LA GRANDE PIRAMIDE DI CHEOPE
Parliamo della Grande Piramide.
Gli storici affermano che fu costruita nel periodo in cui Cheope era Faraone d'Egitto. Secondo Erodoto, richiese trent'anni per costruirla. Oggi ci sembrano tanti per costruire un edificio. Ma cosa comportava costruire quella piramide?
Allora, lasciamo da parte i blocchi di granito che si trovano all'interno della piramide, pesanti circa 80 tonnellate: sono comunque pochi, erano "facilmente" posizionabili. Esaminiamo invece i blocchi di calcare da 1-2 tonnellate: quelli sono agevoli da trasportare e posizionare. Ma cosa significa posizionarli tutti in 30 anni? I blocchi sono circa 1.000.000 (non li ho contati io, questa è la stima degli egittologi). Costruire la piramide in 30 anni vuol dire posizionare 33.000 blocchi all'anno, poco meno di 100 blocchi al giorno, praticamente quattro bloccohi ogni ora lavoranndo 24 ore su 24, in ogni singolo giorno di questo periodo. E i blocchi dovevano essere scavati, trasportati fino al cantiere, e posizionati. Un lavoro impossibile da compiere in 30 anni, sarebberò occorsi secoli. E un lavoro che richiede secoli non può essere compiuto per costruire una tomba.
Inoltre, punto 2: i geroglifici. Nella camere e nei corridoi della Grande Piramide non ci sono geroglifici, mentre ci sono nelle tombe dei dignitari dello stesso periodo. L'unico geroglifico trovato si trova nelle camere segrete, che si trovano sopra la Camera del Re, e rappresenta il nome Cheope, scritto però in maniera errata. Questo errore è lo stesso che si faceva ai tempi in cui il geroglifico venne scoperto, mentre studi successivi hanno corretto l'errore.
"Gli uomini hanno paura del tempo, ma il tempo ha paura delle piramidi."
Potete anche approfondire il tema della Piana di Giza, andando a leggere l'articolo riguardante la Sfinge di Giza.
A cosa serviva la Grande Piramide di Cheope?
L'archeologia ufficiale ritiene che questa piramide fosse una tomba.
Ma lo era davvero? In realtà non vi sono prove che questo fosse il suo scopo, semplicemente ci si basa sul fatto che, siccome le altre piramidi erano tombe, anche questa lo era. Però nelle altre piramidi ci sono i geroglifici, cosa assente in questa. Inoltre non vi è mai stata trovata nessuna traccia di sepoltura al suo interno.
Secondo la teoria di un ricercatore italiano, in realtà questa piramide era una sorta di rifugio per un oggetto considerato importante, lo Zed. Se siete interessati ad approfondire l'argomento, cliccate sul link.
GLI EGIZIANI HANNO “COSTRUITO” LE PIRAMIDI?
Secondo l'egittologia ufficiale, per costruire le grandi piramidi gli antichi egizi, che non conoscevano la ruota, hanno estratto pietre dalle cave e le hanno trasportate fino al luogo di costruzione delle piramidi, lavorando per decenni/secoli.
Esiste tuttavia un'altra teoria, basata sugli studi di Joseph Davidovits, un chimico francese, che negli anni 70 ha creato un nuovo ramo della chimica dei minerali, i “geopolimeri”.
Secondo questa interessante teoria, i costruttori delle piramidi avrebbero prelevato il minerale dalle cave di calcare polverizzandolo, poi una volta trasportato nel cantiere lo avrebbero miscchiato con la calce, l'argilla caolinitica, il limo e il sale natron (carbonato di sodio). Il fango calcareo così ottenuto sarebbe stato trasportato facilmente, e infine versato negli stampi posizionati sul sito di costruzione. Una volta essiccando, tali blocchi sarebbero diventati simili al calcestruzzo e molto resistenti.
Come ogni teoria va però verificata, così nel 2002 un equipe francese dell'Istituto Geopolimeri ha cercato di realizzare dei blocchi utilizzando i materiali che erano disponibili agli antichi egizi, realizzando dei blocchi di pietra con la stessa composizione ed aspetto di quelli utilizzati nella costruzione delle piramidi. Una possibile prova di questa teoria è data dal recente ritrovamento di capelli e di altro materiale all'interno dei blocchi di pietra utilizzati per la costruzione delle piramidi.
Inoltre, potendo realizzare dei blocchi di pietra della forma e dimensione desiderata, si riescono a spiegare sia la precisione nel taglio delle pietre, sia gli incastri perfetti che sono stati realizzati.
Questa teoria spiegherebbe anche la realizzazione di stupendi oggetti di rara bellezza, realizzati in materiali estremamente duri e ancora oggi difficili da lavorare.
LA SFINGE DI GIZA
STORIA UFFICIALE
Quando la necropoli di Giza fu abbandonata, la sabbia ricoprì fino alle spalle la Sfinge.
