Magazine Diario personale

100$ per un amore

Da Astonvilla
100$ PER UN AMORE
L'Havana Club mi accolse con tutto l'assordante rumore che poteva. Luci stroboscopiche, effetti neon e psichedelici, facevano da cornice ad una popolazione di turisti arrossati dal sole e a cubani che ballavano con un ritmo impossibile da imitare. C'era una specie di arena centrale delimitata da una serie di ballatoi e scaloni a scendere. Proprio nel mezzo, si accalcavano i migliori ballerini di salsa e merengue che io avessi mai visto prima. La musica underground si miscelava sapientemente con ritmi dal sapore tropicale rimixati appositamente per le discoteche. E tutto questo, senza uno stridente contrasto tra le differenti fonti di musica. Guadagnai un posto da dove, comodamente seduto, potevo godermi la scena, mentre Fidelia mi seguiva docile come un cagnolino ammaestrato. "Quiere bailar?" mi disse urlando per farsi capire. Al mio cenno di rifiuto aggiunge "Ti dispiace se io ballo un poco?" e senza attendere la mia risposta si gettò nella mischia. Movenze sensuali danzate ad un ritmo infernale animavano ora, il suo corpo. Era come se stessi assistendo ad una gara fra tutti coloro che stavano ballando in quel momento. La musica, davvero assordante, mi prendeva al cervello aiutata anche da un sapiente gioco di luci ed effetti che coloravano la regia di una serata come tante all'Havana Club. Frammenti di danza, volti apparentemente famigliari, sapori ed umori di alcol e sudore, tutto si confondeva in un magma di sensazioni indescrivibile, come in un videoclip musicale. Lei, Fidelia, era al centro della pista, competendo con altre stupende ragazze di colore. Tutti, comunque, ci mettevano l'anima per sfogare fame e disperazione repressa, mentre approfittavano dell'occasione fornitagli da qualche turista sicuramente interessato al dopo discoteca. Terminai di sorseggiare un mojito decisamente annacquato, quando Fidelia tornò da me. "Ti diverti?" le dissi con tutto il fiato che avevo in corpo. I suoi occhi brillavano di gioia e sorridevano mentre aveva iniziato a bere un succo di mango gelato. "Che vuoi fare, dopo?" mi chiese. "Non lo so...ne parliamo quando avrai finito di ballare" urlai. Si gettò nuovamente tra la folla sudata. Osservai l'ora constatando che erano da poco passate le tre e mi sentii improvvisamente stanco. M'avvicinai al bancone del bar per bere qualcosa ma dovetti vincere l'assalto di due ragazze che, mi avevano proposto una calda notte d'amore. Era proprio un luogo dove l'italica stirpe aveva multiple possibilità per immedesimarsi in Rodolfo Valentino. La mia curiosità e le considerazioni elucubrate in rapida sequenza, avevano lasciato spazio ad una leggera emicrania accompagnata dalla voglia di rientrare in albergo. Non riuscivo più a vedere Fidelia mentre il nordista si era già eclissato con una ragazza già da tempo. Uscii dalla discoteca deciso a trovare un taxi per rientrare in albergo ma, all'uscita, un nugolo di ragazze mi si avvicinarono decise a piazzare la loro presenza.
"Italiano!" era Rayko. "Vuoi una casa? Dov'è Fidelia?" chiese con estremo interesse. "E' restata a ballare, credo" ribattei con un pò di noia. "Non ti piace? Vuoi conoscere altre chiche? Ho tante amiche che sono libere e felici di stare con te..."continuò. "Rayko -risposi- sono stanco e non voglio conoscere ragazze stanotte, anzi, mi piacerebbe rivedere Fidelia, se possibile, ma non adesso..". Il cubano mi sorrise "Sapevo che ti sarebbe piaciuta. E' molto bella, e poi non è una vera jinetera. Domani mattina verremo a trovarti sulla spiaggia" e con un gesto rapido attirò l'attenzione di un particular che, pigramente, si avvicinò. "Dagli solo tre dollari e ti lascia a 50 metri dall'albergo. Buena noche italiano..".
