Magazine Diario personale

100$ per un amore

Da Astonvilla
100$ PER UN AMORE
Lasciai cinquanta dollari a Mama Estrella, anche se il prezzo era decisamente inferiore, contento di quella giornata promettendole di tornare a farle visita. L'entusiasmo di conoscere Fidelia aveva preso il sopravvento sulla mia razionalità e la possibilità di averla ospite fissa per il resto del mio soggiorno mi aveva alquanto eccitato lo spirito. Mi trovai a recitare la parte del turista scemo al direttore dell'albergo, il quale aveva minuziosamente controllato il documento di identità di Fidelia e pretesa il pre pagamento della sua quota, infine emettendo una specie di tesserino col quale si certificava che Fidelia Zunigo Eccevarria era una cliente dell' hotel fino al successivo sabato. Eravamo in precedenza passati a Cardenàs, nella casa in cui viveva Fidelia, a prelevare le sue cose raccolte alla rinfusa in una piccola borsetta da viaggio che, svuotò diligentemente, una volta messo piede nella mia camera.
"Ti amo!" disse raggiante uscendo dal bagno dopo essersi fatta una doccia ristoratrice. Mi venne da sorridere, pensando all'incongruenza di quella frase che suonava così artefatta, ma non volevo deluderla: dovevo continuare ad indossare il ruolo di chi fa finta di non capire di essere l'oggetto del desiderio. Ci sdraiammo sul letto ed accesi la radio già sintonizzata su Radio Taino, l'emittente cubana dedicata ai turisti, da dove s'irradiavano musiche di salsa e merengue. La camera che ci ospitava era fresca grazie ad un buon condizionamento dell'aria. Mi sentii, all'improvviso, gratificato da quella situazione. Ma mentre riflettevo, Fidelia si avvicinò teneramente e mi baciò. Fu l'inizio di un incredibile amplesso che più si srotolava nel tempo, più assumeva contorni decisamente eccitanti tra una miriade di sensazioni ed umori selvaggi. Tutta l'anima caraibica di ceppo africano, era riassunta in lei che la dimostrava pienamente con mosse, gridolini, sembianze giocose e voglie represse. Alla fine, stremato, mi lasciai andare addormentandomi abbracciato al suo corpo. Quando mi svegliai, Fidelia dormiva ancora. Accesi una sigaretta pensandomi di non essermi affatto sottratto al ruolo che non avrei voluto ricoprire e, cioè, quello del bieco sfruttatore di situazioni. Cercavo una giustificazione plausibile a quanto era accaduto. Lei mi piaceva, amavo quell'isola, avevo delle dolci idee su un mio probabile ritorno. Mi domandai se non avrei potuto sviluppare un qualsiasi progetto che mi legasse per sempre a quei valori che mi erano sconosciuti in Italia, in fondo, qualsiasi amore aveva pur un inizio e quello, poteva essere il mio con lei. A quel punto mi sorpresi a pensare ciò che rappresentavo per Fidelia ma non m'illudevo troppo: ero sempre un turista con i dollari. Fu con quell'ultimo pensiero che spensi rabbiosamente la sigaretta e mi chiusi in bagno per fare una doccia.