In seguito la sabbia ebbe nuovamente il sopravvento. Solamente grazie a lavori avviati nel 1817 da Giovanni Battista Caviglia, proseguiti da Auguste Mariette nel 1853 e terminati da Gastone Maspero nel 1886, oggi è possibile vedere la Sfinge.
Purtroppo, la statua ha subito numerosi danni nel corso dei secoli, provocati da tempo, erosione ed opera dell'uomo. Il naso fu distrutto, secondo fonti arabe, nel corso del XIV secolo d.C.
LA SFINGE DI GIZA
INCONGRUENZE
1 – La Sfinge ha corpo leonino e testa umana Quale significato aveva questa statua? Non esiste nessun riferimento religioso o mitologico nella cultura egizia a questa fusione di uomo e animale. Il riferimento che più ci si avvicina è quello relativo a Sekhmet, la Dea egizia con corpo umano e volto di leonessa.
2 – L'erosione Secondo studi geologici effettuati sulla roccia che si trova alla base della sfinge, questa ha subito una forte erosione dovuta all'acqua. Però, le precipitazioni in Egitto negli ultimi 4.500 anni non sono state così intense da provocare un alto tasso di erosione.
3 – I Riferimenti Storici I documenti che ci sono pervenuti dall'antico Egitto, risalenti all'epoca che va dal Nuovo Regno all'epoca Romana, parlano della Sfinge come di un monumento più antico delle piramidi.
4 – La “Stele dell'Inventario” Su questa stele, risalente al 6° o 7° secolo a.C., risulta che al Sfinge esisteva già ai tempi di Cheope, e che il Faraone restaurò la statua che fu colpita da un fulmine. Secondo ciò che è scritto sulla stele, la stessa è la copia di un testo più antico.
5 – La Sabbia Come è possibile che gli antichi egiziani abbiano costruito questo immenso monumento, e la vasca che lo contiene, senza pensare che la sabbia lo avrebbe ricoperto?
TEORIA ALTERNATIVA
Secondo alcuni studiosi alternativi, la testa e il corpo non risalgono alla stessa epoca.
In seguito, la Sfinge venne restaurata in epoca più recente, e le venne dato un volto umano dal suo restauratore.
PERCHE' LA SFINGE VIENE ATTRIBUITA A CHEFREN / CHEOPE?
1 – La vicinanza con la piramide di Chefren.
2 – La Sfinge fa parte dell'architettura della Piana di Giza.
R – nessuno di questi due punti prova in alcun modo che la Sfinge non si trovasse già lì prima della costruzione delle Piramidi, e che le piramidi non siano state costruite in modo da integrarsi con la Sfinge già esistente. In qualunque città italiana vediamo monumenti antichi, magari risalenti all'epoca Romana, affiancati ad edifici più moderni.
3 – Nel tempio attiguo alla Sfinge sono state trovate statue raffiguranti Chefren.
R – Statue che possono anche essere state messe nel tempio secoli / millenni dopo la sua costruzione.
4 – Il volto della Sfinge somiglia a quello di Chefren, inoltre sul capo possiede il copricapo tipico dei Faraoni.
R – Se il volto è stato restaurato in seguito, questo punto è facilmente spiegato. Inoltre, il volto ritratto sulla Sfinge non somiglia poi molto a quello di Chefren, che conosciamo grazie alle statue giunte a noi.
5 – La stele posta tra le zampe della Sfinge contiene un geroglifico con la prima sillaba del nome Chefren (Khaf).
R – La sillaba Khaf veniva usata in molte altre parole, oltre che nel nome Chefren. Inoltre i nomi dei Faraoni venivano rinchiusi in un cartiglio, cosa che in questa parola non avviene.
6 – L'erosione può avere altre spiegazioni, dovute all'umidità nella sabbia o alle precipitazioni nell'antico Egitto, più frequenti che oggi.
R – L'erosione della Sfinge è sicuramente dovuta alla pioggia battente, secondo le perizie geologiche fatte sulla statua. Se davvero fosse stata edificata nel 2.500 a.C. come dicono gli storici, essendo già completamente sepolta nel 1.400 a.C., sarebbe stata sottoposta alle intemperie per un lasso di tempo molto breve, troppo per il livello di erosione raggiunto.
7 – Non vi sono indizi / prove che in epoca precedente esistesse una civiltà in grado di edificare un simile monumento.
R – Nel sud dell'Egitto si trovano le rovine di Nabta Playa, risalenti al 5.000 a.C., in cui si trovano i più antichi allineamenti di pietre esistenti. Il sito è stato definito la Stonehenge egiziana.
Se volete approfondire l'argomento sulla Piana di Giza, potete leggere l'articolo riguardante le Piramidi dell'antico Egitto.
ANGKOR WAT
Costruita da esperti ingegneri idraulici, che avevano tracciato un sistema con cui accumulavano l'acqua delle stagioni monsoniche per distribuirla in quelle secche, la città aveva torri e tetti ricoperti di lamine d'oro, e bassorilievi che raccontavano la vita quotidiana di un popolo ricco, libero e segnato da uno splendore assoluto, appena contaminato dalle prime avvisaglie di decadenza che spesso colpiscono un popolo all'apice della sua prosperità.
