Mi vengono in mente un paio di considerazioni che mi stanno a cuore, leggendo Alfabeto provvisorio delle cose di Adriano Padua. Alcune poesie di Padua non sono belle sono vere, in un modo così accurato da farti rammentare la necessità di perdere il filo per poter assentire, sapendo già che nulla insorgerà dentro di te per discutere del contrario. Il filo che lega in una consequenzialità quello che di materiale c’è negli elementi, diventa in questo piccolo libro una rete di sottecchi. Le cose non nominate o appena dette, quelle che popolano di giorno e di notte lo spazio che ci circonda fino a lambire le appendici del nostro corpo, fino a essere il nostro stesso corpo, qui in convegno, si sente che ci scrutano appena, e che assumono il loro peso specifico di capelli, occhi, architetture e tecniche solo per sostenere una sorta di involuzione a pensiero che le partecipi in modo soggettivamente originario e perciò indiscutibile. In queste poesie si avverte la necessità di perdere il filo, di perdere “vigenza”, di allentare la sorveglianza sul concatenarsi apparente dei fatti per poter dire: dunque la città non esiste, in quanto luogo del cibarsi, del crescere e decrescere, del rovesciamento della sorte, dell’impennata dei fatti illusori che compongono la realtà nelle sue limitazioni ripartite nell’epica infinitesima di un istante che ci creda tutti presenti. Nella poesia mi capita di cercare quello che non so, quello che mi manca di sapere per fare maldestramente fronte a qualcosa che frontalmente è invisibile ma collateralmente no. Questo piccolo libro di Padua sembra esercitarsi poeticamente su quel fronte collaterale, scrivendone con una esattezza e una perizia davvero singolari
- qui sta per niente
la materia che ingloba i capelli sversati
è testimonianza
della fine nel corpo tuo stesso animata
e dunque la città
non esiste e vivere
è colpa di una specie di colpa
forse molto ammiccando
qualcosa come un gesto poco saggio
nella realtà nelle sue
limitazioni e tutta quanta la scrittura
è abisso e luce sui prossimi mercati
da Alfabeto provvisorio delle cose di Adriano Padua edito da Arcipelago Edizioni, Milano, 2009 p. 11