Il ristorante dall'albergo era pieno di turisti e camerieri. Eravamo l'unica coppia mista e stavamo suscitando una certa curiosità. Osservando attentamente i turisti, percepivo che quasi tutti i loro discorsi erano accentrati su di noi. La bellezza della ragazza, l'idea che potesse essere una qualsiasi prostituta, l'anomalia della situazione: tutto contribuiva al formulare di mille e più domande e discussioni che s'intrecciavano tra i clienti, tra una pietanza ed un'altra. Il personale cubano, cuochi e camerieri, osservavano con estremo disgusto il nostro tavolo. Era fuori luogo che una loro compagna potesse stare con un turista in quella situazione. Le jinetere erano disprezzate da tutti perché rifiutavano quasi tutti i rapporti sociali con i cubani. Vivevano in un mondo a parte, dove i soli valori erano rappresentati dai turisti conquistati, dai divertimenti rubati, dai dollari guadagnati e dai benefici che potevano trasmettere ai famigliari più prossimi. Tutto il resto non contava più di tanto. Fidelia non cercava di sfuggire a quella insolita scena. Anzi, la divertiva e cercava, sempre di più, di evidenziarsi solo per il gusto della provocazione. All'inizio ero alquanto impacciato. Mi sentivo al centro dell'attenzione generale, guardato a vista da tutti, poi mi abbandonai al gioco che lei aveva cominciato. Iniziavo a prenderci gusto nel ridere di tutti quei turisti che si affannavano a giudicarci. Quanto poi, al personale di sala, seppur dispiaciuto per il loro comportamento gentilmente ostile, non ci prestai più attenzione sorvolando, in quel modo, di pormi qualsiasi problema. Ad un certo punto della cena Fidelia disse "Quanto sono stronzi. Guardali i cubani...sono invidiosi di te perché tu mi hai ed io posso mangiare quello che voglio!" "E i turisti?" le chiesi. "Stronzi uguale. Pensano che io vada con tutti per soldi ma non è così. Devi sapere che sono io che scelgo con chi stare" rispose seria. "Perché, tu mi hai scelto?" le rimandai. ""Claro! Ti avevo visto in spiaggia da solo. Mi sei piaciuto ed ho chiesto a Rayko di presentarmi a te" rispose continuando a mangiare delle fette di banana fritta. Cercai di ricordarmi di lei facendo un rapido fashback ma nulla affiorò dalla mia memoria. Continuai. "...E quando mi hai visto?". Si pulì le labbra col tovagliolo e confessò "Tu sei arrivato sabato scorso e ti ho notato quando stavi in attesa delle chiavi della tua camera. Poi, anche la domenica mattina, quando hai fatto una passeggiata in riva al mare..poi, il lunedì mentre eri...". La interruppi "Insomma, mi hai seguito?". "Qua a Cuba, le ragazze cercano di fare delle conoscenze. E' molto importante l'aspetto ma anche il comportamento del turista. Tu sei sempre stato molto gentile con Rayko, poi non hai voluto ragazze da singare e ho capito che mi piacevi" aggiunse. "E sono stati molti quelli che ti sono piaciuti in passato?" chiesi. Abbassò gli occhi non rispondendo a quella stupida domanda. Mi morsi le labbra pensando a quanto fossi stato indelicato. Due lacrime solcavano ora quell'incantevole viso, sgorgando dai suoi occhi umidi. Si schiarì la voce e prendendo le chiavi della stanza si eclissò lasciandomi solo con i miei stupidi pensieri. L'uscita improvvisa di Fidelia dalla sala ristorante provocò una ulteriore interesse alla curiosità quasi sopita dei commensali, ormai abituati alla nostra promiscua presenza, i quali trovarono un altro spunto di conversazione. Dopo aver firmato il conto, raggiunsi il bar,posto al centro della piazzetta dell'albergo. Il nordista stava sorseggiando un Cuba Libre, fumando l'immancabile Avana. Vedendomi mi salutò come fossi un vecchio amico."Conquiste?" chiese sorridendo. Gli raccontai di quello che mi era accaduto a partire dalla serata dell'Havana Club in poi, dettagliando il mio stato d'animo a proposito della mia relazione con Fidelia senza rendermi conto del nervosismo che mi stava salendo. Il nordista assorbì il mio sfogo con estrema attenzione continuando a centellinare il suo drink. Il mio era uno sfogo in piena regola e, man mano che parlavo, mi rendevo conto di stare a fare una vera autocritica a proposito delle false sensazioni che avevo provato. Alla fine mi sentii svuotato da quella lunga confessione.
