11 febbraio 1963, cinquanta anni fa si suicidava Sylvia Plath.

Creato il 28 gennaio 2013 da Atlantidelibri

11 febbraio 1963, cinquanta anni fa si suicidava Sylvia Plath.

DA Wikipedia.

Sylvia Plath (Boston, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963) grande poetessa e scrittrice statunitense.

Conosciuta principalmente per le sue poesie, ha anche scritto il romanzo semi-autobiografico La campana di vetro (The Bell Jar) sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas. La protagonista del libro, Esther Greenwood, è una brillante studentessa dello Smith College, che inizia a soffrire di psicosi durante un tirocinio presso un giornale di moda newyorkese. La trama ha un parallelo nella vita della Plath, che ha trascorso un periodo presso la rivista femminile Mademoiselle, successivamente al quale, in preda a un forte stato di depressione, ha tentato il suicidio.

Assieme ad Anne Sexton, la Plath è stata l’autrice che più ha contribuito allo sviluppo del genere della poesia confessionale, iniziato da Robert Lowell e William De Witt Snodgrass. Autrice anche di vari racconti e di un unico dramma teatrale a tre voci, per lunghi periodi della sua vita ha tenuto un diario, di cui sono state pubblicate le numerose parti sopravvissute. Parti del diario sono invece state distrutte dall’ex-marito, il poeta laureato inglese Ted Hughes, da cui ebbe due figli, Frieda Rebecca e Nicholas. Morì suicida all’età di trent’anni.

Nata in un distretto di Boston da genitori immigrati tedeschi; la madre, Aurelia Schober, apparteneva ad una famiglia austriaca emigrata nel Massachusetts, abituata in casa a parlare solo tedesco, mentre suo padre, Otto Emil Plath, professore di college, figlio di genitori tedeschi, si trasferì in America a sedici anni per diventare in seguito uno stimato entomologo, in particolare in materia di api.

Sylvia dimostrò un talento precoce, pubblicando la sua prima poesia all’età di otto anni. Nello stesso anno, suo padre morì di embolia in seguito ad un’operazione chirurgica (complicazioni per un diabete non diagnosticato), il 5 ottobre 1940. La scrittrice continuò a cercare di pubblicare poesie e racconti su varie riviste americane, raggiungendo un successo marginale. Sylvia soffrì durante tutta la sua vita adulta per una grave forma di depressione ricorrente tra periodi di intensa vitalità. Era entrata nello Smith College con una borsa di studio nel 1950, ma nel penultimo anno fece il primo dei suoi tentativi di suicidio. In seguito descrisse la crisi che l’aveva colpita nell’estate e inverno 1953 nel suo romanzo semi-autobiografico, La campana di vetro (The Bell Jar).

Al tentativo di suicidio segue il ricovero in un istituto psichiatrico, il McLean Hospital, dove le verrà diagnosticato il disturbo bipolare. Uscita dall’ospedale si laurea, ottenendo la lode nel 1955. Sylvia ottenne una borsa di studio Fulbright per l’università di Cambridge, dove continuò a scrivere poesie, pubblicando a volte il suo lavoro sul giornale studentesco Varsity.

A Cambridge conobbe il poeta inglese Ted Hughes. Si sposarono il 16 giugno 1956. Plath e Hughes trascorsero il periodo dal luglio 1957 all’ottobre 1959 vivendo e lavorando negli Stati Uniti. Sylvia insegnò allo Smith College. Si trasferirono poi a Boston dove Sylvia partecipò a dei seminari con Robert Lowell.

Questo corso di ‘creative writing’ ebbe profonda influenza sul suo stile. L’altra frequentatrice di questo corso fu Anne Sexton. In questo periodo Plath e Hughes incontrarono per la prima volta W. S. Merwin, il quale ammirò i loro lavori e rimase loro amico per tutta la vita. Venuti a conoscenza del fatto che Sylvia era incinta, ritornarono in Gran Bretagna.

Sylvia e Ted vissero per un breve periodo a Londra ed in seguito si stabilirono a North Tawton, piccola città commerciale nel Devon. Sylvia pubblicò la sua prima raccolta di poesie, The Colossus, in Inghilterra, nel 1960. Nel febbraio 1961 abortì; diverse poesie fanno riferimento a questo evento. Il matrimonio si incrinò e i due si separarono poco dopo la nascita del loro secondo figlio. La loro separazione traumatica fu dovuta alla relazione che Hughes aveva iniziato con Assia Wevill, moglie di un amico poeta.

Sylvia Plath ritornò a Londra con i figli, Frieda e Nicholas. Affittò un appartamento in una casa dove aveva abitato W.B. Yeats; Sylvia ne fu estremamente contenta e lo considerò un buon presagio quando cominciò il procedimento legale per la separazione. L’inverno tra il 1962 e il 1963 fu molto duro. Scrisse intorno a questo periodo il romanzo La campana di vetro (The Bell Jar), pubblicato nel 1963 con lo pseudonimo di Victoria Lucas.

L’11 febbraio 1963 era passato solo un mese dalla pubblicazione del romanzo quando Sylvia si tolse la vita: sigillò porte e finestre ed inserì la testa nel forno a gas, non prima di aver scritto l’ultima poesia intitolata “Orlo” ed aver preparato pane e burro e due tazze di latte da lasciare sul comodino nella camera dei bambini. Secondo Al Alvarez e altri studiosi, in realtà non aveva intenzione di uccidersi, ma soltanto di rivolgere all’esterno un’estrema richiesta d’aiuto, “… che disgraziatamente fece fiasco”; ella sapeva, infatti, che quella mattina sarebbe passata in visita una ragazza australiana, e aveva lasciato inoltre un biglietto con scritto un numero di telefono del suo medico, e le parole: “Per favore chiamate il dottor…”.

È seppellita nel cimitero di Heptonstall, nel West Yorkshire.

http://www.sylviaplath.altervista.org/
il primo sito in italiano dedicato a Sylvia Plath, in linea dal 19 novembre 2006.

Benvenuti in queste pagine dedicate alla poetessa americana Sylvia Plath (Boston 1932 – Londra 1963). Il presente non vuole essere un sito completo ed esauriente su Sylvia Plath (anche se aspira ad esserlo col tempo), ma un piccolo portale, tutto in italiano, dedicato alla Poetessa di Boston. Sono presenti molti link esterni (in italiano e non). Ogni commento, critica o suggerimento, è, naturalmente, ben accetto.

Sul grande schermo, il trailer del film, di Christine Jeffs, con Gwyneth Paltrow  :

una sua poesia

Canto del mattino

Come un grasso orologio d’oro l’amore ti mise in moto.
La levatrice schiaffeggiò le piante dei tuoi piedi, e il tuo grido pelato
prese il posto tra gli elementi.Le nostre voci echeggiano, magnificando il tuo arrivo. Nuova statua.
In un museo percorso da correnti d’aria, la tua nudità
adombra la nostra sicurezza. Ti attorniamo vacui come mura.Non sono più madre tua io
della nuvola che distilla uno specchio per riflettervi la sua propria lenta
cancellatura per mano del vento.Tutta la notte il tuo fiato-di-falena
ondeggia tra le rosee lisce rose. Veglio per ascoltare:
un mare lontano muove nel mio orecchio.Uno strillo, e dal letto incespico, pesante come una vacca e floreale
nella mia vestaglia vittoriana.
La tua bocca s’apre nitida come quella d’un gatto. Il riquadro della finestra

s’imbianca e ringoia le sue tetre stelle. E ora tu provi
un tuo trillo di note;
le chiare vocali sorgono come palloni d’aria.

19 febbraio 1961



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