Com'è possibile dunque che questa meraviglia dell'uomo, raccontata già da Marco Polo,finisse poi abbandonata, e coperta dai secoli e dalla vegetazione, in seguito alla invasione Siamese, senza che nessuno si occupasse più degli edifici e del sistema idrico, lasciando che la foresta si riprendesse quel terreno con tutte le costruzioni? Questo è solo il primo degli interessantissimi interrogativi che Angkor Wat propone ai visitatori che in questi ultimi anni, in numero sempre crescente, la vanno a esplorare, rimanendo a bocca aperta per i suoi paesaggi e l'atmosfera irreale che la pervade.
Ma ci sono anche altri misteri legati a questo luogo: per esempio le iscrizioni che indicano il re fondatore della città, Jayavarman II, come erede di una stirpe eletta, quella dei seguaci del dio Horus (lo stesso dei Faraoni). Oppure le molte affinità tra la civiltà Maya e quella Khmer di Angkor. Ancora: i settanta edifici sacri (risalenti all'incirca al 1150) sono disposti lungo una linea che sembra seguire perfettamente quella della costellazione del Drago, solo che l'analisi dei segni sul terreno in corrispondenza della linea della costellazione sembrano risalire a molto molto prima, addirittura al 10.500 A.C., come se fossero la riproduzione in terra di una mappa celeste. Per non parlare poi di un altro mistero, forse quello più famoso, ovvero quello che corre lungo tutta la struttura muraria di Angkor Wat: 1.796 ritratti dettagliatissimi di donne, le Devata, di cui non si conosce il significato e la ragione di culto (forse era una celebrazione dell'importanza femminile nella prosperità dell'impero Khmer).
GOBEKLI TEPE
Gobekli Tepe è un sito archeologico a circa 18 km a nordest dalla città di Şanlıurfa nell’odierna Turchia, presso il confine con la Siria, nel quale è stato rinvenuto il più antico esempio di tempio in pietra, risalente al 9600 a.C. e che sta sconvolgendo tutte le certezze sulle origini della civiltà.
Le più antiche testimonianze architettoniche note in precedenza erano le ziggurat babilonesi, datate 5000 anni più tardi. Secondo gli studiosi, la sua costruzione ha impegnato diverse centinaia di uomini nell’arco di alcuni secoli.
Göbekli Tepe, ricorda vagamente Stonehenge, ma fu costruito molto prima, e non con blocchi di pietra tagliata grossolanamente ma con pilastri di calcare finemente scolpiti a bassorilievo: una sfilata di gazzelle, serpenti, volpi, scorpioni, cinghiali selvatici.
Il complesso risale a sette millenni prima della Grande Piramide di Giza, ed è il più antico esempio noto di architettura monumentale. Intorno all’8000 a.C. il sito venne deliberatamente abbandonato e volontariamente seppellito con terra portata dall’uomo.
Gli archeologi continuano a scavare e a discutere sul suo significato. Göbekli Tepe e altri siti mediorientali stanno cambiando le nostre idee su una svolta fondamentale nella storia umana: la rivoluzione neolitica, quando i cacciatori-raccoglitori nomadi si trasformarono in agricoltori stanziali.
Il sito si trova su una collina artificiale alta circa 15 m e con un diametro di circa 300 m, situata sul punto più alto di un’elevazione di forma allungata, che domina la regione circostante, tra la catena del Tauro e il Karaca Dağ e la valle dove si trova la città di Harran. Il sito utilizzato dall’uomo avrebbe avuto un’estensione da 300 a 500 m².
Finora meno di un decimo del sito è stato riportato alla luce, ma basta a dare un’idea del timore reverenziale che il tempio incuteva ai pellegrini che si radunavano qui ben 7.000 anni prima della costruzione di Stonehenge.
Gobekli Tepe fu individuata la prima volta nel 1963 da un gruppo di ricerca turco-statunitense, che notò diversi consistenti cumuli di frammenti di selce, segno di attività umana nell’età della pietra. Il sito fu poi riscoperto trent’anni dopo da un pastore locale, che notò alcune pietre di strana forma che spuntavano dal terreno.
La notizia arrivò al responsabile del museo della città di Şanlıurfa, che contattò il ministero, il quale a sua volta si mise in contatto con la sede di Istanbul dell’Istituto archeologico germanico.
Gli scavi furono iniziati nel 1995 da una missione congiunta del museo di Şanlıurfa e dell’Istituto archeologico germanico sotto la direzione di Klaus Schmidt, che dall’anno precedente stava lavorando in alcuni siti archeologici della regione. Nel 2006 gli scavi passarono alle università tedesche di Heidelberg e di Karlsruhe.