Un sole appannato da una teoria di nuvole quasi minacciose, accese la giornata. Era tardissimo e non ero ancora del tutto sveglio neppure dopo una lunga doccia. C'era qualcosa di strano che avvertivo in me ma che non sapevo identificare. Scesi al bar e, dopo aver bevuto un caffè quasi italiano, m'incamminai verso il mare. D'un tratto ricordai di Fidelia e della notte appena passata. Ecco cos'era quella sensazione: l'emozione per un incontro, sollecitato dalla mia voglia di conoscere quella ragazza. Mi si attorcigliarono le budella e rimasi con me stesso a fare una introspezione dei miei desideri. Cosa stavo cercando? Sicuramente mi attraeva fisicamente ma non desideravo comprare il suo amore. Stavo dando delle giustificazioni alla speranza di potere avere un relazione normale con lei? Ma perché quest'isola e tutti i suoi abitanti erano così complicati? Ripassavo mentalmente il discorso fattomi dal nordista il giorno prima. Forse, lui non si faceva più degli scrupoli o, comunque, sapeva come agire in queste situazioni. Ero giunto sulla spiaggia. Una deliziosa fila di ombrelloni di paglia cucivano una zona d'ombra che si adagiava sui lettini già sistemati. Il piccolo chiosco dov'era possibile bere e mangiare era già aperto. Alcuni turisti stavano prendendo il sole che non c'era e molta gente giocava nell'acqua trasparente. Il mare dei Caraibi aveva un colore verde smeraldo che sfumava in mille tonalità in celestino per poi divenire trasparente vicino alla riva. Sul bagnasciuga vidi Rayko in compagnia di Fidelia. Fece dei grandi gesti per salutarmi. "Italiano..pensavo che non venissi più. Ecco, ti ricordi Fidelia?" ed allargò il braccio destro a semicerchio come si usa nei bazar orientali per far vedere la propria mercanzia. Fidelia sorrise dolcemente e mi salutò. "Dove eri finito? Ti ho cercato per l'Havana Club ma non c'eri più" disse con una vocina sconsolata. Pareva che mi conoscesse da sempre e che il no avermi trovato la sera prima, fosse stata la disgrazia più grande che le potesse capitare.
"Ero stanco ed anch'io non ti ho vista più" dissi con una punta di imbarazzo. Ma perché mi dovevo giustificare con lei? Qual'era lo strano meccanismo che mi faceva sentire in colpa? In fondo, neppure la conoscevo e tanto meno le avevo promesso nulla."Amigo -interruppe Rayko- io devo andare a Cardenàs ora. Ti lascio Fidelia: fate amicizia ma ricordati che non può salire in camera tua in albergo. E' vietato". Poi disse qualche frase in un dialetto che non compresi e se ne andò.
"Cosa facciamo?" chiese sorniona. "Sei tu la cubana -risposi- io non so cosa proporre. Decidi tu per tutti e due...". Aggrottò un pò le ciglia come per farsi venire una idea e poi si rivolse a me "Andiamo a Matanzas. Prendiamo un carro, conosco un posto dove possiamo mangiare aragoste e gamberoni in tranquillità" e così dicendo si mise sottobraccio conducendomi verso il parcheggio dell'albergo.
