11 – Fog

Da Blanca Persaltrove

Era estate, ormai. Se avesse avuto un briciolo di coscienza, Stefano non avrebbe permesso a Giulia di andarsene senza una spiegazione, ma lei stava uscendo dalla sua vita e non l’avrebbe trattenuta. Si sarebbe affidato al ricordo, avrebbe giocato con le ombre. All’improvviso lei non faceva più parte della sua cerchia, un’altra dea stanca di lui. Come Luna.
Antonio e Mario avevano stretto amicizia e il basettone passava ormai tutte le sere a casa sua, a fumare erba con suo fratello, bevendo birra e vino scadente, suonando la chitarra, componendo musica e disegnando sui suoi fogli, con i suoi colori, padrone nello studio che Stefano sentiva profanato da quei due falliti. Non riusciva più a mettersi in contatto con Luna, che lo aveva usato inutilmente, per ingelosire Antonio, e che da mesi si era allontanata, inventando scuse. Se Mario si fosse trasferito, se Antonio fosse tornato da dov’era venuto, se Gabriella non fosse partita per il mare, per Stefano sarebbe stato meglio!
Non la vedeva ma lo sapeva: Giulia si stava sistemando il trucco. Faceva così alla fine di ogni seduta di posa. Solo che adesso era l’ultima volta.
Avrebbe voluto dirle di non partire con il broncio, di restare amici, ma la paura di apparire patetico lo costringeva a darle le spalle. Occupato a lavarsi le mani nel lavandino di porcellana bianca, si grattava sotto le unghie con lo spazzolino e parlava da solo, per non udire i famigliari rumori della partenza e il portoncino dell’appartamento che si richiudeva. Tonf. Un rumore sordo. Era solo.
Asciugò le mani nei pantaloni macchiati irrimediabilmente di colore e si volse verso la stanza. Nemmeno un ciao. Giulia era andata.
Aveva intascato i soldi, sapevano entrambi che quel gesto (metterli in vista dentro una busta come accadeva all’inizio della loro collaborazione) metteva la parola fine al loro rapporto, sia lavorativo sia sentimentale. Stefano non sapeva portare avanti una relazione. Lui conosceva una donna e per qualche mese ne faceva la sua Musa, ma quando ogni angolo di quel corpo o di quel viso gli diventava troppo famigliare, ogni interesse scemava… Non era cattiveria, era Arte. Questa era l’abituale giustificazione che non piaceva a nessuna.
Allora erano litigi e pianti, discussioni sterili e accuse.
Alla fine lui si ritraeva e la malcapitata scappava.
Era successo anche questa volta.
Aveva perso il conto delle modelle che aveva ingaggiato e poi fatto fuggire. Non che tutte si fossero innamorate di lui, qualcuna era rimasta amica proprio perché non c’era stato sesso tra loro, ma la maggior parte delle ragazze era in cerca di soldi e amore, e lui poteva dare entrambi, anche se a periodi alterni.
Giulia gli era piaciuta, sapeva tener a freno la lingua ed era generosa. Perché era finita?
Perché Stefano si era stufato di disegnarla. Aveva già affisso in bacheca a Brera un annuncio. Il solito.
Lui, come tutti del resto, viveva fra alti e bassi, ma se poteva mantenersi con i suoi quadri era perché non si faceva scrupoli. Spesso non erano nemmeno bei lavori, spesso si trattava di nudi scadenti e nature morte da osteria, ma finché ci campava, anche i soggetti commerciali andavano bene.
Stefano si era seduto in un angolo della stanza, contemplando il suo regno, stranamente silenzioso e deserto. Aveva frugato nella scatoletta di latta del lievito, Mario ci aveva nascosto le paglie prima di uscire da casa, e ne estrasse una perfettamente rollata, precisa come un cigarillo. Stefano ancora si sorprendeva della manualità di suo fratello e sorrise, accendendosi la canna.
Prese a disegnare, a tratteggiare Fog così come la mente gli suggeriva. Vestita di un sottile abitino, le braccia nude e i capelli raccolti sulla nuca, forse schiariti dal sole, o intrecciati… Tratteggiando i particolari uno sull’altro, l’immagine prendeva forma, e i lineamenti famigliari lo rassicuravano, lo facevano stare meglio, infondendogli la voglia di fare qualcosa di meraviglioso, di andarsene per un po’ in montagna dai cugini, di dipingere con il cuore e recuperare il tempo perso.
Poteva farcela a reinserirsi nel giro dell’Arte, avrebbe in questo modo riconquistato la fiducia di chi aveva creduto nel suo talento, per Gabriella sarebbe stato un salto di qualità, le avrebbe permesso di farsi un nome come mercante di vera arte e Luna non si sarebbe vergognata di lui, e Antonio avrebbe abbassato la cresta e si sarebbe mangiato le mani. Una volta affermato, Stefano avrebbe lasciato a Mario l’appartamento della nonna, per trasferirsi in uno studio ampio, con soffitti alti, un lucernario, soppalchi aperti sulle sue esposizioni, e il suo professore lo avrebbe introdotto nell’ambiente giusto, e con Claudio e Marcello avrebbe raccolto critiche positive… Con la giusta umiltà si sarebbe riscattato e allora…
Il campanello trillò, due o tre volte, e Stefano rimase immobile sperando che, chiunque fosse, desistesse. Sentì bussare alla porta d’ingresso, colpi veloci e carichi d’urgenza: «Sté, ti prego, dimmi che ci sei!». Era Luna. Incredulo, Stefano guardò dallo spioncino e il volto dell’amica gli apparve attraverso la lente. Era sola. Stefano piegò la maniglia: «Era aperto… Ciao!», le disse con voce neutrale, lasciandole il passo.
Il fatto che fosse da maggio che non si vedevano non valeva niente, fra loro.
Luna aveva i capelli raccolti in due treccine e un lungo abito hippy e lui le offrì istintivamente da fumare mentre faceva scroccare la serratura. Lei lo fissò con occhi immensi e Stefano si eresse quasi in segno di difesa, che se voleva baciarlo non era dell’umore dell’ultima volta.
Luna aveva un’espressione spaventosa mentre cominciava a dire: «Il prof è morto stamattina, lo hanno trovato riverso nel suo studio. Hanno tentato una rianimazione ma non c’è stato nulla da fare. Ho pensato che nessuno te lo avesse detto…»


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Tags: Arte, Brera, Fog, Luna, Racconto, Stefano

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