Gli scavi portarono alla luce un santuario monumentale megalitico, costituito da una collina artificiale delimitata da muri in pietra grezza a secco. Furono inoltre rinvenuti quattro recinti circolari, delimitati da enormi pilastri in calcare pesanti oltre 10 tonnellate ciascuno, probabilmente cavati con l’utilizzo di strumenti in pietra. Secondo il direttore dello scavo le pietre, drizzate in piedi e disposte in circolo, simboleggerebbero assemblee di uomini.
La scoperta più interresante riguarda le circa 40 pietre a forma di T, alte fino a cinque metri e mezzo. I blocchi di calcare, del peso di cinque tonnellate, furono portati qui da una cava vicina anche se le popolazioni dell’epoca non conoscevano la ruota né avevano ancora addomesticato le bestie da soma.
Indagini geomagnetiche hanno indicato la presenza di altre 250 pietre ancora sepolte nel terreno. Un’altra pietra a forma di T, estratta solo a metà dalla cava, è stata rinvenuta a circa 1 km dal sito. Aveva una lunghezza di circa 9 m ed era probabilmente destinata al santuario, ma una rottura costrinse ad abbandonare il lavoro.
Oltre alle pietre sono presenti sculture isolate, in argilla, molto rovinate dal tempo, che rappresentano probabilmente un cinghiale o una volpe. Confronti possono essere fatti con statue del medesimo tipo rinvenute nei siti di Nevalı Çori e di Nahal Hemar.
Gli scultori dovevano svolgere la loro opera direttamente sull’altopiano del santuario, dove sono stati rinvenute anche pietre non terminate e delle cavità a forma di scodella nella roccia argillosa, secondo una tecnica già utilizzata durante l’epipaleolitico per ottenere argilla per le sculture o per il legante argilloso utilizzato nelle murature.
Nella roccia sono anche presenti raffigurazioni di forme falliche, che forse risalgono ad epoche successive, trovando confronti nelle culture sumere e mesopotamiche (siti di Byblos, Nemrik, Helwan e Aswad).
Ad oggi, 45 di queste pietre sono state scavate, ma vi sono indicazioni che c’è molto da scoprire. Indagini geomagnetiche indicano che ci sono centinaia di altre pietre erette, che aspettano solo di essere portate alla luce. Se Gobekli Tepe fosse semplicemente questo, sarebbe già un sito straordinario, una specie di Stonehenge turca.
Diversi fattori unici innalzano però Gobekli Tepe nella stratosfera dell’archeologia e nel regno del fantastico. Il primo è la sua età. La datazione al radiocarbonio mostra che il complesso è di almeno 12.000 anni fa, forse anche 13.000 anni.
Ciò significa che è stata costruita intorno al 10 mila a.C. Gobekli Tepe è quindi il più antico di tali siti nel mondo, con un ampio margine. E’ così antico da precedere la vita sedentaria dell’uomo, prima della ceramica, della scrittura, prima di tutto. Gobekli proviene da una parte della storia umana che è incredibilmente lontana, nel profondo passato dei cacciatori-raccoglitori.
Come poterono gli uomini delle caverne costruire qualcosa di così ambizioso? L’archeologo Klaus Schmidt, pensa che bande di cacciatori si siano riuniti sporadicamente nel sito, durante i decenni di costruzione, vivessero in tende di pelle di animali e uccidessero la selvaggina locale per nutrirsi. Le molte frecce di selce trovate presso Gobekli giocano a sostegno di questa tesi, ma sostengono anche la datazione del sito.
Questa rivelazione, che i cacciatori-raccoglitori dell’Età della Pietra potrebbero avere costruito qualcosa come Gobekli, cambia radicalmente la nostra visione del mondo, perché mostra che la vita degli antichi cacciatori-raccoglitori, in questa regione della Turchia, era di gran lunga più progredita di quanto si sia mai concepito. E’ come se divinità scese dal cielo avessero costruito Gobekli con le loro mani.
Pochi anni fa, gli archeologi rinvennero presso Cayonu un mucchio di teschi umani. Essi furono trovati sotto una lastra d’altare, tinta con sangue umano. Nessuno è sicuro, ma questa può essere la prima prova di sacrifici umani: uno dei più inspiegabili comportamenti umani, che potrebbero avere sviluppato solo di fronte ad un terribile stress sociale.
Gli esperti possono discutere sull’evidenza di Cayonu. Ma quello che nessuno nega che è il sacrificio umano abbia avuto luogo in questa regione, tra la Palestina, Israele e Canaan. L’evidenza archeologica indica che le vittime erano uccise in enormi fosse di morte, i bambini erano sepolti vivi in vasi, altri erano bruciati in grandi giare di bronzo.
Questi atti sono quasi incomprensibili, a meno che non si pensi che la gente aveva imparato a temere le divinità, perché era stata scacciata dal paradiso. Così avrebbe cercato di propiziare la collera dei cieli. Questa barbarie potrebbe, infatti, essere la chiave di soluzione di un ultimo, sconcertante mistero. I sorprendenti fregi di pietre di Gobekli Tepe si sono conservati intatti per uno strano motivo.