La Chevrolet filava regolarmente a quaranta chilometri all'ora. L'inconfondibile odore del carburante penetrava dentro l'abitacolo ed usciva attraverso le portiere dai finestrini abbassati. Il ragazzo che faceva da autista era amico di Fidelia. Per combinazione, mi spiegò, lo aveva trovato fuori dell'albergo e, quindi, lo aveva impegnato per tutta la giornata con un compenso di cinquanta dollari. Sarebbe restato tutto il tempo con noi per evitarci il fastidio di trovare un'altra auto per il ritorno. Rimuginavo sulla ragnatela di interessi e relazioni commerciali che dovevano regnare sull'economia del socialismo reale. Arrivammo a Matanzas fermandoci di fronte ad una casetta vicino al mare. L'acqua aveva un colore anonimo e non pareva di essere ai Caraibi. Fidelia scese dall'auto mentre il nostro autista rimase seduto al posto di guida. "Scendi, siamo arrivati" mi disse perentoria. "E lui?" le chiesi indicando con la testa il ragazzo della macchina. "No problem. Fa la guardia alla sua auto e poi andrà a mangiare un perro caliente qui vicino. Dai, vieni con me... tienes miedo?". "Cosa dici? Non capisco..." e dicendole questo la raggiunsi. "Miedo è paura, perro caliente è hot dog. Capito?" e sorrise nuovamente. Era proprio bella e dolce. Chissà cosa nascondeva quella dolcezza e se era proprio autentica. Decisi di non angustiarmi la giornata da sterili considerazioni che mi facevano sentire sempre più solo in quella Cuba così singolare. Fidelia bussò alla porta della casetta bianca. Ci aprì una matrona negra dai crespi capelli grigi. "Bienvenidos da mama Estrella" disse allargando le labbra e mettendo in mostra denti gialli da accanita fumatrice. Entrammo all'interno di una spaziosa camera che fungeva da salone. Un tavolo rettangolare era già apparecchiato con una tovaglia di un colore rosa pallido che doveva aver visto giorni migliori e da un pretenzioso servizio di ceramica bianca tutto orli e bordi. Un penetrante odore di cucina assalì le mie narici. Il vecchio televisore era acceso e sintonizzato su Cubavision dove stavano trasmettendo un programma di cartoni animati. Ci sedemmo su di un divano di finta pelle verde alquanto appiccicoso. "Ti piace?". Mi guardai attorno rispondendole "Veramente devo ancora capire..." risposi. Fidelia aprì il suo sorriso e fece brillare i suoi incantevoli occhi neri. Appeso alla parete più ampia troneggiava un grande ritratto di Che Guevara. "Che ne pensi di Guevara?" chiesi a bruciapelo per trovare un qualche argomento che mi mettesse fuori dall'imbarazzo che stavo provando. "Era bravo" rispose senza entusiasmo. Poi aggiunse "Mama Estrella lo ha conosciuto...". Un piccolo fremito scosse il mio corpo. Mi portavo appresso, infatti, l'idea mitizzata dell'eroe della libertà. Quell'idea iconografica che tanti giovani aveva conquistato fin dalla fine degli anni sessanta e per tutti i settanta, cioè, fino a quando l'interesse per la politica attiva aveva coinvolto tutto il mondo giovanile. Dopo, il riflusso ed il ristagno delle idee, la paura del terrorismo, la noia emanata dalla televisione, la sterilità delle conquiste ottenute avevano abbattuto lo stimolo del credere su dei valori portati dall'attivismo politico e, ad una ad una, erano cadute le stelle che avevano infiammato il cuore di molti giovani: Mao, Lenin, Marx. Ma resisteva, comunque, il mito del guerrillero heroico. Resisteva il volto del "Che" che ancora sventolava su bandiere rosse e campeggiava su t-shirt stampate in Thailandia e vendute in tutti i mercatini del mondo. Avevo una mia idea a proposito di quell'uomo. Sin dal mio arrivo a Cuba avevo osservato, e non si poteva altrimenti, che la sua figura era presa e mercanteggiata in ogni occasione: magliette, bandierine, portachiavi. Per non parlare della famosa canzone Hasta Siempre che, per ogni dove, dai locali per finire sulle spiagge, era cantata e suonata a favore dei turisti. Insomma, quello che avevo sempre pensato a proposito della sua figura, si era sbriciolato come mollica vecchia, di fronte alla constatazione dei fatti di cui ero stato testimone: Ernesto Che Guevara era solamente un buon conduttore per fare soldi. Mama Estrella entrò nelle mie considerazioni con una fiamminga sulla quale troneggiava un'aragosta arrostita. Successivamente ampliò il nostro pranzo con piatti di congrì, insalata e banane fritte. Fidelia guardava divertita e compiaciuta il lauto pranzo, non dimenticandosi però, di sbirciare dalla mia parte per osservare le mie reazioni all'arrivo di ogni pietanza.
