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“Quel zainetto rosa mi è famigliare... però, che gambe..!”, pensò fra sé Gabriele, ci mise un poco, nell’oscurità della notte, a mettere a fuoco quella figura che stava attraversando la strada. Ci mise un po’ soprattutto perchè mai avrebbe immaginato che lei si potesse trovare nel cuore della notte lungo una strada, proprio quella strada. Era il classico momento in cui, guardando un telefilm di serie zeta, vista la proverbiale coincidenza dei fatti, ti trovi a pensare: “fatalità!”.
“Ehi, accosta! Accosta!”, Gabriele scese in fretta dall’auto e rincorse la ragazza, non si era sbagliato affatto, era proprio lo zaino che due volte la settimana vedeva appoggiato alla sedia del suo soggiorno, era l’Invicta di lei.
“Lo-Lo” le bisbigliò piano, Laura sentendosi chiamare così, sentì il cuore fermarsi per qualche secondo per poi ri-cominciare a batterle all’impazzata, un nodo le si era stretto in gola, si era paralizzata, non riusciva nemmeno a girarsi verso quella voce. Lui le afferrò il braccio voltandola verso di sé, “Lo-Lo! Ma, ma sei tu! Ma come sei ridotta? Stai bene? Che ci fai qui sola a quest’ora della notte?”, Gabriele cercava d’incontrare con gli occhi quelli della ragazza, ma lei faceva il possibile per evitare lo sguardo di lui.
“Dannazione! Non può essere possibile... Tanto valeva mi facessi un nuovo taglio di capelli!”, ancora una volta i pensieri avevano preso voce, contro la sua volontà. Il suo essere impulsiva era qualcosa di talmente radicato da manifestarsi continuamente: nelle scelte, spesso sconsiderate, che prendeva, nel decidere quali persone voleva o meno nella sua vita, nel modo di vestirsi e truccarsi, quel suo modo di parlare e persino di muoversi.
Perchè in quel momento quello a cui pensava era di non essere poi tanto diversa da qualunque altra femmina, solo la sua magari era stata una scelta solo un po’ più “drastica” e non pianificata. Grosso errore quello, la non pianificazione.
Infondo è così, pensava, dietro ad ogni nuovo cambiamento c’è una storia finita in malo modo, c’è chi decide di fare un nuovo taglio di capelli a chi decide di “scappare”. Ok, magari non sempre, ma spesso è così.
“Perchè, scusa?!? Che ho che non va? ...ah beh dimenticavo che ho quasi ogni cosa a non andarti bene, che scema!” “Non essere ridicola! Guardati... fa un freddo cane e tu sei praticamente mezza nuda, sei sporca e per di più sei... sei scalza!”
Ogni volta con lui era la stessa identica storia, ormai non le riusciva neanche più di non fare la scontrosa, era il suo modo per proteggersi da quell’unica persona a cui, altrimenti, avrebbe lasciato fare qualunque cosa le chiedesse ed era ben conscia di questo, soprattutto di quanto pericoloso sarebbe stato per lei.
“Senti, cerca di non fare tante domande e portarmi al primo albergo che troviamo per strada... infondo un favore almeno, me lo devi...” “Ma sentila! E così ti dovrei un favore?”D’altro canto, anche per lui era impossibile rimanerle indifferente, più lei si metteva sulla difensiva più lui aveva voglia di buttare giù quel muro che lei cercava di costruire. Era qualcosa di palpabile il potere che aveva nei confronti di quella ragazza e anche se si sentiva uno stronzo sapendo come le cose, ogni volta, sarebbero andate, non poteva fare a meno di provocarla per vedere se ancora una volta, nonostante tutto, lui non le era indifferente.
“Senti, tu e i tuoi cazzo di giochini psicologici del cazzo... Lasciami al primo albergo, punto!” “Sai che non ti ricordavo così sboccata... tranne in qualche situazione dove la cosa era ben gradita... dai salta su e non fare caso a quel scimmione che ho in macchina” A quelle parole il volto di Laura si accese di un rosso che solo la notte poteva nascondere. “Perfetto, come se non bastasse, ora mi tocca convivere anche con i ricordi di lui che mi tocca e fa tutto quello che certe situazioni vogliono si faccia e che lo fa pure bene. Merda, troppo bene. Merda, merda, merda. Oddio... ora sento anche il suo profumo. Posso morire, ora. Laura sta calma, sta calma...” stavolta era riuscita a tenere per sè quei pensieri e cercava di controllare l’espressione del volto, perchè altrimenti un sorriso beota le si sarebbe stampato in faccia. Niente come vedere Gabriele poteva renderla felice, almeno per il momento, almeno poteva fidarsi della sua guida.Laura salì nella lussuosa berlina scura, interni in pelle chiara, mentre di sottofondo riconosceva la musica preferita di lui, erano i The Strokes, non c’era dubbio, quella era “Heart in a cage”, ironia della sorte: la canzone di quando lei decise di dirgli che “Basta. La finiamo qui.”. E sempre una loro canzone aveva accompagnato il loro primo bacio, “Someday”, lui l’aveva presa, seduta sul tavolo della cucina e baciata, tutto talmente in fretta che lei quasi non aveva avuto il tempo di accorgersi cosa stava succedendo.Il “scimmione”, come Gabriele l’aveva definito, si girò appena verso di lei per salutarla, e subito la macchina riprese la corsa verso quello che doveva essere, secondo le indicazione dell’autista imbranato di prima, Mantova.
Dopo un quarto d’ora accostarono all’albergo “I Gonzaga”, abbastanza ovvio come nome pensò Laura. Assieme a lei scese anche Gabriele, la voleva accompagnare dentro per assicurarsi che tutto fosse a posto. Arrivati alla reception la ragazza seppe cavarsela brillantemente col pernottamento, forse anche perchè quella era una settimana come tante altre, non c’erano particolari festività di mezzo, nè tanto meno ponti. “Bene... Grazie per il passaggio allora! Una volta tanto mi sei stato utile!” “Ma come? Non mi chiedi di salire?”
Brigitta Destro
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