Molto tempo fa, il sito fu deliberatamente e sistematicamente sepolto con un colossale lavoro insieme a tutte le sue meravigliose sculture di pietra. Intorno al 8000 a.C., i creatori di Gobekli seppellirono la loro realizzazione e il loro glorioso tempio sotto migliaia di tonnellate di terra, creando le colline artificiali sulle quali il pastore curdo camminava nel 1994. Il motivo che spinse gli antichi a seppellire per sempre il tempio di Gobekli Tepe rimane a tutt’oggi un mistero. [nationalgeographic.it - centumcellae.it].TIHUANACO
Tiahuanaco è un sito archeologico esteso su 450.000 mq. e sembra presenti le tracce di cinque città sovrapposte, più volte distrutte da terremoti. Si trova a 30 Km. dalle sponde del lago d’acqua dolce più grande del mondo: il Titicaca, lungo 222 chilometri, largo 112, situato a 3.660 metri sul livello del mare. Una striscia bianca formata dai depositi calcarei di alghe in mostra sulle rocce circostanti e la presenza di creature marine nelle sue acque - fra cui i cavallucci - testimoniano la sua appartenenza al mare.
Molti misteri e leggende circondano il lago. Si narra di dèi giunti dal cielo sulle ali d’immensi "condor"; gli Indios raccontano di quando i loro antenati volavano su grandi "piatti d’oro" mossi da vibrazioni sonore. Al suono di una tromba furono trasportate le enormi pietre usate per edificare, nell’arco di una sola notte, la città (Cieza de Leon). Singolare che il suono emesso da strumenti a fiato provocasse il crollo delle mura di un’altra città: Gerico. E strane storie riguardano una tromba, attribuita alla fanfara di Tutankamon, esposta al Museo del Cairo. Il suono dei fiati egizi, come quelli dei monaci tibetani, stando alle cronache di alcuni esploratori, spostava mastodontici blocchi di granito. Così, Tiahuanaco ci trasporta nel mondo della dea Orejona, dalla testa conica e dalle grandi orecchie, giunta sul luogo a bordo di un’astronave; un mondo surreale popolato da esseri palmati, dal sangue più scuro, dai quali dicono di discendere gli Uros.
KON TIKI VIRACHOA
Al di là delle leggende restano le ciclopiche rovine di una città portuale: cinque banchine, moli e un canale diretto verso l’entroterra; il tutto a più di 4.000 metri sul livello del mare. Nel 1967, per verificare la veridicità dei racconti dei pescatori del Titicaca, secondo i quali nei periodi di grande siccità era possibile toccare i tetti dei "palazzi sommersi" sotto le acque del lago, furono organizzate alcune spedizioni subacquee. Sul fondo, immerse nella melma, i sub videro poderose muraglie. Sotto costa rinvennero dighe, strade lastricate; blocchi squadrati combacianti fra di loro con estrema precisione che formavano una trentina di massicciate parallele, unite da una costruzione a forma di mezzaluna. Un grande porto con i suoi moli, ove potevano attraccare centinaia di navi, fra cui, forse, anche quella di un dio bianco, barbuto, giunto dal mare con una nave che "si muoveva senza far uso di remi": Kon Tiki Viracocha, raffigurato con un tridente come Nettuno. Una città costruita con pietre talmente grandi e pesanti dalle 100 alle 200 tonnellate (alcune più di 400 tonnellate), da destituire di fondamento ogni supposizione inerente il loro taglio, trasporto, nonché collocazione, visto che le cave più vicine distano ben 60 chilometri.
MISTERI INSOLUTI
Nel rileggere i resoconti dei conquistadores spagnoli ci rendiamo conto, dallo stupore che traspare, quali meraviglie contemplarono i loro occhi.
"In un titanico palazzo vi è una sala lunga 14 metri, larga sette, con grandi portali e molte finestre. Gli indigeni dicono che è il tempio di Viracocha, il creatore del mondo" (Cieza de Leon).
"Tra le costruzioni di Tiahuanaco c’è una piazza di 24 metri quadrati e su uno dei suoi lati si stende una sala coperta lunga 14 metri. La piazza e la sala consistono in un sol pezzo; si è scolpito questo capolavoro nella roccia: si scorgono qui molte statue che presentano uomini e donne in diversi atteggiamenti, sono così perfette da crederle vive". (Diego D’Alcobada)
"C’è un palazzo che è l’ottava meraviglia del mondo, con pietre lunghe 11 metri e larghe cinque, lavorate in modo da incastrarsi l’una nell’altra, senza vederne la connessione". (Jimenes de la Espada).