"Dal momento che dovevamo mangiare, ti ho portato da Mama Estrella perché cucina bene ed è pulita. Ti piace?" chiese. Sorvolai sul fatto che tutto mi sembrava ben programmato da Rayko. Ero un turista e dovevo convincermi del fatto che tutti avrebbero cercato di sfruttarmi fino alla fine. "Si. L'ambiente è tranquillo. Però, dopo pranzo, vorrei parlare con Mama Estrella per chiedergli qualcosa sul Che. Posso?". Fidelia sorrise, annuendo con la testa. Aveva iniziato a riempire il suo piatto con delle incredibili porzioni di cibo, mischiando il tutto in modo da rendere il più possibile, omogeneo il suo pasto. La televisione, nel frattempo, aveva finito di funzionare e la padrona di casa stava armeggiando sui manopoloni per cercare una improbabile riparazione. Dopo avere brigato un pò, la vecchia matrona riuscì a sintonizzare la tv su Tele Rebelde che stava trasmettendo un documentario su Josè Martì, il famoso poeta rivoluzionario dell'800 che tanto aveva fatto per l'indipendenza di Cuba. Continuai a mangiare rivolgendo, ogni tanto, il mio sguardo su Fidelia. Cosa stavo cercando? L'atmosfera che si era creata era falsa. Tutto era stato programmato con meticolosa cura dei particolari. Era come un gioco. Loro sapevano che io sapevo, ma tutto questo non aveva nessuna importanza. Mi trovavo per la prima volta in una casa particular a mangiare un pranzo particular e tutto accompagnato da una splendida jinetera. Sapevo che sarei finito a letto con lei ma non accettavo di ottenere quello che desideravo in quel modo. L'aroma del caffè Cubita, aleggiò per l'aria umida e calda della casa seguito da Mama Estrella che entrò nella stanza con un minuscolo cabaret con due tazzine. La vecchia negra, dal volto imperturbabile, lasciò tutto sopra il tavolo sparecchiando abilmente i piatti ormai vuoti, delle pietanze. Fidelia avvicinò la tazzina alla bocca ma non bevve. Mi guardò incuriosita chiedendomi "Non ti diverti?" ed attese la mia risposta. Accesi meccanicamente una sigaretta. "Il problema non è questo. Sto bene insieme a te. Solo che vorrei stabilire un rapporto differente, mi capisci?" le chiesi aspirando la prima boccata di catrame. Lei rimase stupita ed interdetta. "Non ti piaccio?" disse mentre allargava i suoi occhi da cerbiatta ferita. "Moltissimo" replicai sinceramente. Si alzò dalla sedia e, girando attorno al tavolo, venne da me cercandomi la mano. "Vieni" disse. Intimidito mi lasciai guidare verso la camera da letto. Un vecchio condizionatore rinfrescava sufficientemente l'ambiente modesto: un letto quasi matrimoniale, due comodini di legno chiaro consunti dalla salsedine, un piccolo comò con uno specchio appeso alla parete, una sedia. Fidelia chiuse le imposte realizzate come si usa a Cuba, da piccole assicelle di legno comandate da una guida laterale. La stanza piombò nella penombra e, con mosse calibrate, iniziò a spogliarsi: prima della minigonna rossa, poi del bolerino elasticizzato nero che indossava la sera precedente. Restò semplicemente vestita con un minuscolo perizoma nero. Mi sdraiai sul letto continuando ad osservarla. Era stupenda. Il corpo proporzionato e ben fatto, era inguainato dalla sua pelle vellutata. Nella poca luce, riuscivo a decifrare il suo sorriso sicuramente abituato a vedersi specchiato nella bramosia che suscitava verso i turisti che si erano trovati nella mia stessa situazione. Candidamente mi chiese "E tu non ti spogli?" e si gettò al mio fianco. Una miriade di pensieri affollarono disordinatamente la mia mente. La strinsi vicino a me. Sarebbe stato bello se fosse stata la mia ragazza, pensai con un certo senso di disagio.