"Il problema è che tu sei innamorato di una idea di bellezza che qui hai trovato in Fidelia. Per te, lei rappresenta la dolcezza, la dignità e la fierezza di un popolo, le sofferenze di molte generazioni che sono passate da una dittatura coloniale ad un regime di piattezza che doveva assicurare loro un benessere che non hanno. Tu trovi in questa situazione, quanto non puoi trovare in Italia, nel tuo lavoro, nei tuoi amici, nelle tue azioni quotidiane. Per te, Cuba, e per Cuba Fidelia, è uno sfogo alle tue repressioni più o meno larvate. Hai anche manipolato la tua voglia di essere, fintanto che ti sei illuso di vedere quello che volevi vedere ma sei sempre rimasto te stesso. Un esempio è la stupida domanda, atto di gelosia e possessività, che hai rivolto stasera alla tua novia. Cosa avrebbe dovuto risponderti? Che eri il suo unico e più grande amore? Fidelia è una jinetera e come tale ha vissuto e vivrà anche dopo la tua partenza dall'isola. Non puoi fare nulla per modificare la sua realtà". Sospirai, pensando a quanto avesse colto nel segno. Dimostrava di essere un buon conoscitore di Cuba e un ottimo psicologo. A me restavano tutti i problemi che mi ero creato senza sapere come risolverli. "Hai suggerimenti da darmi?" chiesi. Fece degli anelli di fumo mentre rimuginava, poi rispose "La tua donna dovrebbe essere come le altre ragazze cubane. Per loro, l'infanzia non c'è mai stata. Sono, quindi, come delle bambine non realizzate. Il mio solo consiglio è quello di regalagli una bella bambola con la quale, la tua novia, può giocare a fare la mamma. E' sicuramente meglio di un mazzo di fiori...il resto lo devi inventare tu, se tieni a scusarti con lei". Da lontano arrivava il suono della piccola orchestrina, che suonava canzoni melodiche a favore dei turisti che, immaginavo, ballare teneramente al ritmo del son cubano. Guardai il m io amico continuare a sorseggiare lentamente il suo cocktail e a ridere, con lo sguardo, del mio piccolo dramma. Lo salutai e mi avviai verso la tienda dell'albergo. Per mia fortuna la trovai ancora aperta e cercai, tra shampoo e magliette, una piccola bambola da regalare a Fidelia. Non c'era una grossa scelta, anzi. Rimediai solo un piccolo pupazzo di plastica che, nelle intenzioni, doveva assomigliare ad un neonato. Made in Hong Kong ed esportato da una ditta napoletana, questo recitava la targhetta. Non potevo pretendere di meglio per cinque dollari. Salendo la rampa di scale che mi conduceva alla mia camera, mi accorsi di come stesse battendo forte il mio cuore: era come andare al primo appuntamento con una ragazza. L'emozione, l'ansia, il desiderio e la paura si confondevano insieme, mettendomi una strana agitazione addosso. Cosa mi stava accadendo? Aveva ragione il mio amico nel dirmi che ero l'artefice di tutto questo guazzabuglio, oppure ero solo una vittima predestinata dalle circostanze? Fidelia aprì la porta della stanza. Indossava una minuscola vestaglia da notte molto lisa e stropicciata ma pulita. Senza dirmi nulla ritornò a sdraiarsi sul letto a vedere la televisione, sintonizzata su di un programma trasmetto da un canale satellitare. Le sedetti accanto iniziandole ad accarezzarle i capelli. Chiusi gli occhi: avrei voluto regalarle la luna ed invece avevo solo quello stupido pezzo di plastica stampato, nelle mie mani. "Scusa" le sussurrai e le diedi il piccolo giocattolo. Un gridolino di gioia ruppe quell'imbarazzato silenzio. "Per me? Ma è bellissimo amore..." e si impossessò del bambolotto. Era comico tutto questo. Fino a pochi attimi prima, regnava un'atmosfera pesante mentre adesso sembrava essere all'asilo materno. Fidelia giocava con il pupazzo rigirandoselo tra le mani mimando gesti antichi che si sviluppano tra mamma e figlio. Aveva acceso in lei l'interesse ed i suoi occhi brillavano di luce perforando il buio della notte e sorrideva con gusto mentre accennava nenie cubane:::