Sulle rovine di Tiahuanaco campeggiano figure e simboli che alimentano insoluti misteri. Nel 1920, Julio Tello scoprì dei vasi con raffigurati lama a cinque dita, vissuti, per la scienza ufficiale, in una preistoria molto remota. Sulla Porta del Sole sono raffigurati un toxodonte e un proboscidato che ricorda il "Cuvieronius", estinti entrambi 12.000 anni fa. Il Prof. Arthur Posnansky notò che due punti di osservazione nel recinto del Kalasasaya indicavano i solstizi d’inverno e d’estate e, servendosi di una tavola astronomica, dedusse che la costruzione risaliva al 15.000 a.C. Passò per eccentrico fino a quando il Dr. Ralph Muller rielaborò i calcoli e convenne che la data poteva essere il 4.000 o il 10.500 a.C.
Su questa data concordano anche Graham Hancock e l’astronomo Nel Steede.
LA CIVILTÀ DI TIAHUANACO
Il prof. Javier Escalante Moscoso, archeologo della università di S. Andrea di La Paz, nel suo libro "Arquitectura Prehispanica en los Andes Bolivianos" evidenzia l’alto grado tecnologico raggiunto dalla civiltà di Tiahuanaco.
"Il nome Puma Punku o ‘porta del leone’ venne dato al tempo coloniale quando fu trovata una scultura in pietra di un leone. Oggi la piramide Puma Punku appare come una piccola collina piatta e consiste di tre piattaforme sovrapposte le cui basi sono fatte di blocchi squadrati di rossa arenaria. In cima alla piramide una depressione quadrangolare suggerisce chiaramente il possibile sito di un tempio. Sul lato esterno della sommità c’era un edificio di dimensioni colossali, indubbiamente uno dei maggiori dell’architettura di Tiahuanaco. Uno studio accurato di Puma Punku mostra un eccellente esempio di complesso architettonico di magistrale progettazione. Il tempio consisteva di quattro immense piattaforme fatte di massicci lastroni di arenaria, alcuni del peso di 130 tonnellate, tenuti insieme con una speciale malta e morsetti metallici. Visibili i canaletti che mostrano l’uso di morsetti o ganasce di rame, usati come rinforzo nel punto in cui i blocchi si accostavano. È stato appurato che questi morsetti furono realizzati gettando metallo fuso nei solchi, negli incavi scavati allo scopo nei blocchi di pietra adiacenti". E ancora, il Moscoso: "La cultura di Tiahuanaco è indubbiamente una delle più importanti nella regione andina e la sua influenza è evidente in altri gruppi culturali posteriori. Fiorirono architettura, produzioni artistiche in ceramica, sculture e metalli preziosi. L’alto grado di perfezione raggiunto nella scienza metallurgica permise di forgiare e amalgamare metalli. Il rame, metallo principale, era usato comunemente allo stato nativo. All’inizio limitatamente alla manifattura personale e negli oggetti domestici, più tardi per ottenere il bronzo. Dato che per ricavare quest’ultimo occorre seguire una procedura complicata si dimostra l’alto grado della metallurgia raggiunto dalla cultura di Tiahuanaco".
Marcel Homet scrisse in merito all’uso di questi morsetti metallici: "Gli immensi lastroni di pietra dei templi di Tiahuanaco sono connessi, gli uni agli altri, a mezzo di arpioni metallici di cui si è trovato l’uguale in un unico posto: in Mesopotamia, nell’architettura dei palazzi Assiri". Homet fece rilevare, inoltre, che anche gli dèi della pesca erano gli stessi adorati in Mesopotamia dal 500 al 300 a.C.
Il prof. Moscoso afferma che nel Museo di Tihauanaco si troverebbero esposti molti oggetti rinvenuti fra le rovine del sito archeologico, tra cui molti morsetti metallici, dalla forma di una grossa "I", di varie misure, da 15 a 150 centimetri.
I morsetti sono costituiti da una lega formata dalla fusione di rame, ferro, silice e nickel. Quest’ultimo non si trova in Bolivia e per ottenerlo occorre un forno ad elevata temperatura. Graham Hancock scrive, nel suo "Lo Specchio del Cielo", che un esame condotto con un microscopio a scansione elettronica ha dimostrato come, in effetti, il metallo venisse versato fuso nei canaletti predisposti allo scopo. Ciò rendeva necessario l’uso di un forno portatile e quindi un livello tecnologico di gran lunga superiore a quello immaginato. Dal canto suo, il Prof. Escalante afferma: "Dal tempo antico la cultura pre-ispanica conosceva come fondere il rame e più tardi imparò a mescolarlo con altri metalli. Questo sviluppo tecnologico rese possibile l’invenzione di attrezzi di metallo quali scalpelli, stampi, punzoni, seghe, asce, ecc. permettendo di poter lavorare su pietre e altri materiali e raggiungendo un grado sofisticato di perfezione. Scavi archeologici hanno portato alla luce vestigia di attrezzi fatti di vari tipi di metallo usati per lavorare le più dure pietre e legni. Sono stati trovati anche molti aghi fini e aguzzi, usati come strumenti capaci di perforare tanto materiali duri, che eseguire delicati e rifiniti lavori. Altri attrezzi fatti di metallo o leghe erano le seghe di rame usate in congiunzione con varie sostanze abrasive per lavorare pietre e altri duri materiali".
