un contributo, ho provato a giocare sul tema. Ve lo ripropongo, provare per credere.
Chiamate a raccolta un folto gruppo di amici e preparatevi in questo modo per il pranzo estivo, in giardino, della domenica:
- intelaiate un bianco drappo di cotone a mo’ di tela (per otto persone vanno benissimo 200X90cm);
- sbarazzatevi della logica individualista e separatista del piatto e apritevi ad un’esperienza all’apparenza “invadente”;
- apparecchiate con sole posate e preparate una composizione di pietanze base alla “ognuno si servi” fatte girare di mano in mano: cous cous, supplì di riso, polpette di carne prepareranno la base per i colori;
- proponete a contorno e condimento: i toni scuri variopinti della caponata di verdure, il verde del pesto con pinoli, il rosa pastello dell’hummus di ceci, la salsa piccante al pomodoro e, al pizzico, il rosso peperoncino, il giallo curcuma, il verde della menta secca e i bruni dei semi di sesamo tostato:
- la tela è pronta, la tavolozza imbandita… pennello a quattro punte e spatola affilata alle mani, ora preparatevi a condire: potrete cominciare così il vostro “olio su tela”.
E’ difficile spiegare la sensazione di servirsi un pranzo su una tavola senza i limiti imposti dai piatti, dove cibo e gestualità nel mangiare guidano un disegno che man mano diventa comune e comunitario, rompendo le righe tra i commensali per giocare, con gusto, in un vero e proprio happening.
Al mio tavolo, quando lo misi in scena, tutto fu mangiato e tutti ebbero a digerire felici ed appagati.