"Fidelia...tu mi piaci moltissimo e mi attrai tanto. Il problema è che vorrei riuscire a stare con te, se tu veramente lo desideri. Cioè -dissi confuso- non ti voglio avere solo perché posso darti dei dollari per farlo. Mi capisci?". Lei mi osservò divertita. "Ma che problema c'è? Se ti piaccio possiamo fare l'amore. Hai i preservativi" chiese diretta.
"Fidelia, forse non hai capito -continuai- io desidero conoscerti, stabilire una relazione normale, senza comprarti...". Le accarezzai dolcemente il viso incorniciato dalle lunghe treccine. "Se non ti piaccio -fece quasi piagnucolando- potevi dirlo a Rayko...avrebbe trovato un'altra cugina che ti andava bene...forse bianca" e così dicendo si raggomitolò su se stessa, fuggendo dalla mia stretta. Mi sentivo come un animale in gabbia. Mi piaceva e la desideravo ma non accettavo quel modo di conquistarla. Mi faceva tristezza credere che lei, forse, stava soffrendo a causa del mio atteggiamento. Avevo cercato di spiegarle le che non si trattava di un problema di bellezza o di preferenze ma solo un modo diverso di vedere le cose. Accesi un'altra sigaretta mentre continuavo le mie considerazioni, pensando a quanti turisti avevano fino ad allora rinunciato alle sue grazie. Mi venivano in mente il romano ed il nordista. Chissà se al mio posto avrebbero avuto i miei stessi scrupoli. Cuba, ancora mi stupiva. Fidelia si stava rivestendo delusa come deluso trovai lo sguardo di Mama Estrella quando mi vide oltrepassare la porta della camera da letto, per raggiungerla nella minuscola veranda, dove si faceva cullare da una antiquata sedia a dondolo. Le sedetti accanto. "Fidelia mi ha detto che ha conosciuto Guevara..." dissi scandendo bene le parole affinché mi capisse. "Fuè un hombre muy heroica. El Che amava la gente. Me intiende senor? Si tu quieres yo te hablo en italiano..conosco un poco la vostra lingua" e tossì. "Dimmi Estrella...quando lo ha conosciuto?" chiesi."Agli inizi degli anni sessanta quando era Presidente del Banco Centrale. Io lavoravo al Ministero e ci fu una assemblea per premiare quelli che avevano ben lavorato per lo stato. Io ero stato premiata e il Che mi consegnò una medaglia. Quanto era bello...". Si alzò all'improvviso e tornò subito dopo con una sbiadita foto in bianco e nero che mi allungò. Si vedeva Estrella trenta anni prima, più magra, mentre stava ricevendo il premio ed una stretta di mano dal Che. Lui, il mito, l'eroe, era vestito come sempre appare: divisa militare, pistola nel cinturone, basco nero. Ma dalla foto si leggeva un sorriso aperto, umano, cordiale. Sentii una emozione forte e continuai il mio interrogatorio. "Com'erano quei tempi?". La vecchia continuava a farsi dondolare dalla forza di inerzia. Fidelia apparve alla porta e ci raggiunse sedendomi sulle ginocchia. "Era tutto bello. El pueblo, credeva nella revolucion e lavorava duramente. Stava per finire l'analfabetismo e gli ospedali funzionavano nonostante el Bloqueo yankee. C'era molta speranza nel futuro ed i russi mandavano aiuti e dollari. Il Che aveva chiesto uno sforzo per aumentare la produzione della zafra. Si creò il lavoro volontario che veniva svolto nei momenti liberi. Ogni CDR reclutava