Le notti si erano alternate ai giorni. Andavo avanti con il mio rapporto con Fidelia. Avevo scoperto molte cose di lei: era una continua emozione lo starle vicino. Aveva un fratello di nome Jorge che stava facendo il servizio militare presso una caserma dell'Avana. Sua madre, Fanny Maria, era rimasta al paese natale: Moron, nella provincia di Ciego de Avila. Era separata dal padre di Fidelia e si era risposata con Hector, un brav'uomo che lavorava come netturbino e cercava di arrotondare le entrate con qualche piccolo lavoretto di giardinaggio nell'albergo della cittadina. Possedevano una misera casetta di pochi metri quadrati dove dovevano convivere, dividendo quello che non c'era. Il bagno non aveva acqua corrente e si doveva provvedere a questa, riempiendo i secchi; per il telefono si erano messi d'accordo con una loro vicina che dava la possibilità di ricevere le telefonate in cambio di qualche peso a chiamata; il mangiare era sempre rappresentato dal congrì; avevano una piccola televisione in bianco e nero dove vedevano, soprattutto, le telenovele per le quali andavano matti.Non c'erano topi ma, in compenso, regnavano le piattole. Per questi motivi, Fidelia aveva messo le ali per cercare fortuna a Varadero già da tre anni. Mi raccontò di come era stato difficile entrare a far parte delle jinetere e, con molta diffidenza, mi raccontò qualche episodio delle sue passate esperienze. "Vedi -disse- il mio sogno è quello di potermene andare via da qui ma è difficile. Qualcuno deve farti un invito all'Ambasciata, con questo io posso chiedere il passaporto ed il visto d'uscita. Ma il turista mi deve comprare il biglietto aereo e a provvedere al mantenimento per tutta la durata del mio soggiorno all'estero...non è facile trovare qualcuno che si impegni in questo modo. Il mio rimarrà per sempre un sogno...vedere altre città, altre genti..Roma, Milano, Cuneo..". "Cuneo?" la interruppi. "C'è una grande discoteca. Me l' hanno detto degli amici italiani che sono stati a Varadero in primavera" aggiunse. Anche lei aveva il suo sogno formato da speranze, come tutti. Mentre io sognavo di vivere a Cuba, Fidelia sognava di vivere in Italia. "Guarda -cercai di spiegarle- l'Italia non è come credi...c'è molta gente senza lavoro, molta senza casa...c'è razzismo contro gli immigrati specie quelli di colore...c'è il traffico, la delinquenza..". "Mangiate tutti i giorni?" domandò candidamente. Lì finì il mio intervento. Era stata logica e lapidaria, avevo molte cose ancora da imparare, ma avevo ancora due giorni prima del mio rientro.
L'aeroporto di Varadero era pieno di turisti allegri. Tutti esibivano con fierezza, l'invidiabile abbronzatura dei tropici che contrastava con le magliette bianche o colorate, acquistate nei negozi dei vari alberghi. Per tutti, un souvenir, un ricordo, un acquisto: bottiglie di rum, cappellini di foglia di palma intrecciate, manifesti, scatole di sigari. Alcuni erano allacciati alla giovane sposa con la quale avevano celebrato la luna di miele tutto compreso; altri erano gruppetti di amici che stavano finendo di raccontarsi addosso aneddoti ed episodi di conquiste coronate dall'immancabile successo. In disparte vidi altre coppie: italiani con le loro fidanzate cubane, com'eravamo Fidelia ed io. Lei aveva insistito per accompagnarmi all'aeroporto. Con gli occhi umidi ed il groppo in gola, le coppie miste si stavano giurando amore eterno e promesse mentre si scambiano tenere effusioni. Con una lattina di Tropicola strette nelle mani, Fidelia si era accucciata su di una stretta panca ed osservava il mio daffare per le procedure di imbarco. Non avrei voluto partire ma la mia vacanza era davvero conclusa ed era giunta l'ora di ricatapultarmi nella mia realtà, fatta di pure preoccupazioni occidentali. Mi sedetti vicino a lei. "Mi mancherai" le sussurrai. "Ti prego...scrivimi e telefonami. Io ti voglio bene e vorrei che tornassi presto" mi disse con un filo di voce. "Tranquilla -aggiunsi- al mio arrivo a Milano, cercherò di mettermi in contatto con te e provvederò a spedirti un pacco con tutte le cose che mia hai chiesto...Ma tu, non dimenticarmi" e così dicendo le misi in tasca gli ultimi dollari che mi erano rimasti, anche se sapevo che non era con quella manciata di soldi che avrei potute comprare il suo amore. Fidelia si mise a piangere sommessamente cercando di trovare la sua dignità dentro un kleenex. L'altoparlante gracchiò qualcosa a proposito del volo in partenza per Milano, il mio tempo con lei era davvero finito. "Fidelia, io volevo dirti...si, insomma, mi mancherai...". Lei mi strinse forte e le sue labbra si incollarono alle mie per un ultimo tenero bacio di addio. Mestamente oltrepassai la dogana entrando nel settore riservato ai passeggeri in partenza. Lei era uscita dalla mia vista lasciandomi il ricordo dell'ultima immagine che era stampata nella mia memoria. Seguii silenziosamente un gruppo ciarliero e festoso che si avvicinava a piedi alla scaletta dell'aereo. Il sole stava scendendo tra i miseri palmizi che circondavano l'aerostazione e l'aria profumava di nostalgia. Fidelia si stava allontanando dalla mia vita.
CONTINUA....

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