A Ollantaytambo, in Perù, è stata trovata una pietra che appare segata o con una sega di metallo, o con una sorta di corda abrasiva o con un laser. La foto, scattata da Gene M. Phillips, è visibile sul n. 22.1 di Ancient Skies. L’uso dei morsetti si riscontra nelle pietre di Puma Punku, di Ollantytambo, di Angkor Vat e di Dendera; provando che era l’uso comune di un’antica civiltà anteriore a quelle conosciute.
IL POTERE DEI CRISTALLI DI QUARZO
Dodicimila anni fa si faceva largo uso in tutto il mondo di granito contenente cristalli di quarzo. Come gli antichi "omphalos", ombelichi, ossia pietre erette dagli Annunaki (esseri provenienti dal pianeta Nibiru, ndr.) come semplici dispositivi di comunicazione, note nei miti come "Pietre Parlanti", fatte anche di granito. Il più antico radioricevitore usava cristalli di quarzo, per cui il termine "cristallo fisso". Oggi, in una semplicissima costruzione, i cristalli fissi sono ancora venduti in forma di corredo e svolgono benissimo la loro funzione. Furono usate pietre di granito per comunicazioni terrestri e interstellari con sistemi simili a quelli di Carnac in Britannia? Perché furono usate grandi pietre di granito nell’apice della Grande Piramide, sopra la Camera del Re, chiamate "Pietre Parlanti"? Perché oggi vengono impiegati molti cristalli, sia naturali che manufatti, in tutti i computer, nelle attrezzature elettroniche e nei satelliti?
Qualcuno è dell’opinione che le idee di Nicola Tesla, insieme agli studi dei cristalli, apriranno una nuova area di ricerca e di tecnologia. Oggi i maggiori ricercatori delle antichità non correlano i loro lavori con ciò che altri hanno trovato, con quanto hanno scritto a riguardo e, purtroppo, non esiste una forma di cooperazione.
È costume dell’attuale società indirizzare il singolo a non pensare se quanto viene attuato è davvero volto all’interesse di tutti, ma a raggiungere, nel più breve tempo possibile, una posizione dominante, nonché di un qualche, seppur piccolo beneficio, ahimé, materialistico. Ma nei testi antichi è ampiamente descritto che i cristalli sono stati usati dettagliatamente e che erano probabilmente, e lo potrebbero ancora essere, un grande potente generatore di energia, nonché radiofonico.
ANTICHI OGGETTI DA FANTASCIENZA
Non lontano da Teotihuacan si trova la piramide detta della mica, poiché al suo interno sono stati rinvenuti due strati di tale materiale di ben 27 centimetri quadrati, nascosti sotto un pavimento, evidentemente con una precisa funzione.
La mica è un miscuglio di vari elementi quali potassio, alluminio, ferro, magnesio, litio, manganese, titanio. La loro combinazione origina vari tipi di mica. Quella rinvenuta proviene dal Brasile, quindi chi ha costruito il tempio voleva proprio quel tipo. La mica è usata come isolante termico ed elettrico e come moderatore nelle reazioni nucleari. Quale era il suo effettivo uso a Teotihuacan? Quale tipo di civiltà ne aveva bisogno? Nel 1991-1993, cercatori d’oro sul piccolo fiume Narada, lato est dei monti Urali, hanno trovato insoliti oggetti per lo più lavorati a spirale.
Le loro misure variano da un massimo di cm. 3 (81/2 pollice), fino ad un incredibile mm. 0,003 (circa 1/10.000 di pollice).
Migliaia di questi inspiegabili artefatti sono stati rinvenuti in vari luoghi vicino a tre fiumi: Narada, Kozhim e Balbanyo; oltre a due più piccoli corsi d’acqua chiamati Vtvisty e Lapkhevozh, per lo più depositati fra 3 e 12 metri. Gli oggetti, a forma di spirale, sono composti da vari metalli, la maggior parte dei più grandi sono di rame, mentre i più piccoli e i piccolissimi sono di rari metalli come il tungsteno e il molibdeno. Il tungsteno ha un peso atomico alto e anche molto denso con un punto di fusione di 3410° C. (6100° F). Viene impiegato principalmente per temperare acciai speciali e in forma pura per i filamenti delle lampadine. Anche il molibdeno ha un’alta densità e un rispettabile punto di fusione di 2650° C (4740° F). Questo metallo è usato spesso per la tempra di acciai e per dare loro proprietà corrosive, con applicazioni per alcune parti di armi altamente poste sotto sforzo e per veicoli corazzati. Tali oggetti sono stati investigati dall’Accademia delle Scienze Russa di Syktyvka (capitale del Komi), di Mosca, di San Pietroburgo e altri istituti scientifici ad Helsinki, in Finlandia.