companeros che, alla fine del loro turno di lavoro e nelle giornate di festa, andavano ad aiutare i millioneros, cioè i raccoglitori di canna da zucchero, nella loro raccolta. Tutto però era gioia e speranza e questo grazie a Fidel e al Che, che avevano acceso nel popolo la scintilla della dignità nazionale". Emise un sospiro carico di nostalgia e ricordi e s'accese una sigaretta senza filtro. Poi continuò "Il problema oggi, è la povertà. Nessuno aiuta più la nostra isola. Fidel deve lottare contro tanti nemici: i nordamericani, i cubani di Miami, il Fondo Mondiale, l'ONU. Tutti i capitalisti sono contro di noi e oggi, sena più sostegni materiali, ci troviamo in una situazione molto difficile. A noi vecchi, non ci fa paura. Abbiamo vissuto sotto la dittatura di Batista e la rivoluzione. Abbiamo vinto il banditismo della Sierra e lo sbarco controrivoluzionario della Baia dei Porci, sempre portando avanti le nostre idee. Non c'è più analfabetismo a Cuba. Ci sono Ospedali e policlinico per tutta l'isola. Il popolo gode dell'assistenza della libreta. Quello che mi preoccupa sono i giovani. Non hanno conosciuto tutto questo. Vedono solo i divertimenti e amano copiare le mode e gli usi che vedono dai turisti. A Cuba c'è anche la libertà di non lavorare...sarà la fine di un sogno". Uno scheletrico gattino attraversò il campicello desolato che ci stava davanti, cercando tra la spazzatura qualcosa da mangiare. "E adesso qual'è la soluzione?" le chiesi fissandole il volto rugoso ma pulito. "Combattere siempre l'imperialismo. Finché ci saranno Fidel y Raul, Cuba sarà sempre libera dal capitalismo". Inalò una buona dosa di ossigeno come per convincersi delle sue ragioni e continuò "Purtroppo, il periodo speciale è duro per tutti. E tutti si sono organizzati per guadagnare qualche dollaro dai turisti anche se va contro la logica del comunismo. Ma i giovani sono attratti da altre cose e non sanno bene che così, finiranno per complicarsi la vita". Fidelia si strinse a me cercando di comunicarmi qualcosa con il solo tatto. "Ho sete" disse ad un tratto interrompendo i ricordi di Mama Estrella. La vecchia s'alzò faticosamente andando in cucina e lasciandoci soli.
"Non ti annoi?" chiese con una smorfia. Con quella sua domanda mi aveva fatto comprendere di sentirsi esclusa da quella mia ricerca di verità; voleva rimpossessarsi di me e delle mie attenzioni. Estrella tornò con due bicchieri di birra e ci lasciò soli. Aveva afferrato il non troppo oscuro messaggio lanciatole da Fidelia. "Se ti interessa, possiamo tornarci un'altra volta". Annuii con la testa e l'accarezzai dolcemente. Era la mia illusione "Fidelia, vorrei che noi ci conoscessimo meglio. Mi piacerebbe che tu restassi con me per il tempo che mi resta da passare ancora a Cuba". Lei sgranò gli occhi guardandomi incredula "Sicuro? Non è uno scherzo -domandò sorridendo -Se tu vuoi posso restare con te nel tuo albergo ma devi pagare per un'altra persona". "Ma se Rayko mi ha detto che non è possibile...."risposi. "Lui pensava che tu non volessi pagare l'albergo anche per me, ma se vuoi, puoi andare alla reception e pagare...Veramente vuoi?".
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