11 settembre. Questa data si è impressa in maniera indelebile nell’immaginario collettivo come archetipo del più grande attacco condotto dal mondo mussulmano nei confronti dell’Occidente, in una versione contemporanea delle più antiche guerre sante. Ma in realtà pochi sanno che un altro 11 settembre si è reso storicamente protagonista di un’analoga battaglia tra il mondo d’oriente e il cristianesimo occidentale, in uno degli eventi che hanno contribuito ad evitare un radicale cambiamento ideologico, storico e sociale che avrebbe modificato totalmente il mondo così come noi oggi lo conosciamo. L’11 settembre 1683, infatti, le truppe dell’esercito ottomano, comandate dal gran visir Kara Mustafa, misero sotto assedio la città di Vienna per oltre tre mesi, con l’intento di conquistarla per poi convergere direttamente verso Roma, fulcro dell’Europa cristiana dove la religione mussulmana avrebbe trionfato incontrastata. Grazie però alla coraggiosa resistenza delle truppe asburgiche e alla creazione della Lega Santa guidata dal re polacco Jan III Sobieski, le truppe ottomane vennero pesantemente sconfitte e costrette a ripiegare: così fu definitivamente debellata la minaccia mussulmana in occidente. In realtà però la figura più importante all’interno di questa vicenda storica è quella di Marco d’Aviano, monaco cappuccino che con le sue preghiere e i suoi consigli fornì un valido aiuto e un prezioso supporto all’esito della battaglia.
Ed è proprio sulla figura mistica di questo frate che il nuovo film di Renzo Martinelli, intitolato appunto 11 settembre 1683, si sofferma, cercando non solo di far emergere l’importanza materiale e spirituale del religioso, ma soprattutto delineandone la personalità all’interno di un preciso e ben ricostruito contesto storico, dove le varie fasi dello scontro e tutte le sue pianificazioni vengono presentate e illustrate allo spettatore in maniera chiara, semplice e soprattutto ben caratterizzata. Un lavoro poderoso quello di Martinelli, il quale si avvale dell’aiuto dello storico, scrittore ed archeologo Valerio Massimo Manfredi per creare una sceneggiatura avvincente e ben strutturata, non priva tuttavia di alcuni difetti, tra cui va notata l’eccessiva verbosità e teatralità di alcuni dialoghi, in effetti forse troppo artificiosi nel loro linguaggio e nella sintassi. Nondimeno, va lodata la consueta perizia storica a cui il regista, già dai tempi di Vajont (2001) e più recentemente con Barbarossa (2009), ci ha ormai abituati, grazie alla sua profonda conoscenza della materia e soprattutto alla sua capacità di trasportare su pellicola eventi di grande spessore culturale senza il rischio di renderli banali o tediosi.
Grandissimo il lavoro fatto sulla ricostruzione scenografica e sui costumi, ad opera di Rossella Guarna e Massimo Cantini Parrini, due professionisti che ripropongono nella minuzia più raffinata i particolari storici di ambientazione e di utensili, aumentando ulteriormente il realismo e la correttezza formale del film. Non possiamo però non provare fastidio per l’eccessivo utilizzo della grafica computerizzata, che qui più che nelle precedenti pellicole di Martinelli (autore molto propenso all’utilizzo del digitale) ci appare a volte gratuita e rischia di saturare l’intero apparato visivo, peraltro lodevole nel suo barocchismo e nella bellezza formale da dipinto. Comunque, per tutti coloro che conoscono già Renzo Martinelli e sono abituati al suo cinema, in realtà questo universo iper-digitalizzato apparirà come un vero e proprio marchio di fabbrica autoriale, dove il regista ne fa volutamente un uso caricato per confermare la sua idea di film come libro illustrato.
Molto ben nutrito è il cast artistico, che vede al comando un superbo F. Murray Abraham (attore feticcio del cineasta, qui alla sua quinta collaborazione) nei panni di frate Marco, uomo umile e dalla profonda fede, fermo di principi e valido consigliere. Enrico Lo Verso dà il volto ad un Kara Mustafa egocentrico, spietato ma anch’egli, come l’amico Marco, profondo credente e paladino della propria fede. Altri nomi di spicco sono quelli di Jerzy Skolimowski (Jan III), Piotr Adamczyk (Leopoldo I) e Antonio Cupo (Duca di Lorena). Imponente e maestosa anche la colonna sonora di Roberto Cacciapaglia, che crea dei leitmotiv storico-geografici che permettono di individuare chiaramente le varie progressioni del racconto. Un lavoro mastodontico quello di Martinelli, il quale ha portato avanti per più di dodici anni questo progetto, prendendo come spunto il libro a tema L’assedio di Vienna dello scrittore inglese John Stoye e cercando di trovare una qualche sconcertante analogia tra i due 11 settembre, che, pur distanti più di trecento anni, hanno ancora oggi un inquietante legame nascosto.