Quando in un film la vera istanza narrante viene
rappresentata dall’immagine, la forza espressiva derivante da questo meccanismo
appare prorompente già dai primi fotogrammi. È questo il caso di “Au plus près
du soleil”, dove la camera a mano segue frenetica i personaggi immersi in una
vicenda che vede saltare gli ingranaggi sociali e personali di quest’ultimi.
La trama ruota attorno a due coniugi – rispettivamente magistrato lei ed avvocato lui – con un figlio adottato al quale viene nascosto il fatto che la madre naturale sia l’accusata di un’istruttoria condotta dalla madre adottiva. Tutti i tasselli, in tal caso, vengono aggiunti gradualmente fino a raggiungere un livello di tensione che procede parallelamente al processo di agnizione edipico che riguarda i genitori adottivi e la madre, mentre il ragazzo continuerà ad essere tenuto nella teca di vetro dell’ignorare – interessante da questo punto di vista la scelta di renderlo un personaggio marginale, sempre vittima e mai parte attiva delle azioni mostrate -.
La cosa che più stupisce del film di Angelo, al di là della bellezza delle immagini, è lo stato di angoscia mista ad eccitazione che il pubblico avverte sempre più pesante nel giungere al momento dell’incesto che, inevitabilmente, disintegra la morale comune e fa ardere l’ipocrisia di chi guarda. Antonio Romagnoli