Misurazioni esatte di questi oggetti, spesso microscopici, hanno dimostrato che le dimensioni delle spirali sono le cosiddette "sezioni dorate" nei rapporti, o "proporzioni Phi". Dal tempo antico questa frazione è stata la regola "ferrea" in architettura e geometria.
La sua utilità sta nel fatto che se una certa lunghezza è divisa in due usando questo rapporto, il rapporto dell’originale lunghezza del pezzo più grande è lo stesso di quella che intercorre fra il più grande pezzo e il più piccolo. Appare da molte sottigliezze che simili oggetti sono ovviamente il prodotto di una inspiegabile e avanzata tecnologia. Rimarchevoli le loro somiglianze con elementi usati in congegni miniaturizzati nella nostra recentissima tecnologia, chiamati "nano macchine". Tale tecnologia è da noi ancora nella sua infanzia, ma alcuni ingegneri stanno pensando ad applicazioni che sembrano essere fantascienza.
L'ICONA DI UN COMPUTER
Gli scienziati immaginano di poter costruire micro sonde impiegabili in medicina, per eseguire operazioni all’interno di vasi sanguigni, non possibili con le odierne tecniche chirurgiche.
Tutti i test condotti per datare gli oggetti ritrovati danno una età variabile fra i 20.000 e i 318.000 anni, dipende dalla profondità e dalla situazione dei siti.
Ma anche si trattasse solo di 2.000 o di 20.000 anni, siamo di fronte all’inevitabile domanda: chi, fra tutti i popoli del mondo era a quel tempo capace di creare qualche oggetto di micro filigrana finissima, qualcosa che la nostra tecnologia solo adesso è in grado di acquisire? La stessa che eresse e orientò verso le stelle i templi di Angkor Vat, Giza e Tiahuanaco?
Proprio in quest’ultimo sito si trova una piramide circondata da un alone di mistero non ancora del tutto svelato: l’Akapana, della quale rimane un tumulo di terra con un cratere al centro, frutto del lavoro dei cercatori di tesori.
Originariamente al posto di quella grossa buca, a 18 metri d’altezza, si trovava un pozzo centrale a forma di croce. Secondo gli archeologi il pozzo alimentava una serie di canali interni, attraverso i quali l’acqua raggiungeva ogni livello della piramide.
Un complesso sistema di tubazioni faceva sì che l’acqua scendesse a cascata lungo tutti i gradini della costruzione.
Peter Kolosimo accennò, forse leggendo i resoconti di Homet, ad un passaggio sotterraneo ostruito dalle rovine che conduceva ad una camera sotterranea. Oggi, l’archeologo Osvaldo Rivera, dell’Istituto Boliviano di Archeologia, afferma di essere vicino all’entrata della stanza sotterranea, che sarebbe indicata sotto la figura di Viracocha scolpita sulla "Porta del Sole", un monolito di un unico blocco ritenuto da Posnansky e da Alexandr Kasanzev, la rappresentazione di un calendario ove sono segnati i solstizi.
La figura del dio poggia su una piramide a gradini al cui interno si vede, in profondità, la raffigurazione di una stanza accessibile attraverso ben otto corridoi. Secondo Hancock la figura sembra l’icona di un computer. Forse non è molto in errore. L’antica lingua Aymara possiede una struttura talmente semplice da poter essere tradotta in linguaggio informatico. Coincidenze?
Rapido il collegamento con Giza. Entrambi i siti risalgono a 12.000 anni fa e si ergono su una serie di camere sotterranee ove sembra sia custodito il messaggio di un’antica civiltà.
Le rovine sparse disordinatamente di Tiahuanaco, come se un violento terremoto le avesse scomposte, non sono sufficienti a stabilire verso quali stelle erano orientate; ma, secondo Hancock, 12.000 anni fa, contrapposta alla costellazione del Leone visibile a Giza, vi era quella dell’Acquario. Questa la si potrebbe ritrovare nei motivi acquatici del Kalasasaya, nei canali che portavano acqua alla piramide di Akapana. Forse proprio tale costruzione era la rappresentazione della costellazione in Terra. Sembra che la città un tempo risiedesse sull'odierno lago Titicaca sconvolto in passato da un cataclisma. Sono state rinvenute infatti strutture megalitiche sul fondo del lago. Forse i resti di una civiltà antica della cui esistenza raccontano gli abitanti? Essi infatti hanno come giò detto in altri post il mito del diluvio universale, mito condiviso da molte altre culture del mondo.
Infine, gli oggetti rinvenuti fra le rovine destano molte perplessità: bicchieri, tazze, cucchiai, piatti d’oro. Solo alla fine del 1.500 compaiono in Europa piatti e posate. Quale tipo di civiltà ne faceva uso a Tiahuanaco? E quando?
CONCLUSIONI
Tutte queste coincidenze e prove la sciano dunque supporre ad un origine comune delle civiltà mondiali. Le prove lasciano supporre ad una grande civiltà avanzata che risale ad una data ben precisa, il 10.500 a.c.